astolfo
Antipolitica – È il segno dell’epoca, non soltanto in Italia. È il segno dell’Europa, in Germania, in Olanda, in Francia, della sua “decadenza”.
Anche la storia si fa nel segno del’antipolitica. Quella dell’Italia nel cento cinquantenario, o del Sud. O della Libia, per dire, e gli altri paesi del Nord Africa. Quanta semplicioneria! O ebetudine: il rifiuto della politica non è intelligente. Neppure nel none dell’umanitarismo, della giustizia, e delle tante innovazioni che si vorrebbero beneauguranti (eu-) e sono assassine: eugenetica, eutanasia, eunomia, e l’eucrasia chimica. È l’incapacità d’immedesimarsi, di suscitare identità, legami. E l’inutilità intellettuale – dell’opinione comune (pubblica) e dei maîtres-à-penser. La sterilità: del saperne di più, della perfezione, dell’albagia.
È la trovata migliore – più vasta, più furba – del disusato totalitarismo. I capi sono capetti, e tuttavia ancora maestri, guide, padroni. E fuori del potere nulla, solo buoni sentimenti e buona coscienza.
Napolitano reagisce infastidito a Della Valle che fa una campagna pubblicitaria contro i politici: “Si impreca contro la politica ma la politica siamo tutti noi”.
L’antipolitica è una politica, estremamente insidiosa. La più brutta perché perversa: si finge infatti perseguitata mentre è la politica dei padroni: imprenditori, mercanti, professori, vescovi.
Colpa - La Germania paga. Ma non ha fatto dell’Olocausto una rinascita. Come avrebbe fatto ogni altro paese filosofico. L’ha riconosciuto, e accantonato. È avvenuto, ma continua a sembrarle impossibile. All’ora, ancora, del vecchio Hijalmar Schacht, il banchiere di Hitler, che non se ne faceva una ragione: “Il nostro superamento del passato è consistito nel rovesciare ogni colpa sul nazismo: il nazismo ci ha imposto una guerra, ci ha terrorizzati, ci ha attirato l’inimicizia del mondo, ha distrutto ogni senso d’umanità”. Questa è l’essenza della Colpa: con la storia del non esserci e non sapere “abbiamo assistito non una bensì due volte”, aggiunge Hannah Arendt, “al totale collasso dell’«ordine» morale”. Non solo il tempo non aggiusta le cose, ma “quello è un passato che è diventato sempre peggiore col passare degli anni, in parte perché i tedeschi si sono rifiutati di processare gli assassini che ancora si celavano tra di loro, e in parte perché tale passato non può essere dominato e domato da nessuno”.
La colpa in sé è discutibile. Bisogna stare con la filosofa Lou Salomé, con “la prevenzione innata contro ogni sentimento di colpevolezza”. Ma non dopo Hitler. La Germania invece non riconosce nell’Olocausto un unicum. Non ne ha fatto un humus, non ne è germogliato nulla, un ripensa-mento radicale, un dramma, una filosofia, un romanzo. E col tempo lo metterà, è inevitabile, nel conto della storia, del dare e avere. L’equivoco di Jaspers apre la scorciatoia, della colpa che è individuale e non “collettiva morale”, né “collettiva metafisica”. Certo che no, ma in tribunale. Non nella vita, né in filosofia. Il compito non era minore, farsi laboratorio di un’altra umanità. Ma la Germania ha voluto restare la stessa, solo più ordinaria, legata al marco invece che alla filosofia. Il “fratello Hitler” di Thomas Mann resta figura retorica, malgrado la straordinarietà, priva di senso reale.
Heidegger aveva già “avviato il discorso”, prima di Hitler e l’Olocausto, è qui la sua grandezza. Ma il seme non ha germogliato, o il fango era sterile. I tedeschi ebrei si direbbero morti tedeschi, ma le morti non hanno lievitato, nessun tedesco s’aggira in quei campi o se n’è impregnato. Gottfried Benn, che con Heidegger è stato nazista, e in più è stato l’ultimo allievo della Pepinière, l’accademia prussiana per la formazione gratuita dei medici militari, è divenuto dopo Hitler il Poeta della Nazione, insignito del premio Büchner. La colpa di Heidegger è questa, che il suo metodo rivoluzionario, pensare il pensiero, ripartire daccapo, ha trascurato - per primo bisogna dire, per dare la misura dell’uomo e dello stesso metodo – questa nuova possibile storia. Cioè l’ha azzerata: nel suo gergo, poiché non se ne parla, l’Olocausto non è, per quanto contriti si sia.
