Una nuova geografia in un giallo. È sorprendente il ritratto dei “bagni” in Versilia, e del provincialismo italiano (più acuto in Toscana), in questo che pure non è uno migliori gialli di Dibdin.
L’“italianato” scrittore inglese, morto quattro anni fa a sessant’anni, sarà stato il miglior ritrattista dell’Italia anni Ottanta-Novanta con la serie di storie concepite attorno a Aurelio Zen, “dottore” (commissario di polizia) di Venezia, in giro per la penisola, fino alla Sicilia e alla Sardegna. Qui con un’istruttiva diversione in Islanda. E con alcune intuizioni di solito fondamento antropologico. Una è la “diversa natura” dei non-luoghi, nel caso la “rete autostradale”: un mondo a sé, coi proprie regole, codici, orari, schemi organizzativi, luci anche, disposizione degli spazi, assortimenti. L’altro è il provincialismo, che per esempio (a parte la geometria e la logica dell’ombrellone nel bagno Mario, o Piero) divide Lucca da Pisa – Dibdin pensa erroneamente ma azzeccandoci. In piazza a Lucca una rivista insulta i pisani: “Una scoperta medica rivela perché i pisani nascono – il rimedio non c’è”. Dibdin la spiega come la diffidenza della città “industriosa, mercantile” verso “la città di mare, con la sua inaffidabile ciurma di briganti e avventurieri”. Mentre la rivista è chiaramente “il Vernacoliere”, pensato, scritto e pubblicato a Livorno. Che quindi opera al contrario: è la ciurma di briganti e avventurieri che insulta la paciosa, torpida, città di terra che Pisa nel frattempo è diventata. Ma l’odio non è diminuito.
Michael Dibdin, … e poi muori
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