Piccole ma illuminanti raccolte, e più la prima, quella dei testi sparsi di Celan dal 1941 (il poeta ha 21 anni) al 1969, un anno prima del suicidio, a cura di Bertrand Badiou e Barbara Widemann , e per l’edizione italiana di Dario Borso. Che ne confermano l’intraducibilità. Tanto più, anche in questo, la prima raccolta, di versi in buona parte d’occasione, per gli amici, e “semplici” o “tradizionali” – già “Nera corona”, del 1941, è inafferrabile in traduzione: il Tau der Tage, guazza dei giorni?, il Klang der Klage, suono del lutto?, il Tasten trage, reggi il brancolare?, e lo scoppiettio finale, di Schweigsamen, Stürme, Stille, Scheite, Schlaf, che sono e non sono “taciturni, bufere, silenzio, ceppi, sonno”.
“Oscurato” è un piccolo canzoniere che Celan compose nel 1966, nel tentativo di riguadagnare l’attenzione della moglie, dopo che aveva tentato di accoltellarla ed era per questo finito in manicomio. In traduzione è proposta con una editoriale di Borso, e un saggio di Giorgio Orelli. Borso dà in traduzione anche un’intervista di Celan, il 26 dicembre 1966, perfino perentoria: “Mi adopero a riprodurre in parole porzioni porzioni almeno dell’analisi spettrale degli oggetti”, non potendo “mostrare gli oggetti da tutti i lati”. E: “Resto nelle mie cose aderente al sensibile”. Orelli ricorda Mallarmé, “il poeta, verbale”, e d’acchito rileva “la straordinaria attenzione alle forme interne delle parole”, leggendo Celan in parallelo con Rilke - e infine con Petrarca... (c’è un po’ di approssimazione nell’edizione di Celan: dei 35 componimenti di “Oscurato” 21 sono inediti, ma gli altri 11, il blocco centrale, compreso il testo che dà il titolo, già pubblicati da Siegfried Unsel nel 1968, nell’antologia “Aus aufgegebenen Werken”, da opere abbandonate, sono centrali anche nella raccolta “Poesie sparse pubblicate in vita”).
Canzoniere è la parola giusta perché il corteggiamento della moglie era stato tentato dal poeta prima dell’accoltellamento, con un viaggio in Provenza a trovare René Char, “direzione Valchiusa” e Petrarca. E per questo la raccolta s’impone, per l’aneddoto, la biografia. Per il resto conferma l’interesse esclusivo di Celan per la parola, il detto dell’altrimenti non detto – l’amore ci sarà ma non si vede: “Una lingua/ genera se stessa”, si legge in uno dei componimenti. Le note ai testi documentano l’interesse esaustivo di Celan per le parole “sconosciute”, che trascrive dalla contemporanea lettura di Thomas Wolfe tradotto in tedesco, di Conrad, di Joyce.
Su questo stesso aspetto, peraltro, la piccola raccolta dei testi sparsi è più direttamente illuminante. Chiusa da un saggio di Sandro Zanzotto, denso e poco esplicativo benché scritto per il “Corriere della sera” nel 1990, ma con una conclusione forse illuminante: il crollo finale di Celan è messo in relazione con la visita tanto attesa che il poeta fece a Heidegger nel 1967, spingendosi fino al Todtnauberg, la montagna della Svevia dove il filosofo soggiornava, che lo accolse col mutismo, sornione – “traspaiono uno Heidegger chiuso fino ai limiti dell’autismo e un Celan travolto in un angoscioso smarrimento”.
Coprendo tutta la vita poetica dell’autore, al di fuori quindi dell’eccezionalità dell’elemento biografico, questi versi sparsi hanno il non piccolo merito di chiarire il fenomeno Celan, linguistico prima che storico, etnico, filosofico – per questo intraducibile. Per una commistione fisica con la lingua, non critica, non studiosa, che Celan ha vissuto più che parlato, come ogni minoranza. Senza riserve. I curatori notano che qui Celan usa una volta, la sola volta in tutta la sua poesia, la parola deutschen, tedesco, ma l’immedesimazione è totale e animata, vivente. E senza mai risentimenti – anche nelle poesie tristissime della morte della madre e del padre, nel campo di concentramento al confine con l’Ucraina. Pur nella coscienza sempre, e anche nella pratica, dell’ebraismo, fino al sionismo – che però non seguirà, poiché implica l’abbandono della lingua. Un fenomeno (una dialettica? una contrapposizione? un limite?) che Hannah Arendt ha chiarito nell’appassionante “La lingua materna”.
Il possesso della lingua è qui esagerato. Spinto ai giochi di parole e al nonsense (alcuni nonsense sono parte già dal 1964, apprendono le ottime note, dell’antologia tedesca del genere, “Die Meisengeige . Zeitgenössichen Nonsens-Verse”, a cura di B.G.Fuchs). Con rimette, assonanze, allitterazioni, filastrocche. Molte le filastrocche. “Allucinazione” ha al secondo verso Im Busch pflückt der Engel der Schläfer die bittere Beere (nel bosco l’angelo dei dormienti coglie le bacche amare), dopo l’entrata coinvolgente (leopardiana) Mondhelles Herz: nun hebt sich der Schleier vom Spiegelbild (cuore chiarolunare: or s’alza il velo dell’immagine riflessa). O nel componimento “Conta”. Moltissimi i calchi, ora parodici ora pasticciati. Quello di Goethe, per esempio, che apre “Prossimità delle tombe”, introduce cioè all’immagine dei genitori morti in esilio, in prigione: Kennt noch das Wasser des südlichen Bug. I curatori hanno rintracciato reminiscenze di altri poeti, anche contemporanei, quasi in ogni componimento.
Paul Celan, Poesie sparse pubblicate in vita, Nottetempo, pp. 155 €8
Paul Celan, Oscurato, Einaudi, pp. 105 €11,50
sabato 3 dicembre 2011
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento