A Palermo la Procura chiede dopo lunga indagine di archiviare il concorso esterno in associazione mafiosa per il ministro Romano, il giudice invece impone alla Procura di perseguirlo. A Milano la Procura chiede di archiviare l’inchiesta a carico di Berlusconi per la divulgazione della telefonata di Fassino con Consorte, la giudice impone alla Procura di perseguirlo. A Napoli il giudice scarcera Tarantini e la Moglie, accusati di ricatto a Berlusconi, e impone alla Procura di perseguire Berlusconi per falsa testimonianza, per averla imposta a Tarantini.
Tre novità che ormai fanno uno schema: i giudici giudicanti non vogliono lasciare alle Procure l’onore di andare a caccia di Berlusconi. Anche la successione temporale è un pattern molto visto: Palermo come al solito apre la strada, Milano e Napoli seguono – è a Palermo la testa del serpente?
I giudici giudicano sulle carte delle Procure, non su altri elementi che siano a queste sfuggiti. Inoltre sono monocratici, mentre le Procure lavorano in pool, oltre che insieme con la polizia giudiziaria. Non c’è da supporre che abbiano altri elementi di prova, oppure una più corretta valutazione giuridica delle indagini. La novità è la loro mobilitazione, tutti insieme, in successione rapida e quasi in contemporanea, come obbedendo allo stesso impulso.
I giudici mobilitati unanimi rievocano brutti ricordi di una brutta epoca. Per di più ora senza vergogna, anzi con l’exequatur della democrazia, vescovi inclusi.
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