Dunque c’è una diversa percezione dei mercati della solvibilità dello Stato spagnolo rispetto allo Stato italiano: lo spread dei Bonos spagnoli rispetto ai Bund tedeschi è la metà, o poco più, di quello italiano, 280 contro 520 punti. Benché il governo Rajoy non abbia fatto ancora nulla, mentre Monti ci ha coperti di tasse, visibili e invisibili.
Se ne portano varie ragioni. Ma una sola non ha controindicazioni, che si tace. Proviamo a esporla.
Il debito spagnolo, si dice, è la metà di quello italiano, o poco più della metà, in rapporto al pil, dunque è più gestibile. Ma il debito spagnolo negli ultimi quattro anni, quelli della crisi finanziaria, è cresciuto, quello italiano è rimasto più o meno stabile, in rapporto al pil. La Spagna ha due grandi banchi, che fanno funzione di cassa dello Stato. Ma anche l’Italia ha due grandi banche. Senza contare che i banchi spagnoli, se si guardasse alla solidità del loro attivo, sarebbero due grandi buchi – l’attivo è legato a un immobiliare che ristagna da prima della crisi finanziaria. Rajoy ha annunciato tagli alle spese, si dice ancora, e non aumenti di entrate: ha cioè annunciato una manovra antirecessiva. Questo è vero. Ma la Spagna ha un’economia bloccata da tempo, e una disoccupazione doppia di quella italiana.
No, la chiave è la debolezza del governo, Non di questo o quel governo, ma della funzione di governo in Italia. Di cui è riflesso l’antipolitica, cioè le forze che il governo vogliono debole. Dapprima nelle forme golpiste di Scalfaro e Borrelli, poi in quelle della faziosità accentuata e tramutata in odio. Di cui si fatica a vedere l’origine e la natura se non nel “governo attraverso la crisi” che è la costante della storia della Repubblica dal centro-sinistra in poi. Degli interessi costituiti, pochi ma abbastanza forti da condizionare l’opinione pubblica: sono infatti gli stessi, imprenditori e banchieri, che dell’opinione pubblica sono padroni in senso proprio, in quanto editori e quasi benefattori.
Andreotti lo ha detto e lo ha scritto, l’ultimo rappresentante della politica: governare è solo possibile “attraverso la crisi”. L’impossibile riforma dell’esecutivo ne è una riprova: in un sistema elettorale che stato reindirizzato sul plebiscitarismo, l’investitura diretta di un capo, ai Comuni, alle Province, alle Regioni, questo è impossibile per il governo. L’Italia resta un’eccezione fra le democrazie: non solo i paesi anglosassoni, ma la Germania, la Francia, la Spagna, i paesi scandinavi, tutte le democrazie hanno un governo che governa, l’Italia non può. I padroni dei giornali e i loro esperti sociologi politici, l’ineffabile decano Sartori per primo, non hanno altra funzione da trent’anni a questa parte che silurare ogni tentativo di ridare autonomia al politico. Ora impegnati a sgretolare l’uninominale e il bipartitismo, che approssimano quella soluzione.
L’odio è più evidente a Milano, tra Lega, Berlusconi e antiberlusconismo. E la Curia: l’odio è anche ecclesiastico a Milano. Dove è più evidente il nessun contenuto di classismo nell’odio, quali che siano le intemperanze di questo o quel giudice, gente poco avvezza a lavorare, e quindi a riflettere, o di giustizia sociale. Ogni forma di governo dev’essere resa impossibile, questa e l’unica verità. Di Berlusconi come di Prodi e di ogni altro. E questa è la novità di Monti: che il professore milanese lo sa, è per questo che traccheggia.
Tanta albagia sembra al punto in cui siamo suicida, un muoia Sansone con tutti i filistei. Ma l’antipolitica ci è abituata, ad allentare la corda della faziosità sterile per poi tirarla di fronte al burrone. Successe nel 1975-76, quando l’Italia non ebbe più un dollaro di riserva, e si voleva Moro in prigione. E nel 1983, quando l’inflazione superò il 20 per cento, aizzando Berlinguer contro Craxi – la manovra antistabilizzatrice allora fallì per l’inatteso successo del referendum contro la scala mobile, ma Craxi la pagò qualche anno più tardi.
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