giovedì 13 ottobre 2011

Gli Usa, terza scelta di Marchionne, la buona

Ha naturalmente tentato dapprima il rilancio in Italia, dove il gruppo Fiat ha malgrado tutto sempre la fetta di mercato maggiore. Ma il futuro dell’auto, un’industria così fortemente competitiva, dai margini ristrettissimi, ha trovato in Italia ripetutamente, costantemente messo in scacco dalla parte più retriva del sindacato, con gli assurdi referendum, a Pomigliano, a Termoli, a Mirafiori. Perduti i quali l’infinita contestazione pagliettistica è partita. Con accompagnamento, prima, durante e dopo, di pensosissimi (ipocriti? ipocriti) commenti del “Corriere della sera” a mucchi e del “Sole 24 Ore”, giornali (quasi) della Casa.
Poi Marchionne aveva puntato sulla Germania. Che è ormai per tutto, e quindi anche per l’auto, il vero governo, il governo supremo, dell’Italia. Tanto più che nell’auto ha un modo tutto nuovo di fare – bisognerebbe mandare la Cgil a scuola dalla Metallgesellschaft, che è ben più a sinistra. Dapprima le trattative, con Mercedes e con Bmw. Poi l’affondo su Opel. La Germania ha detto no, poiché ha deciso da un ventennio buono di tenersi lontana dal contagio italiano, e questo Marchionne forse non lo sapeva. Ma si è rifatto negli Usa.
Nel mercato più difficile, con l’azienda più disastrata, Marchionne ha riuscito il miracolo. Di salvare la Chrysler e (forse) anche la Fiat. Questo grazie non tanto a tecnologie speciali né a posizioni di rendita – la Chrysler era anzi in crisi cronica da quasi mezzo secolo, e prima che arrivasse la Fiat ha minacciato di mettere in crisi nientemeno che la Mercedes, il vecchio padrone. Ma grazie a due accordi sindacali, una “tecnologia” pure di uso libero e costo irrisorio.
La Fiat è passata da quarto gruppo automobilistico mondiale a piccola comprimaria nella gestione familiare di Gianni e Umberto Agnelli. Marchionne però dimostra, non c’è da aspettare uno sguardo retrospettivo per dirlo, che gli Agnelli non potevano fare meglio. Che l’Italia è stata e rimane un rischio,che fare industria in Italia è possibile solo negli interstizi, dove l’outsourcing ancora resta possibile, la flessibilità di orario, la produzione just in time - ricette già del passato, benché prossimo.

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