Maria Tesesa Meli censisce sul “Corriere della sera” diciassette correnti all’interno del partito Democratico. Sono troppe, ma non sono tutte. Sono una patologia, ma non la più grave.
Delle diciassette correnti censite, con capicorrente e seguaci, dieci sono ex Popolari. Anzi undici contando Rosy Bindi, che Meli non considera. Sono capicorrente cioè senza voti. I voti del Pd sono all’ottanta per cento, forse al novanta, ex Diessini.
Gli ex Popolari proliferano schermandosi dietro la necessità di recuperare il voto di centro. Ma il voto di centro può confluire dappertutto eccetto che nei Popolari. Basta scremarlo: i casiniani e gli ex mastelliani, e le varie tipologie di ex Dc all’interno del partito di Berlusconi. Solo tra questi i Popolari possono recuperare qualcosa, ma del tipo Pisanu, uno che rappresenta solo se stesso e cerca posto, non uno Scaiola o uno Schifani. La proliferazione di capi e capetti tra i Popolari è una riproposizione, all’occhio di tutti, del correntismo della Dc, che anche nelle sue incarnazioni migliori (Moro-Fanfani, Andreotti-Fanfani, Andreotti-Moro, Andreotti-De Mita) fu solo dannoso.
Nell’area ex Pci, a fronte dell’indebolimento dei vecchi capicorrente, D’Alema, Veltroni e Fassino, resta forte l’opzione esterna. Che il partito naturalmente non ha concesso, ma che ogni ex Pci si sente intitolato a prendersi. Vendola è il primo e il più insistente, ma non è il solo. Presidenti di regione, come Rossi, o ex primattori come Chiamparino (il partito del Nord), si ritengono ancora in corsa - Rossi e Chiamparino sono certamente del Pd, ma sono considerati e si considerano esterni.
La frammentazione non è il problema maggiore. Che resta invece la vocazione del Pd. Un’idea o una parvenza d’idea, di programma, di obiettivo. Buttare giù Berlusconi è l’unico. Ma è anche il punto di forza di Berlusconi stesso, che altrimenti, come si vede dalle cronache, sarebbe personaggio debolissimo: dopo di me che cosa?
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