giovedì 1 settembre 2011

Faust in casa-squillo alla Fellini

Un soggetto felliniano. L’uomo “fallito”, che si è lasciato vivere inerte, solitario, monologante, vuole perseguire “il castigo dell’Utenza”. Finché arriva, sempre monologando, da sé alla conclusione: “Per sollecitare la Disgrazia debbo diventare un soldato del diavolo?” E apre una casa-squillo, nella sua casa: “Col diavolo dunque, per arrivare alla giustizia, cioè a Dio”.
Raffaele Nigro nell’introduzione tenta di farne un calco verghiano, “rovesciato”, come di chi rifiuta la “roba” e la vita nemica. Per allineare il racconto all’antico comunismo di Répaci, di cui fa “l’amico di Gramsci”. Allo scrittore rimproverando l’invenzione della casa-squillo. Che invece prende tre quarti del testo. Perché Répaci è altro: il bordello è il nocciolo della narrazione, ed è ben faustiano, nei limiti del “piccolo” personaggio - tragico nei limiti della commedia all’italiana, seppure felliniana. La Morte, detta Disgrazia o Madonna Nera, restando anche in questo modesto orizzonte l’atto supremo di liberazione.
Un soggetto onirico e una narrazione pop, il genere “Boccaccio 70” anticipato – il racconto è del 1958, con dentro le novità “Canzonissima”, il giovedì, la “600”, e lo scandalo delle squillo da centomila, uno stipendio. Con non minori invenzioni: un’altra lettura del lolitismo, o la persecuzione dell’odore – “si può sparare a un odore?”. Un’esplorazione della Morte, tema di buona letteratura trascurata, Landolfi, Lucentini, lo stesso Malaparte.
Leonida Répaci, Il pazzo del casamento, Rubbettino, pp. 145 € 9,30

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