Si lavora in un collegio femminile, donne-uomini e uomini-donne, attorno all’idea che il lavoro è degradante. La perfidia della signorina Compton Burnett ci gira attorno, nei consueti allusivi, noiosissimi dialoghi. Le sole donne che amano gli uomini, due in un pulviscolo di personaggi, arrivano a introdurre un po’ di fiele, in ruoli servili. La lettura più sorprendente rimane Arbasino, che nell’introduzione riesce ad appaiare Ivy Compton Burnett a Gadda: leggere per credere.
È un romanzo gay di gay, sessant’anni fa forse una bomba. Compreso qualche figlio, non amato, tra monosessuali. A meno che la bomba non sia questa, il disamore: gay e lesbiche vi profondono sentimenti come ghiribizzi, non più costanti delle futili conversazioni. Un romanzo satirico invece che liberatorio, di una lesbica professa a disagio nel mondo femminilizzato.
Ivy Compton Burnett, Più donne che uomini
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