Giuseppe Leuzzi
Bisogna leggere i grandi giornali, ma lo scandalo periodico vi è: 1) la Salerno-Reggio Calabria, 2) il porto di Gioia Tauro, 3) il ponte sullo Stretto. A caso, anche senza motivo, ma immancabilmente. Mai che si parli di Malpensa, lo scandalo vero - l’opera è inutile - e più grosso. O della fantomatica Variante di valico – che cos’è?
Fra i tanti che lamentano la superstrada Salerno-Reggio Calabria possibile che nessuno abbia fatto mai la Firenze-Pisa-Livorno, un'altra superstrada, più toruosa ancora e piena di buche, da decenni, come crateri?
Mafia e Antimafia
Andrea Camilleri dà al primo giudice unitario a Montelusa-Agrigento (nel racconto “Il giudice Surra” della breve raccolta “Giudici”, appena pubblicata da Einaudi) la facoltà di annientare la mafia ignorandola. Tutti gliene parlano, ma il giudice va per la sua strada, facendo le cose che deve fare. E Camilleri conclude: “Crediamo che il giudice, nel suo intimo, ne volle ignorare l’esistenza. Agì come se non ci fosse e, così facendo, inconsapevolmente l’annullò”.
Sabato il calciatore Miccoli, “bravo ragazzo”, batte per il Palermo l’Inter. Martedì è indagato per mafia. C’è collegamento?
Il presidente della Regione Sicilia Raffaele Lombardo, accusato di mafia, lascia il centro destra che lo ha eletto e fa un governo col partito Democratico. Il Procuratore di Catania Patané avoca l’indagine e lo assolve. Non c’è collegamento?
Il concorso esterno resta solo per Contrada? Per la gloria del suo accusatore Ingroia, ci sono pm che sono più pm degli altri.
L’odio-di-sé meridionale
“Il Giornale di Calabria” celebra i quarant’anni dell’Unical, l’università della Calabria a Cosenza-Rende. Otto pagine e molte foto, ma mai il nome di Giacomo Mancini, che quella università volle e creò. Il suo nome ricorre nelle celebrazione in due righe: “Il Giornale” gli fa colpa di aver criticato nel 1998, da sindaco di Cosenza, un finanziamento di 600 miliardi per la costruzione di una città universitaria che avrebbe preso tre paesi. Un finanziamento naturalmente fatto balenare ma mai disposto. Per un progetto semplicemente mostruoso.
Il ritorno è uno dei punti critici della diaspora meridionale. Sia degli emigrati in terre lontane, in cerca di una qualsiasi occupazione, sia di chi, per la mobilità dell’impiego pubblico o per esigenze professionali, è emigrato in altre città. E magari ha mantenuto una continuità d’interessi, se non di presenza. Quelli sono anche attesi e festeggiati, ma per pochi giorni – diciamo una settimana. Questi vengono guardati con sospetto, anche dagli amici. E se prolungano il soggiorno, o si fanno vedere troppo spesso, diciamo due tre volte l’anno invece che per lo scappa e fuggi della “festa”, del santo patrono, con disprezzo: come se fossero rubastipendio, oppure, se pensionati, dei falliti, senza altra vacanza migliore, in crociera, ai Caraibi, nel mar Rosso. I residenti si ergono di fronte a chi ritorna come usava la chioccia, anche rumorosamente. E si può capirli: vantano una sorta di abnegazione a essere rimasti, mentre chi è partito è come se avesse disertato.
