Lungo esercizio, non paradossale, dell'analista Erik Nielsen sul "Financial Times" di oggi, che vale la pena di sintetizzare.
La retrocessione del debito italiano viene in automatico, come effetto della deriva intrapresa dal mercato, che, "abbandonando i fondamentali", ha portato i costi di finanziamento del debito sovrano italiano oltre il 5 per cento. "Ma talvolta il mercato capisce tutto storto, come in questo caso". Nielsen non trova il motivo per cui il debito italiano costa il 5,1 per cento e quello britannico l'1,6. Due paesi all'incirca della stessa grandezza e ricchezza. Con il debito italiano al 119 per cento del pil e quello britannico all'80, ma: 1) il settore privato italiano, ancora vastamanete manifatturiero, ha bilanci migliori di quello britannico, e le posizioni d'investimento internazionale netto dei due paesi sono "entrambe confortevoli, a meno 24 per cento del pil in Italia, a meno 13 in Uk"; 2} entrambi i paesi hanno accresciuto il prelievo fiscale nel prossimo triennio per tenere l'indebitamento sotto controllo, ma meglio ha fatto l'Italia, che passa da un attivo primario dello 0,9 per cento del pil quest'anno a uno del 5,7 entro quattro anni; 3} la sterlina ha sempre variato al ribasso dal 2007, e la tendenza appare destinata a rafforzaarsi, non avendo il deprezzamento rilanciato finora le esportaioni, mentre l'Italia sta e deve stare entro l'euro.
Le posiziooni relative dei due paesi, anche se entrambi sono deboli, con economie stagnanti, vedono la Gran Bretagna peggiorare sensibilemente dopo la crisi del 2007:
"Nel 2007 il Britannico medio aveva un reddito sueriore del 30 per cento a quello dell'Italiano medio, ora solo del 5 per cento, secondo l'Eurostat".
Una sola ratio Nielsen trova al mercato, collegata all'ultimo punto della sua esposizione: che il debito britannico resta legato a una banca centrale britannica, finora sempre disposta ad accettare aggravi fiscali marginali stampando invece moneta.
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