Giovedì i capi di governo dell’Ue decidono a Bruxelles di dotare di risorse congrue il Fondo di stabilità dell’euro. Venerdì la Corte costituzionale decide in Germania che ogni decisione operativa del Fondo di stabilità dovrà essere preventivamente votata dal Bundestag in seduta plenaria – non più in commissione Bilancio, come la stessa Corte aveva statuito tre settimane prima. “Una scena impressionante”, così la immagina Carlo Bastasin sul “Sole 24 Ore”: “I parlamentari tedeschi che decidono cosa fare delle pensioni, delle patrimoniali o delle privatizzazioni italiane”.
Una scena impossibile, che conferma quanto questo sito da tempo sottolinea: che la Germania vuole l’euro in mano alla Germania, anche a costo di sacrificare l’economia europea. Finché, naturalmente, la crisi non investirà la Germania stessa. Una prospettiva remota, anche perché la transizione così come si sta attuando, occorre ribadire, dà vantaggi comparati sostanziosi alla Germania stessa: ogni punto d’interesse in più del Btp rispetto al Bund si traduce in un aggravio 1) della raccolta bancaria in Italia, 2) del costo del denaro in Italia, 3) dei costi di produzione in Italia, oltre all’effetto circolare sul debito.
A questo punto, avendo la Germania stretto nella sua morsa l’Europa dell’euro – Francia compresa, anche se Sarkozy mostra di non saperlo – sarebbe interesse di tutti prendere sul serio la richiesta, all’origine tedesca, di regole stringenti e comuni di bilancio. Ma i segnali non sono buoni. Un comitato di studio per la riforma dei trattati è stato varato, ma è clandestino. Il ministro dell’Economia Tremonti, l’unico che dei condizionamenti tedeschi parla apertamente, è poi remissivo. Come se la catastrofe fosse inevitabile.
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