sabato 22 ottobre 2011

A Sud del Sud - l'Italia vista da sotto (105)

Giuseppe Leuzzi

La cifra è il gioco al massacroGiampaolo Pansa, per quanto frughi nella memoria, non ricorda nell’autobiografico suo penultimo libro, “Il revisionista”, di essere stato minacciato o spintonato a Reggio Calabria nel 1971, al tempo della rivolta. Di ricordi, a quarant’anni di distanza, ne ha un altro, nitido: “Rammento invece che i «Boia chi molla» reggini ci attendevano tutti i santi giorni. Ogni mattina, nell’uscire in gruppo dall’hotel, trovavamo ad aspettarci un comitato di ricevimento, sarcastico, però non violento. Assegnavano i voti ai nostri articoli usciti quel giorno, voti sempre bassi: tre, due meno, uno e mezzo. Poi ci prendevano per i fondelli: «Ecco i cornuti, i servi di Mancini! Passano i grandi scrittori! Dottore Pansa, avete perso una virgola!...”
La parola giusta sarebbe canzonare. Ma è toscana, senza senso localmente (la parola più giusta sarebbe “dare la baia”….). Localmente si dice coglionare – che è anche toscano, con senso lievemente diverso, ma congruo. Più giusto sarebbe sfottere – anche riflessivo, soprattutto riflessivo: non prendersi sul serio. Quello che il francese letterario chiama jeu de massacre, nelle corti e nei salotti prima che nelle piazze. Ma per saggezza antica, filosofica. Atavistica, rassegnata. È la cifra degli ultimi narratori locali, Delfino, Zappone. Anche, a ben guardare, e malgrado se stesso, di Abate.

Mafia e antimafia
Black-out totale, all’improvviso, per un paio di settimane, non s’è più letto di Ciancimino. Ce n’è stato infatti uno che diceva cose importanti, anche contro i suoi interessi, e senza chiedere nulla in cambio: Roberto, uno di tre fratelli Ciancimino solidi in proprio, due avvocati, un notaio, senza gli evidenti problemi psicologici del fratello minore Massimo, il cocco di mamma, incapace e inconcludente. Roberto ha anche raccontato retroscena molto “gustosi”, alla moda del gossip imperante: titoli, yacht, palazzi, saghe familiari, tra il figlio piccolo con la madre chioccia e tre fratelli solidi, due avvocati, un notaio. Di che riempire giornali in quantità, se non faldoni di tribunali. Ma si è dovuto accontentare di una tribuna locale, e senza clamori.
I Ciancimino sono passati di moda? No, c’è voluta una pausa, per far decantare la verità, quella dei fratelli che non si avvalgono mafiosamente dei tribunali. Il cocco Massimo Ciancimino, non più utilizzabile per il complotto di Ciampi e Conso con Riina, serve ancora contro il ministro siciliano di Berlusconi, Romano. La pausa serve anche a fargli imparare bene la lezione.


“L’Italia fallirà a dicembre”, George Soros ha scritto sulla “New York Review of Books” a metà settembre. Lo ha scritto in un lungo a argomentato saggio. Che però, letto e riletto, non dice perché quella data.
Sconvolgente. Tanto più se uno no vuole soggiacere al complesso del complotto. È un “avvertimento” mafioso, ecco che. 


Autobio
Il maestro Scutellà è morto. Era il sarto, di scuola napoletana, con cui ci siamo fatti un sacco di bei vestiti. Tagliava come sanno tagliare i sarti napoletani, e le stoffe pettinate, le migliori,”ritiravamo” con poche migliaia di lire al metro, dai migliori produttori (uno di quei vestiti è ancora buono, dopo cinquant’anni, e di grande figura). Tutta roba che oggi si vende dai duemila euro in su, il due pezzi, dai tremila il tre pezzi o il doppiopetto.
Ma le sorprese non si limitano al ricordo. Alla visita di condoglianze in casa, il primo che si presenta è … il maestro stesso. Scopro nell’occasione che aveva un fratello identico. Minore d’età, ma somigliante come un gemello. E capisco infine perché talvolta, quando lo salutavo per strada, non per abitudine come usa incrociandosi nei paesi ma segnatamente, “buongiorno maestro”, mi rispondeva sorpreso. Non si abusa, non si abusava, del titolo.

Tutto si chiude ora sempre, la porta, le finestre, perfino gli armadi, i comodini, le dispense. Per la paura dei ladri naturalmente, anche se nei paesi non ce ne sono.
Anche i rumori sono molesti. Dei bambini che giocano fuori. Delle mamme che sgridano i bambini. Della sega, a mano, elettrica, che in qualche posto remoto prepara la legna per l’inverno.
Tutto costa, anche i pomodori in soprannumero che un tempo si regalavano piuttosto che buttarli, la legna da ardere, e le castagne. Soprattutto le castagne.
Nessuna conoscenza è mai acquisita: vicini e conoscenti si scoprono ogni volta, anche se nei paesi, purtroppo, persone e vicende raramente si rinnovano. Quindi ci sono sempre da rivangare le solite storie, solitamente sordide.
Il nuovo è molesto, se tutto è molesto.

Ci sono molte cose che nel corso della vita uno s’immagina (s’illude, si lusinga) di aver fatto. Una di queste è l’accordo del 1973 per il gas al’algerino, nel pieno della crisi petrolifera. Un accordo che, dopo alti a bassi durati un decennio, da Mosca fino a Washington passando per Parigi, e forse anche qualche morto eccellente, fu realizzato in poche settimane a partire da luglio del 1973, da due sole persone, Pasquale Landolfi e l’autore.
Un fatto però è certo. Durante i lavori per la costruzione del gasdotto in Calabria, Maria, una delle virtuose figlie d’Isabella e Peppe, vicini e custodi, conobbe un virtuoso, benché taciturno, operaio lombardo, col quale hanno costituito una bella e resistente famiglia.

leuzzi@antiit.eu

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