La prima preoccupazione di chi ritorna è quindi di evitare ogni critica, anche la più fondata. Ma non riuscirà a evitare il disprezzo, se non il risentimento, poiché inevitabilmente dovrà spendere, anche se è solo in vacanza, e solo per pochi giorni. Oppure, escluso da ogni altro possibile contributo, è magari felice di fare il consumatore locale. È inevitabile spendere per i consumi quotidiani, in drogheria, dal fruttivendolo, dal macellaio, in pescheria, in pasticceria, in pizzeria, e per le diverse esigenze domestiche, elettricista, pittore, idraulico, falegname, aiuto. Un contributo da non disprezzare in altra economia, che finisce sempre per ammontare a migliaia di euro. Che talora si estende, per nostalgia o convenienza, alla provvista di beni locali, olio, vino, formaggio, dolciumi, miele, carni conservate, pesci conservati, vegetali conservati.
Ma questa spesa, altrettanto inevitabilmente, si trascina delle critiche: il latte ha la melitenza, o maltese (la brucellosi), il maiale la scrofola, l’afta, la peste, la trichinellosi (se così si dice, il vocabolario non la registra), il vitello è agli estrogeni, quando non ha l’afta, anche lui, il miele è importato (dalla Romania, dalla Cina, un tempo dall’Albania, ma l’Albania fa tanto miele?), l’olio variamente mescolato (semi, Tunisia, sansa, “murga”, “pastazzo” sono le parole spregiative più in uso), il vino è fatto col “bastone”, l’igiene dei prodotti conservati come minimo è da tifo, le paste dolci e i gelati hanno dato la diarrea, il vomito, un caso di avvelenamento, dieci casi, cento, mille. Con implicito un giudizio di dabbenaggine, o stupidità, come se uno pensasse di fare l’affare. Il pizzaiolo tratterà chi ritorna con degnazione, anzi con dispetto, mentre è affabile con i locali. Perfino il barbiere e la parrucchiera trattano il ritornante con sospetto, anche se va da loro per lusingarli, uno che avrebbe potuto farsi fare i capelli in città.
Chi è rimasto, è attivo, e sa come va il mondo la spesa la fa nei supermercati, e più nelle catene distributive, Auchan, Carrefour, dove la qualità e la convenienza sarebbero assicurati. Mentre nelle famiglie, dove amici e parenti non possono esimersi dall’invitavi una volta, i figli, più spesso i ragazzi, si fanno un panino di tutto, che imbottiscono di maionese, ma sembra margarina, ketchup e senape, con abbondanza di patatine a contorno. Capita spesso nei ristoranti di trovare olio di Olgiate Olona, o Lumezzane, e vino sfuso, frizzantino o fermo, dell’ormai insopportabile chardonnay di qualche Tavernello che lo fornisce alla spina - questi, si spera, perché costano meno. Mentre i prezzi locali sono mediamente dimezzati, il calcolo non è difficile. E la qualità non è mortale, per esperienza ormai di troppi decenni: non è malato il latte, non lo è la carne, l’olio è sempre il migliore (per ogni categoria di prezzo), e per l’igiene delle conserve si spera in Dio, come per ogni conserva industriale. Sono prodotti peraltro di gusto. Perché tanto astio, allora?
È l’antipatia per il ritornante? È il gioco degli odi sottili nelle piccole comunità? È l’odio-di-sé.
Mettendoli insieme, il rifiuto-disprezzo di chi ritorna e il rifiuto del prodotto locale, il quadro non è più quello della stabilità contro l’abbandono, ancorché sbagliato, ma dei rifiuto di sé. Il sospetto e la critica di chi ritorna è, al fondo, di dispetto per un giudizio di Dio che avrebbe dovuto essere radicale e invece è compiacente: il ritorno è risentito come una debolezza.
Aspromonte
La “mangiata” vi è la suprema delizia, e la massima aspirazione, d’estate e d’inverno: strafogarsi di cibo. Talvolta in forma di schiticchiu, un banchetto tra soli uomini, che si cucinano alla brace del fuoco il maiale, l’agnello, o mettono a bollire la capra – cacciatori,camminatori, tagliaboschi, semplici amici.