Copia – Si insegue su tutti i marciapiedi, le spiagge, e nei paesi anche casa per casa. Tramite i vecchi ambulanti e i vu’ cumpra’, i nuovi magliari. Come il nylon aveva rimpiazzato il cotone, e la plastica ha rimpiazzato il ferro o il rame. I fiori finti al cimitero e ora anche in casa. Anche nei sentimenti e nei ragionamenti la copia prevale, Ersatz addomesticato, semplificato, abbreviato, l’attenzione è minima. E nei cibi: non si può mangiare il già masticato, ma vanno gli alimenti dove non si mastica, cioè non si gusta. Alla multiforme bellezza della vita viene preferito il surrogato più dozzinale. A conferma che il più grande egualitarista è il mercato, certo più del socialismo, che implicava obblighi anche gravosi, non soltanto per la libertà.
Occidente – I giapponesi chiamavano nambanjiing, i cafoni del Sud, i portoghesi che si erano avventurati fino da loro. Ma non c’erano, non ci sono stati, giapponesi in navigazione verso Sud e o altro punto cardinale. O cinesi, altrettanto, anzi di più, antichi, colti e potenti. O indiani. Nemmeno un Marco polo giapponese, o cinese, un giovane con la voglia di scappare di casa per vedere il mondo. L’Europa figura in questo atlante mentale come un posto insicuro.
Una tradizione obsoleta vuole l’Occidente in vesta talare, come quello del cristianesimo. Ma questo è vero per la storia. Poi l’Occidente si qualifica per essere quello che ha perduto la fede, unico al mondo. Anche nel comunismo. Nel nome del quale però si fa grande, Stalin è l’ultimo conquistatore europeo.
Non è molto che il mercato ha preso il sopravvento: è avvenuto in Europa, la prima, e per ora unica, società secolarizzata, o materialistica nel senso di Marx, dal tempo della Riforma. La compravendita di beni e favori, il mercato, che è ideologia e anche filosofia, l’individuo, la rela-zione soggetto-cosa, la realtà che si autoproduce, mezzo Heidegger. È un fatto che il mercato, esistito sempre e ovunque ma in condizione subordinata e spregiata, per esempio nel cattolicesimo romano, che inventò le forme del capitale moderno, si rende indipendente come economia e forma dello spirito, e anzi pretende l’egemonia nell’etica individuale e nella politica, con Lutero e Calvino. Al papa e all’imperatore si sostituì il re denaro. Una gabbia per matti e un sistema di schiavitù ferrea, interiorizzata – questa non è una critica radicale, è Max Weber, se ben se ne capisce la razionalizzazione, che si potrebbe tradurre secolarizzazione, dell’Occidente. Weber che il Vecchio Testamento ha collegato agli eredi puritani della Riforma, e ha studiato le origini del capitale anche nel confucianesimo e nel taoismo, arduo dev’essere stato, ma non a Roma.
Usa – Sono più tedeschi che inglesi. Nelle stime dell’origine etnica della popolazione, gli americani tedeschi sono 51 milioni.
Gli americani di origine italiana sono il quarto gruppo, con 18 milioni. Il quinto contando gli afroamericani, gruppo però disomogeneo, di varia origine, anche caraibica, e compresi i neri ispanici. Ai tedeschi seguono a distanza i britannici (inglesi e scozzesi) e gli irlandesi, con una consistenza analoga, 36,5 milioni per entrambi i gruppi etnici. Gli afroamericani sono calcolati in 41 milioni. Dopo gli italoamericani vengono a grande distanza i franco americani, 12 milioni.
astolfo@antiit.eu
mercoledì 12 ottobre 2011
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