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lunedì 24 ottobre 2011

L’islam che piace agli Usa, militante

Pino Sarcina ha scoperto la Tunisia, e la identifica nel “Corriere della sera” in una bella quarantenne in jeans e occhiali di gran firma che fa la coda per votare. Come fanno le inviate della Rai, non vede il resto della coda. Dove invece le donne sono affardellate, baffute, piegate dai figli e dalla fatica. E quasi ovunque separate dagli uomini.
Ci si dovrebbe chiedere perché la Rai mandi nei paesi islamici inviate donne. Che fanno a gara con le locali per ammantarsi di veli, ma non riescono a vedere nemmeno gli effetti più nefasti della sharia su queste loro “sorelle”: la separazione sei sessi, il ripudio, la poligamia (la poligamia...), e la fatica, della riproduzione, della conduzione familiare, che le fa vecchie a venti anni. Ma questo non è un problema politico – è il solito squallido Raiume. Il fatto politico, che s’impone ma non si pone, è perché gli Usa promuovano nei paesi islamici, e da qualche tempo soprattutto in quelli arabi, governi fondamentalisti. Al posto delle élites socialisteggianti e modernizzatrici: Nasser, Burghiba, l'Fln in Algeria, Assad e, prima della deriva in tarda età a re di cioccolata, dello stesso Gheddafi.
La Tunisia era un altro paese all’indomani dell’indipendenza nel 1956. Bilingue, operoso, con una legislazione che riusciva a coniugare il rispetto della religione e la protezione dei diritti minimi di umanità, se non di civiltà. È diventato bigotto e ombroso. Era sulla strada per diventare mediamente sviluppato, è terra d’emigrazione di disperati. Era aperto come dev’essere un piccolo paese, e si chiude: rifiuta il francese, rifiuta il turismo per il quale pure si è dotato. È un piccolo paese che ha fatto da cavia alla grande politica: che è quella d’instaurare regimi islamici, promossa dagli Usa.
Hanno cominciato quarant’anni fa nel Pakistan col generale Zia ul Haq, che riuniva in sé la vecchia formula bonapartista, o mano dura dei militari, la formula americana di governo del mondo negli anni Cinquanta-Sessanta del secolo scorso, con l’integralismo islamico. L’islamismo si è dimostrato ricetta migliore della mano dura contro la sovversione. E il nuovo verbo, della democrazia a base islamica radicale è stato imposto in Iran, a spese dello scià a favore di Khomeini - col quale gli Usa entreranno anche in fertile scambio quando si tratterà di finanziare in Centro America la guerriglia anti-sovversione. Un sostegno esteso poi alla Palestina e alla Turchia. Da un anno appoggiano ovunque il ritorno alla sharia, nei già laici Egitto e Tunisia, e ora in Libia – prossimamente anche in Iraq?
La svolta americana si potrebbe dire saudita, all’origine e nelle sua programmazione come nuova politica. All’origine il radicalismo islamico è wahabita, cioè saudita. Negli anni Settanta, dopo l’arricchimento col petrolio, furono i sauditi a esportare per primi l’islam come fattore di stabilizzazione, nell’Africa subsahariana e nel subcontinente indiano. In forma non radicale, con le grandi moschee e i campi di polo, per consolidare l’establishment islamico, ma condizionata alla legislazione islamica.
L’Europa dovrebbe preoccuparsi, che a differenza degli Usa col mondo islamico ci confina. Avere alle porte, anzi già dentro le mura, una pressione reazionaria così aggressiva dovrebbe preoccupare: è una minaccia agli equilibri sociali consolidati da secoli. Ma l’Europa, come si sa, è già di per sé in decomposizione.

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