Inni a Monti dai giornali degli affaristi, “Repubblica”, “il Messaggero”, “la Stampa”, e da quelli di Milano, “Sole 24 Ore” e “Corriere della sera”, commossi, ispirati. Per un uomo che è stato solo commissario europeo negli anni 1990. Non è un buon viatico. Monti promette “sviluppo e equità”. Ma sulla fiducia dei padroni, rotti a tutto, e dei buoni credenti di Milano: dichiararlo “santo subito” per portarselo poi al guinzaglio.
Leggere per credere. Le mosse consigliate, anzi obbligate, che i loro giornali unanimi danno per scontate sono la tassazione dei piccoli (case e una tantum), e la vendita delle aziende pubbliche. Che porterebbe, la prima, alla caduta della domanda, l’unica forza che ancora tiene attiva l’economia. Ma bisogna essere un po’ robespierristi. Anche per coprire i grossi-piccoli affarucci che sono in agguato nella vendita accelerata delle aziende pubbliche.
Monti è un freddo, e quindi non se ne lascerà traviare. È questa la scommessa del presidente della Repubblica, che sa di quale pasta è fatto l’antiberlusconismo di comodo che ora festeggia. Come tutti, sa che le nuove tasse andrebbero a ridurre il disavanzo, non il debito. Con il rischio, appunto, di ridurre le entrate complessive. E naturalmente sa che il pareggio di bilancio non si ottiene con nuove tasse ma con la riduzione dello spread sui Btp.
Ma Monti è anche un uomo di Milano, Napolitano dovrà vigilare molto per tenerlo sulla strada giusta. Che è una sola, da troppo individuata (da troppo tempo: impraticabile? e perché?): 1) rimettere in moto l’Italia, stagnante dal 1992, vent’anni, portando finalmente alla crescita il pil, quindi la sostenibilità del debito; 2) mantenere il debito nei limiti già segnati da un bilancio da sempre in attivo primario, senza aggravare pericolosamente questo attivo. Ma per far crescere l’Italia bisognerà rifare le leggi del lavoro (mobilità) e della previdenza (costo del lavoro).
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