Guseppe Leuzzi
Franco Mosino, simpatico professore di liceo a Reggio ora in pensione, come tutti classicista, ha reinventato Omero, e per questo ambisce al Nobel per la letteratura. Ha mandato i suoi cinque libri a Stoccolma e ora aspetta: è più di un secolo, dice, da Theodor Mommsen, che il premio non va a un filologo. Omero è un poeta di nome Appa. Mosino l’ha scoperto da un acrostico contenuto nel prologo del primo canto dell’“Odissea”. Appa è in greco sia “padre” che “vate” o “poeta”, e quello dei poemi era venuto dalla Colchide a fondare Reggio.
Mosino si diverte, ma la “Gazzetta del Sud” informa seriamente i suoi lettori.
Si prenda Shlomo Sand, lo storico israeliano che analizza l’“invenzione” del popolo ebraico: “Se l’identità è il prisma con cui l’individuo ordina il mondo e che gli permette di costituirsi come soggetto, l’identità nazionale è quello con cui lo Stato struttura una popolazione varia e l’aiuta a percepirsi come soggetto storico specifico”. Rovesciandolo: l’identità è il prisma ordinatore. E correggendolo con l’egualitarismo di base, della condizione: non c’è nazione senza l’identità di sé di tutti i suoi componenti, senza di essa si hanno solo forme di imperialismo interno, inevitabili. E si ha tutto quello che manca al Sud.
Nessun lombardo legge Manzoni, solo professori sardi e siciliani, che lo imparano a memoria.
Nessun lombardo, veneto, piemontese, sa nulla di Garibaldi. Di cui invece i calabresi e i siciliani sanno tutto, anche gli analfabeti, e tutti i meridionali in genere. Che il generale dei due mondi si applicò con cura a sfottere.
Si dice la superidentità degli Stati Uniti legata alla semplice cittadinanza, alla parità dei diritti. Che fu ciò che fece, del resto, la grandezza di Roma. In presenza, bisogna aggiungere, della schiavitù, come già per gli Stati Uniti alla fondazione. Ma la cittadinanza non sempre è stata attiva: anche dopo la guerra che ha sancito la pax americana a lungo ha escluso indiani e neri, e con difficoltà ha integrato i latini e gli slavi. Una forte struttura di comando, o classe dirigente, è probabilmente il migliore pilastro della democrazia.
René Char, Poesie, 156 (“Les apparitions dédaignées” dalla raccolta « Le chien de coeur »):«La libertà si trova nel cuore di chi non ha cessato di volerla, di sognarla, e l’ha ottenuta contro il crimine”.
Killer a mafiosi si fanno pagare in contanti. Per non lasciare tracce. Ma anche per una questione di avidità. L’avidità fisica dei mafiosi, il contatto fisico col denaro: i bigliettoni sono come l’oro per l’avaro, i gioielli per le donne, una sorgente di piacere materiale.
Lega
Vista da domani, l’epoca sarà stata di gigantesche trasformazioni, per la globalizzazione e l’opzione transpacifica che soppiantano l’integrazione atlantica e mettono in ombra l’Europa, avviandone quello che sembra l’irreversibile declino. Perlomeno in termini comparativi: il piccolo continente resta sempre il più ricco, ma è asfittico: da settant’anni non sa più pensare il mondo, nelle scienze umane come in quelle fisiche, e da trent’anni, crollato il sovietismo, non ha più una proposta politica – il comunismo sovietico sarà stato l’ultimo imperialismo europeo. In questo mutamento epocale l’Italia sta dietro a Bossi, Castelli e Calderoli, alle ampolle celtiche, alle panchine etniche ai giardinetti, e all’invasione dei calabresi, forestali e insegnanti. Ma non si può rimproverare a Bossi e Castelli, che sono di Varese, di essere migliori di Milano – Calderoli, che è milanese, perlomeno ha un mestiere, se è dentista..
La liturgia della Lega è ridicola: Pontida, l’ampolla, il matrimonio del mare, i Parlamenti, i ministri. Non si può che riderne. Ma nessuno ne ride. Non c’è nella sterminata passerella degli Zelig, o dei talk show resistenziali della Rai con caricaturista. Nessuno che vi si azzardi. Come nei regimi di vera mafia, dove non si scherza, il viso dell’arme fa parte dell’omertà.
È anche vero che con queste castronerie la Lega raccoglie voti in quantità. Come dove regna la mafia. E che le castronerie rende produttive, spostando soldi, appalti e posti alla Rai, alle Poste, alla Consob, all’Antitrust, ai ministeri, e dove altro metterà gli occhi.
