domenica 27 novembre 2011

Il mondo com'è - 75

astolfo

Austerità – Ritorna attribuita a Moro – che di questo invece non ha colpa. Moro l’avrebbe importata in inglese, tal quale dagli Usa, austerity. Mentre era piuttosto un termine lamalfiano, che il leader del Pri, questo è vero, insufflò a Moro, liquidando nel 1974 la fiorentissima industria italiana dell’elettronica di consumo italiana insieme con la tv a colori (col plauso dell’economista Deaglio, il marito della ministra Fornero: l’Italia non poteva permettersi la tv a colori…). E insieme contagiarono Berlinguer, che non aspettava altro e ne divenne l’alfiere, vaneggiando un Nuovo Modello di Sviluppo, questo senza l’automobile… I governicchi Andreotti che Berlinguer partorì si rifecero a Ippia tassando “la proiezione sul suolo pubblico di balconi, tende e pensiline, anche se da ciò non deriva alcuna limitazione all’uso dello stesso” - tassarono l’ombra... Insieme con la tv a colori La Malfa bloccò il credito. Per dispetto a Sindona, che voleva aumentare il capitale della sua finanziaria, La Malfa decise: c’e troppa liquidità, riduciamo il credito, blocchiamo gli aumenti di capitale…

Mossa forse non sbagliata, ma allora politicamente. Se Bacone ha accertato che “ciò che abbatte lo spirito di un popolo è caricarlo di tasse”. Prodroma della tassazione del compromesso storico, una tantum e a rate, senza naturalmente risolvere nulla, poiché il problema dell’Italia è la spesa, tutta spreco, e non le entrate, che sono altissime, le più alte pro capite in tutto il mondo, quale che sia l’evasione.

Ma la parola, se non la cosa, è anch’essa innovazione di Fanfani – come tutto nella storia della Repubblica. Fanfani tentava nel 1974 il recupero del Vaticano, in guerra aperta alla Fuci, la gioventù universitaria cara al papa, tra Andreotti e Moro. L’allora senatore era un grande, anche se non era alto - andò alla Costituente dal corporativismo, e l’Italia disse artigianale, mentre favoriva la grande impresa e ogni novità: non si sbagliava, il lavoro ben fatto è sempre la ricetta, ma guardandosi attorno. Si fece fare un’intervista dl “Globo”, uno dei giornali finanziati da Cefis, e lanciò il verbo: “Siamo tutti responsabili”, disse. Di aver pagato il petrolio con dollari svalutati invece che con “attrezzature e cointeressenze utili ai paesi arabi”.
Fanfani, che nell’intervista la menò in lungo con le relazioni internazionali, di cui si voleva pro-tagonista, con l’“austerità” del “siamo tutti responsabili” aveva in mente un altro filone di storia pratica – quello che poi Carli, governatore uscente della Banca d’Italia, chiamerà triangolazione. La sua austerità era geniale a molteplici fini. Era marxiana, e quindi gli portava Berlinguer, di nuovo dopo il divorzio – Marx credeva, come Caligola, che la rovina dell’economia non è la carestia ma l’abbondanza. Incollava gli italiani alla sua tv, la tv di Fanfani- che è lacrimosa, ma non a caso: la tela che continua a tessere del pauperismo è di fatto la tela del potere inoppugnabile, all’origine fanfaniana. E facendo saltare almeno un’annata di nuovi modelli di autombili, lo vendicava dell’Avvocato Agnelli, che l’aveva criticato.
Ma Berlinguer, che aveva bisogno di quella parola d’ordine, di essere colpevole, non voleva più farsi governare da Fanfani, come per il divorzio. Moro e La Malfa non vollero essere da meno di Fanfani, e la sintonia trovarono più facilmente con Berlinguer. Il modello era peraltro prestigioso, l’Inghilterra dopo la vittoria sull’Asse, che a lungo s’era imposta l’austerità: steak-house senza bistecche, pub senza birra, strade sporche, case scrostate, cenci ricoperti da soprabiti consunti. Lo stato depressivo generalizzato, si sa, si fa ben governare – è la lezione del socialismo reale. Gli altri, i fautori della modernità e della libertà, minoranze seppure gonfie di numeri, acculando ai consumi: patacconi dell’auto nuova, delle vacanze intelligenti e no, e dello stereo double bass. L’austerità si può vedere in forma di tosatrice: un taglierino che sotto le specie della paura operoso evira la rivoluzione.

