Un volumone di parodie, dichiarate – a p. 280 Rushdie stesso dice che non siamo capaci che di parodie o pastiches. Cominciando con una caduta alla Alice nel paese delle meraviglie (ma l’idea – 324 – sarebbe mediata da Truffaut, “Gli anni in tasca", 1976). C’è V.Woolf, “Orlando”, nell’idea di tropicalizzare Londra, nell’età dell’umido, c’è l’alpinismo alla Messner, c’è F.T.Marinetti protofascista, c’è perfino forse la morte di Primo Levi (32), oltre a Khomeini e alla blasfemia che il titolo dichiara, e alla confusione del terzomondismo – il male è qui il complesso del colonizzato (Fanon).
Brillante. Da critico culturale prima che narratore, un Arbasino anglo-indiano, quale Rushdie è. Alla Carroll: la complessa materia cronachistica è organizzata nei modi secchi (passaggi repentini, sogni, visioni, ironia su ironie, personaggi fantomatici, apparizioni\sparizioni) alla Lewis Carroll. Il taglio è da montaggio di film – ancora alla Carroll. Costruita si può dire solo la morte del padre (542 segg.). Più che una storia è un rigurgito personale, il disorientamento di un personaggio doppio (triplo\quadruplo): indiano e inglese, progressista e scrittore (conservatore), mussulmano e ateo, terzomondista e occidentalista.
Salman Rushdie, I versetti satanici
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