La Montagna sorprende i (rari) visitatori. Perché è molto verde, con pinete e faggete estese e elevate, e sempre aperta - anche dove non vede il mare l’orizzonte è aperto. Mentre per i molti, ammesso che ne abbiano un’idea, l’Aspromonte è arido e anzi roccioso. Forse in ragione del nome. O il Sud è legato all’aridità.
Sulla “Gazzetta del sud” una gentile corrispondente fa l’elenco degli interventi antidroga in Aspromonte, due, dello squadrone eliportato dei carabinieri “Cacciatori di Calabria”. E l’Aspromonte dice uguale alla Colombia. Triplice ignoranza: dell’Aspromonte, della Colombia, e dello Squadrone Cacciatori. Ma la voglia di flagellarsi fa aggio.
Le piantagioni di canapa indiana scoperte in Aspromonte sono una di 95 piante e una di 133. A prezzo di quante ore di volo, e d’indennità di volo?
Si sa che la canapa è di coltivazione corrente, non solo nell’Aspromonte: a Perugia per esempio, a Siena, a Roma, dove i giovani in teoria studiano. Nell’Aspromonte, fino a una dozzina d’anni fa, tra San Luca e Delianuova, capitali dei sequestri di persona, passava liberamente per i paesi in fascioni sulle “Ape” scoppiettanti. I due business andavano insieme?
Nell’Aspromonte qualsiasi viaggiatore a piedi, specie se torrentista, sa dove sono le piantagioni vere di canapa indiana, chi le coltiva, quanto sono grandi, e quanti raccolti si fanno. Sa anche dove va il ricavato (in genere palazzi). Si fanno ogni agosto operazioni eliportate per altri motivi. Altri che non la distruzione della canapa indiana, o degli interessi che ci sono dietro: l’operatività che l’Arma misura, i telegiornali vuoti dell’estate, e le indennità di volo.
La tarantella è diventata un business, l’industria musicale probabilmente più fiorente in Italia. E un brand: non è idea da buttare eleggerla a soul del Sud, benché con qualche approssimazione. Solo resta fuori dal revival l’Aspromonte, anche se la sua tarantella, la tarantella aspromontana, è la più originale: tradizionale, antica, d’impatto emotivo. Un po’ perché dovrebbero studiarla e rilanciarla a Reggio Calabria, e Reggio sa poco dell’Aspromonte – ma di che sa Reggio? Di più perché il revival viene dalla coda, dal successo della pizzica salentina, non dalla tradizione.
È del resto nel Salento che invidiano e studiano la tarantella aspromontana.
In Calabria la tarantella aspromontana è lasciata alla ‘ndrangheta. È impossibile, di un ballo dalle tradizioni così remote, ma si scrivono libri per dirlo, anche di cultori della materia.
“Parla piano,\ mentre dorme l’Aspromonte,\ una lancia nel costato,\ cento spine sulla fronte”, canta Mujura in un suo rap sostenuto. Per finire: “Fuciliamo il padreterno,\ se rinasce non fa niente!”.
leuzzi@antiit.eu
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1 commento:
Oops, rieccoci! Ma questo non si puo'dire ad esempiodei siciliani, per i quali tutti, scrittori, giornalisti, storici, il mondo e' siculocentrico. Critici, lamentosi, ma compicaciuti. E si arriva alla classe dirigente dei Musotto, Cuffaro, Lombardo (che magari nonsono nemmeno mafiosi... ), impensabili se non fossero veri. A Nappoli nei tre anni della munnezza si sono sentiti elofi di napoletani sulla citta' che rasentano il penale: favoreggiamento.
L'odio di se' e' stato forte nel Risorgimento, ma era un fatto politico, di napoletani e siciliani che si erano messi coi Savoia, per quel poco di liberalismo che avevano consevato dopo il 1848 (e che poi abbiamo pagato con ottanta anni di corruzione e cannoni in strada).
Anche il "tanto peggio tanto meglio" e' stato ed e' estremamente pernicioso al Sud. Ma e', again, politica, che si faccia al tribunale o sui giornali.
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