“Che verità nasconde la verità?” è l’assunto filosofico che muove Dürrenmatt in tarda età. Un assassino viene assolto in appello: testimonianze confuse, non si è cercata l’arma del delitto, movente inesistente. Il solito caso di mala giustizia, a favore di un uomo ricco e potente. Che è però anche un caso di giustizia vera: l’assassino è un vendicatore di torti gravissimi.
Non una grande trama, anche se Dürrenmatt ci ha messo trent’anni ad articolarla. E si vede. Ma, in mancanza del plot, articola la filosofia della giustizia per una lettura senza respiro. E ha una galleria di eventi e personaggi insospettati, comprese la geografia umana e una storia della Svizzera – Dürrenmatt era indignato già nel 1985, quando ha scritto “Giustizia” per l’ultima volta.
Per liquidare il progetto trentennale, in quest’ultima ripresa Dürrenmatt utilizza un Post-scriptum, nel quale mette in scena una bella signora che lo scambia per Max Frisch. Seguita dal ritratto di Inge Feltrinelli, “la moglie tedesca di un editore italiano” – quello che poi l’ha lasciato a lungo lamentevolmente non tradotto, preferendogli Frisch (“Giustizia” uscì in italiano vent’anni dopo la pubblicazione, nel 2005, da Marcos y Marcos, l’edizione ora ripresa da Adelphi). Una piccola vendetta nella giustizia vendicatrice.
Friedrich Dürrenmatt, Giustizia, Adelphi, pp. 211 € 18
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