La proiezione, su una televisione tunisina, del cartone animato “Persepolis” ha provocato un assalto nella casa del direttore-proprietario della tv, e una serie di minacce alla vita sua e dei suoi familiari. Con moderne crociate su Facebook (che accetta simili appelli) e col giornalismo in pillole twitter. Non c’è ancora una fatwa di condanna, ma è come se.
“Persepolis” non è blasfemo. Ma raffigura due volte Allah, e questo basta per scatenare un jihad. È evidente, se prima non lo fosse stato, che l’offesa a Allah è un pretesto. I precedenti, si ricorderanno, sono stati quelli di Salman Rushdie, e del suo libro “I versetti satanici”, per il quale gli ayatollah iraniani condannarono a morte lo scrittore e gli editori. E le vignette su Allah pubblicate da un oscuro settimanale danese, sufficienti a sobillare tutto il mondo islamico.
Si attribuiscono le proteste in Tunisia a una piccola minoranza salafita. Come per dirle ininfluenti. Ma basteranno per portare la Tunisia dopo il voto, se non alla sharia proclamata, a una applicata – lo stesso avverrà in Egitto dopo il voto, e in Libia col nuovo regime. Non sono i moderni radicali salafiti (i primi erano riformisti, aperti al confronto col resto del mondo) nati proprio in Tunisia, prima della guerra?
I salafiti sono del resto minoranze che periodicamente si gonfiano a condizionare il mondo arabo, un tempo nell’Afghanistan occupato dall’Urss, quest’anno in Nord Africa e in Siria. Come già i loro progenitori wahabiti un secolo fa, quando si trattava di prendere il controllo della penisola arabica, tramite il capotribù al Saud, per il petrolio.
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