L’oro della Banca d’Italia? La patrimoniale? Le pensioni di anzianità? Nulla di tutto questo, il mercato vuole l’Eni, l’Enel e la Finmccanica, le quote che sono ancora in mano pubblica. Subito, cioè a prezzi di favore. Il debito italiano è un “falso scopo”, si dice in artiglieria, l’obiettivo è un altro. Standard and Poor’s lo dice anche, e dà un termine per la vendita, dodici mesi.
Le tre privatizzazioni non potrebbero fruttare, nelle migliori condizioni, più di 25 miliardi, la metà della manovra appena varata. Ma questo non importa: qui non si tratta della solvibilità del debito italiano, che nessuno mette in dubbio (le Borse hanno ignorato il declassamento di Standard and Poor’s), ma della svendita obbligata delle tre partecipazioni pubbliche. Tre ottime aziende, che fruttano ogni anno alcuni miliardi di dividendi.
Si può leggere così anche la sequenza degli eventi, senza danno per la verità sostanziale. Ieri mattina il “Wall Street Journal”, il giornale degli affari, dettagliava le richieste del mercato con le privatizzazioni, la notte Standard and Poor’s facilitava la strada ai compratori, con l’improvviso declassamento del debito italiano. A nemmeno una settimana dalla manovra tagliadebito, giudicata positivamente dall’Unione e dalla Banca europea, e dal Fmi. E con l’avvertimento senza precedenti a procedere entro dodici mesi. Senza scandalo perché così vanno le cose nel mercato.
L’agenzia americana ha peggiorato la valutazione del debito italiano all’indomani del suo indubbio miglioramento. Non l’ha fatto perché chiede misure di diversa affidabilità o consistenza: l’ha fatto per costringere il Tesoro a vendere le sue quote nei tre gruppi pubblici, subito, a qualsiasi condizione.
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