È il racconto di “un’escursione a piedi nella parte più selvaggia della Calabria” nella primavera del 1841, così l’autore la rivendica l’anno successivo rammemorandola in forma di lettere alla madre, come un’esperienza unica. Ma è soprattutto il viaggio di un figurinista: un buon terzo della narrazione è preso dai problemi pratici, guide e muli, trattative infinite, osterie e pasti difficili,un altro terzo dalla descrizione minuta di costumi e acconciature, che Strutt ritraeva. Pittore vedutista, inglese ma stabilito a Roma, con la madre scrittrice, Elizabeth Strutt, e col padre Jacob George, paesaggista, col quale condivise lo studio iniziale al Babuino, il viaggiatore non ha occhi che per l’aspetto delle persone. Il terzo restante del libro è preso dai briganti, argomento obbligato di conversazione. Strutt non ne incontra, anzi sa di trovarsi in “una storia di storie byroniane”. Ma, ed è questa la parte centrale del libro, lui e i suoi amici di trekking sono presi per briganti dagli abitanti di Caraffa di Catanzaro, picchiati, e derubati della loro presunta refurtiva – gli abitanti della vicina Cortale, invece, al comando del nobile don Domenico Cefale, faranno giustizia degli assalitori e recupereranno per i viaggiatori la “refurtiva” rubata.
Di interesse iconico, il tour a piedi di Strutt ha avuto solo una traduzione, tarda, nel 1970, parziale, per ragioni accademiche. Che Rubbettino ripropone conme "Viaggio a peidi in Calabria", pp. 151 € 7,90. La British Library lo ripropone integrale tra i libri on-demand (ma è scaricabile anche su archivi.org e books.google). Con più di un motivo d’interesse. Strutt sa la forza del già detto, anche della letteratura (Byron): da Napoli fino all’ultimo paese della Basilicata tutti lo sconsigliano, “brutta lingua e brutta gente”, “non parlano italiano come noi”, “tutti ladri”. Poi la Calabria si annuncia con due ragazze, due contadine, che cantano “a levare”. Alla vista il calabrese non è inferiore alla fama, porta appesa l’accetta e a tracolla il fucile, passione dominante – “pochi non preferirebbero perdere la moglie piuttosto che il fucile”. Non inferiore solo all’aneddoto truculento, mezzo per ridere mezzo per spaventare – il vaccaro che come tutti porta l’accetta al braccio spiega che lanciandola, “giorni addietro, gli ho spaccato la faccia dalla fronte al mento”, a uno con cui era venuto a lite “in quel campo di lupini”. Le donne, giovani, madri, nonne, vestono colorato e non nero.
Il “Pedestrian Tour” è un’anticipazione del viaggio di Edward Lear, che sarà, più colto, ben più vivace: l’occhio è lo stesso, bonario, non prevenuto. A contrasto della Calabria c’è la Sicilia, dove Strutt si trattiene in due viaggi a lungo, ma non più a piedi e a cui riserva meno pagine. Prese soprattutto dalla bellezza delle città, Catania e Palermo. E Messina allora splendida, di viali, palazzi, chiese, musei, università, oltre che del proto naturale e della posizione, che ora si confronta con la manomissione e l’abbandono, a opera di una piccola borghesia affaristica, aggressiva, corrotta, la geografia economica è mutevole, la democrazia economica può essere pessima. Siracusa che appare a Strutt polverosa e abbandonata, come sarà ancora per un secolo e mezzo, fino agli anni 1990, è ora tutta nuova e fiorente.
Arthur John. Strutt, A Pedestrian tour in Calabria and Sicily, British library, pp. 380 € 20
domenica 25 settembre 2011
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