La razza naturalmente non è un fondamento, è indefinibile per una popolazione che da sempre è molto mobile. Se Roma è la più grande città calabrese, Milano è la quarta, o terza, città pugliese, e ci sono tanti paesi lombardi in Sicilia dai tempi di Federico II. Il quale era tedesco. E conformava l’Italia “esportando” l’italiano, negli atti del governo, che sono la base di una lingua, e nella poesia.
Ma appellarvisi evidentemente aiuta, fa squadra.
Com’è vera la postilla di Hobsbawm (“Nazioni e nazionalismo dopo il 1870”) a Gellner, “Nazioni e nazionalismo”: la nazione è “un fenomeno duplice, essenzialmente costruito dall’alto, ma che non può essere compreso se non lo si analizza anche dal basso, cioè a partire dalle ipotesi, dalle speranze, dai bisogni, dalle nostalgie e dagli interessi… della gente comune”. Bisogna tenere conto È peraltro vero – Gellner – che “è il nazionalismo che crea le nazioni, e non il contrario”.
La mafia non esiste
Si potrebbe argomentarlo, come no? La mafia la creiamo noi, attribuendole poteri soprannaturali e durata eterna. L’analisi più intelligente, oltre che umanamente condivisibile al solo contatto-epidermide, per la finezza del linguaggio, è il libro intervista di Marcelle Padovani con Giovanni Falcone. Dove il giudice parla di secondo e terzo livello ma con quel suo sguardo d’intesa, che dice: li conosco tutti bene per quanto sono raggiratori e vigliacchi, teatranti di second’ordine.
I mafiosi uccidono, questa è la loro sola potenza. L’omertà, la contiguità, che castronerie! Mentre noi non possiamo uccidere i mafiosi. Per il resto è malaffare come ce ne sono tanti altri nella vita quotidiana, gli appalti pubblici, che sempre sono truccati, le truffe dei medicinali, il traffico degli stupefacenti naturalmente, gli squalificati ma lucrosi commerci dell’immigrazione clandestina, dei furti di auto, della prostituzione, la vendita delle patenti e dei posti pubblici, lo sconto delle multe. Ma loro possono ucciderci, mentre noi dobbiamo sperare nei carabinieri, è tutta qui la mafia.
L’odio-di-sé-meridionale
La criminalizzazione è opera più spesso dei meridionali, per opportunismo, per averla introiettata.
Non ci sono più nemici dei siciliani dei siciliani stessi. Sciascia compreso. I napoletani, invece, così compiacenti con se stessi, sono feroci con gli altri meridionali, al Sud e al Nord.
Capita d’imbattersi nei rilievi calabresi, nell’Aspromonte, sul monte Poro o nelle Serre, nelle Sile, anche in un modesto trekking, in sorprese storico-archeologiche di grande presa: monumenti affascinanti con grandi storie dietro. La cittadella bruzia detta Castello, nell’altopiano di Zervò nell’Aspromonte. O la chiesetta bizantina di san Giorgio tra i castagni millenari, sotto la Pietra Cappa, sempre nell’Aspromonte. Sopra le piccole Meteore di Natile. I normanni a Mileto, che ne fu la capitale per un secolo. O tutt’attorno a Zungri, poco lontano, il villaggio rupestre dell’età del bronzo ancora intatto, arricchito nel Medio Evo bizantino di una chiesa piena di suggestioni. Tutto ancora in piedi però nella disattenzione. Basterebbero queste cose per fare un patrimonio della nazione. Qui non sono patrimonio dell’umanità, e meno che meno dei locali. Quando i locali se ne interessano, è per distruggere – la chiesetta bizantina di san Giorgio è un caso (per cercarvi un tesoro…).
Il mondo com’era e com’è
Non più di cinque anni fa, il 26 gennaio 2006, il sito poteva registrare:
“Sono bastati alcuni furti in villa nel Lombardo-Veneto che subito si è fatta una legge per uccidere i ladri. Al Sud un secolo e mezzo di rapimenti di persona, intimidazioni a mano armata, ferimenti, incendi, bombe, grassazioni hanno prodotto un apparato statistico, una sociologia da caserma sull’omertà, una serie sterminata di libri sulla miserabilità del Sud”.
Sudismi/sadismi
“La Repubblica” 8 febbraio 1999: “Palermo. Mangiare un cioccolatino senza aver fatto lo scontrino è costati a una cassiera 100 mila lire di multa. Altre 500 mila lire dovrà pagare il titolare dell’esercizio commerciale. È successo a Partinico (Palermo), dove un finanziere ha multato una cassiera che aveva mangiato un cioccolattino fuori dal negozio. L’accusa: non aveva lo scontrino.”
Si sapeva che a Partinico, partito Danilo Dolci, era tornata la mafia.
leuzzi@antiit.eu
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