martedì 8 novembre 2011

A Sud del Sud - l'Italia vista da sotto (107)

Giuseppe Leuzzi

Due delfini giocano sotto lo scoglio. O è un branco di cui uno o due si fermano a giocare con le ombre. Un branco di pesci volanti sono passati, sollevandosi sul mare a semicerchio in fila indiana con perfetta simmetria, l’ultimo salta su quando il primo s’immerge. Un altro branco fa gli stessi balzi lontano, in direzione, chissà, dello Stromboli – le correnti calde li avranno confusi, penseranno che non è ancora tempo di tornare al tropico. L’acqua sciaborda immobile in una luce diafana di prima mattina, anche se il bagno è da tempo in attività. La trasparenza di cristallo le dà un colore fra il verde e l’azzurro. Ma i bagnanti sono sempre immersi nel “discorso” sul luogo. Le meduse – che quest’anno non ci sono state. L’inquinamento – che qui non c’è. La sporcizia – che quest’anno non c’è. stata. La mafia – che pure ci dev’essere. Reale è il “discorso”.

“L’emarginazione del Sud viene da molto lontano”, è il tema della prefazione con cui Franco Cassano ha ripresentato qualche anno fa “Il pensiero meridiano”. Da ultimo il Sud è diventato “una periferia”, che lo Stato ha tentato di curare con l’intervento straordinario: “Oggi che quell’intervento non c’è più, che sotto la spinta della globalizzazione liberista la solidarietà tra le diverse aree del paese si è drasticamente ridotta, l’apologia di una nozione ristretta di autonomina è per il sud una pericolosa illusione”, conclude il filosofo.
Ma nulla impedisce di pensare il Sud integrato “autonomamente” nel mercato mondiale. Con una sua propria politica agenda. Con una sua propria politica industriale. Il porto di Gioia Tauro, l’unica iniziativa privata di grande dimensione e un successo economico lo dimostra. Malgrado le infrastrutture sempre carenti: un raccordo autostradale che ha preso quindici anni (e conduce alla Salerno-Reggio Calabria), una ferrovia inesistente, una formazione al lavoro scarsa o nulla.

Alla fine, agli sgoccioli, alla frutta, decide lui anche per le opposizioni, ancora una volta. Si può sottovalutare Berlusconi – il suo quasi ventennio, a cose fatte, è davvero una svista della storia – ma è Milano, che ne è il cuore. Una delle due Milano. L’altra è Bossi: quella che si fa gli affari propri. Che è la filosofia della mafia, in senso proprio, in tutto e per tutto, con avvertimenti, soprusi, raggiri, soffiate, e anche assassini, seppure via “Corriere della sera”.

Alfano, il meridionale più alto in grado nel milanesismo, alla fine è perplesso, pure lui: Come può esistere un berlusconiano antimafia, e perfino siciliano?, si domanda. È quella che chiama la “tara etnica”. Ancora uno sforzo!

Tutti vigilano sull’Italia, il Fondo monetario, l’Unione europea, la Banca centrale europea. L’Italia non è imputata di nulla, ma il Nord dell’Europa vigila, non se ne fida. È la nemesi per un governo nordista e leghista. A opera di un Nord dichiaratamente fellone: la Germania che pretende di non consolidare il debito del Kreditanstalt, la finanziaria per l’Est, e la Francia che per non far declassare le sue banche, tecnicamente fallite, si è comprate una o due delle agenzie di rating.

Ma c’è soddisfazione nei giornali milanesi, gioia maligna, che si fanno megafono di queste vigilanze, “Il Sole 24 Ore” e il “Corriere della sera”. Solo in parte ascrivibile alla guerra a Berlusconi. Il “Corriere della sera” aprì la campagna procurandosi, “per vie traverse”, la lettera con cui la Bce il 5 agosto chiedeva certi provvedimenti all’Italia intesi a “rafforzare la reputazione della sua firma sovrana” sul debito. Se la procurò a fine settembre, quando molte di quelle misure erano state varate, per riaccendere i fuochi, presentando la richiesta come nuova.
Milano non teme la crisi, dev’essere un bel business, fra trading di Borsa e nuove campagne elettorali (partiti, candidati, emblemi, slogan). Il “Corriere della sera”, nel mentre che offriva a Berlusconi brandendo la lettera una “resa condizionata”, irrideva l’opposizione: la lettera diceva per essa “anatema, con la Cgil in piazza e Vendola nel governo”. La soluzione? Non ce ne dev’essere una.

Camus, “L’uomo in rivolta”, p. 320, nota: “La storia della Prima Internazionale, in cui il socialismo tedesco lotta senza posa contro il pensiero libertario dei francesi, degli spagnoli e degli italiani, è la storia della lotta tra ideologia tedesca e spirito mediterraneo”.

L’odio-di-sé meridionale
“Il Gattopardo” è all’ingrosso, quale riuscita narrazione, nell’asfittico panorama italiano del dopoguerra perfino formidabile, e al minuto una desacralizzazione eterna della Sicilia. Come un sacre, un’incoronazione al contrario, se non una condanna all’inferno. Un nemico forsennato dell’isola non avrebbe potuto immaginare arma migliore: polverizza ogni resistenza ed è indistruttibile, tra nobili stupidi e borghesi avidi. Senza odio, molto matter-of-fact. Perché, sì, i borghesi sono avidi, e i nobili in genere, se decadono, molto brillanti non devono essere, ancorché eccentrici.
Dov’è allora l’odio-di-sé? È comparativo. Nulla del genere è stato mai nemmeno pensato altrove, non a Napoli o a Roma, a Milano, a Torino. “I promessi sposi” sono un analogo, benché meno appassionante, catalogo di stupidità e turpitudine, ma non milanese, non lombardo. La Sicilia di Tomasi è senza Provvidenza, e quindi è tutta colpa sua.

Il crogiuolo mediterraneo
Il Mediterraneo è un crogiuolo liquido. Un grande (piccolo?) Usa che avesse il mare invece delle praterie. A lungo con una forma di lingua comune, la lingua franca. Lo è stato per millenni, e oggi di nuovo, dopo la decolonizzazione. “Oggi Mediterraneo vuol dire mettere al centro il confine”, opina Franco Cassano, nella prefazione alla riedizione de “Il pensiero meridiano”. E il perché è evidente: “È sul Mediterraneo che il mondo del nord-ovest incontra il sud-est”, e per questo è controllato a vista dalla sesta Flotta Usa. Ma è un controllo remoto, di una lontana provincia. Di un impero che proprio per questo, il controllo remoto, è un’ossificazione o un cadavere. Il Mediterraneo rivive, seppure nel risentimento, l’impero sopravvive, e per il timore più che per la forza.
Un impero che non promette più nulla, né libertà, modernità, futuro, ricchezza? Il Mediterraneo invece si muove: è un segno di vita, il primo, prima ancora di emettere un suono.

leuzzi@antiit.eu

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