Borghese - La parola non ha nulla di sociale, o di socievole: è l’abitante di città. Deriva dai “borghi”, i quartieri sorti all'esterno delle mura che successivamente venivano conglobati nelle città in crescita. In uso all’origine nell’area tedescofona continentale del Nord, la Francia settentrionale fino alla Bretagna, le Fiandre, la Germania, il latino medievale burgenses trasformato in francese bourgeois e in tedesco bürger. Francs-bourgeois erano a Parigi i borghesi poveri, col privilegio della “no tax area” di Tremonti, affrancati dalle imposte.
Prévôt des marchands, il capo dei commercianti, era anche il sindaco, il bàilo, il podestà a Parigi: era “alla testa dell’amministrazione municipale di Parigi” nel Trecento, dice il Petit Robert.

Germania – Ha vissuto una lunga stagione, fino alla caduta del Muro, all’insegna dell’Europa. Alfiere e per molti aspetti pivot dell’annegamento delle nazionalità nel Mercato comune e poi nell’Unione Europea. Tutto il tempo della Repubblica Renana, con capitale Bonn, e fino al cancellierato di Helmut Kohl. Ma già al tempo di Kohl l’opzione europea era scaduta: le due decisioni storiche della Germania negli ultimi venti anni Kohl le prese in solitudine, e anzi contro l’establishment, della Bundesbank e del suo partito, i Cristiano-Democratici, e nel sospetto dei socialisti: l’unificazione “alla pari” fra Germania Ovest e Germania Est, e la creazione dell’euro.
Con la caduta del Muro i tre condizionamenti postbellici della Germania sono venuti a cessare, che determinavano l’opzione europea: l’Unione Sovietica e i suoi satelliti, con un piede a Berlino, il peso della Colpa nel relativo isolamento politico, l’incertezza o la paura. Kohl pagò per la sua sfida europea: fu messo da parte con un finto scandalo (avrebbe favorito nella ricostruzione all’Est una società francese vicina a Mitterrand, o ai socialisti francesi…). E in tutti i dossier aperti la Germania ha da allora seguito una politica apertamente nazionale, in particolare sulla costituzione della Banca centrale europea, fieramente avversata anche dopo la costituzione. Su alcuni dossier anche – che paradossalmente l’accomunano all’Italia – in dissidio con Washington: l’apertura verso la Russia (gas e altri beni “strategici”), e le guerre americane in Medio Oriente.

Procuratore della Repubblica – Molti scabini, Procuratori allora del Re, hanno voluto a avuto una strada a loro intitolata a Parigi, racconta Queneau in “Conosci Parigi?”: “Era una moda all’epoca, ogni scabino voleva avere la sua strada”. Anche i cancellieri vollero e ottennero lo stesso privilegio. Potenza della giustizia. Ma era prima della Rivoluzione del 1789, quando la giustizia si decideva “sovranamente” in camera di consiglio.

Sovietismo – Quello di risulta ha un fondo di atavismo – il caso è l’Italia: è la cresta di un fondo, una struttura mentale, una sorta d’imprinting. Che riporta, per molteplici radici, alla chiesa. La chiesa è l’incubatrice, etica e istituzionale, della democrazia. Ma della politica mostrando sempre concezione poco lusinghiera: la sua democrazia è come la messa cantata, corale e bene ordinata ma rituale. La democrazia in questo stato d’animo – dalla burocrazia al voto – è un rito ordinatore, un involucro. La rappresentanza? Il civismo? La responsabilità?
Le pratiche “sovietiche” perpetuano e riproducono – razionalizzano – la miscela altrimenti inspiegabile (ingiusta, autoritaria, stranamente incorreggibile) di corruzione e formalismo: la “pratica” sempre incompleta, il rinvio, la vessazione, con la stessa fredda determinazione (buona coscienza) con cui si vorrebbero favori.

astolfo@antiit.eu

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