Landolfi fuori dell’aneddotica, il nobiluomo di Sora sfaccendato, il giocatore incallito, non reticente, non segreto, in questo diario poetico. Che è la parte migliore della sua scrittura, più dei racconti, con “Rien va” e le tante altre pagine di confessione. Di un solitario, essenzialmente: l’io col Dio di tutti – l’io e il suo Dio, si suole dire, ma questo è un Dio protestante, sicuramente una barbarie per la sensibilità di Landolfi.
Non un’eccentricità, è anzi un Landolfi tradizionale il poeta di questi versi, con l’endecasillabo spesso, e con la tematica d’obbligo leopardiana, della vita interrogata con disdegno. In linea, se si vuole, col vezzo di tanti illustri narratori di pubblicare al’ultimo una silloge poetica, Volponi, Elsa Morante, Bassani. Ma poeta era Landolfi, si scopre, traduttore che sempre si legge di tanti poeti, russi e non, che la raccolta dedica a Tjutčev, altro poeta che oggi si riscopre, nella sua traduzione di mezzo secolo fa.
Il libro fu composto quarant’anni fa nel giro di un anno, dopo la malattia, e segna la fine dell’amore – della lusinga d’amore. In presenza della morte – la civetta, la maledetta: “Dal tocco della morte vivo\ oggi risorgo: ma domani?\ Mentre io quasi morivo\ Erano distratti i familiari”. Ma di più segna l’insofferenza della solitudine, nel più solitario degli scrittori del Novecento che pure era ritenuto e avrebbe voluto essere il più socievole.
La presentazione alla prima edizione, del 1972, che potrebbe essere stata scritta da lui stesso (o dal sodale Pampaloni?), ripete il Landolfi noto: il prosatore “di raffinatissime clausole, preziosi intarsi, sontuosa sottigliezza” e “stilista sommo, traduttore e lettore raffinato”. Ma la poesia è semplice, apparentemente, e veritiera. Volendo, si può anche dire che il giocatore ha scommesso sulla semplicità della raffinatezza. Ma c’è pathos nei trecento componimenti, non solo nel titolo. Di risentimento – c’è anche un bianco nella prima edizione, dopo “All’ululo del lupo”. E di ribellione alla morte nella solitudine – subito in apertura Landolfi impone un distico, una sorta di apoftegma, ed è una bestemmia: “Oh Dante, Dante!\ Gronda m. il paradiso”.
Tommaso Landolfi, Viola di morte, Adelphi, pp. 317 €22
martedì 22 novembre 2011
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