È vent’anni fa, quando fu concepito, il manifesto del leghismo. Bossi, che non ne sapeva molto, troverà nella penna divertita di Brera gli argomenti per diventare il terzo partito d’Italia: i Longobardi, l’arianesimo, la Padania, il “maschio Milano”. È il lato simpatico del leghismo, ma quanto orrido. “Considero Brera”, dice Brera di se stesso al termine del capitolo su Manzoni, “incapace di odiare”. Ma Bossi non è per ridere – Brera non ne sarebbe contento.
“Milano è maschio” è il capitolo centrale. Che così comincia: “Per la femmina Italia – madre dei vitelli – sono femmine tutte le città. Sia questo dunque il primo doveroso atto d’amore, di riaffermare la maschilità di Milano. Il suo nome è germano-celta…”. E dunque ariano: “Virilissimo centro di vita…. Per ospitare uomini di tempra nordeuropea”.
Non sono narrate gesta molto maschili, prima e dopo questo zoccolo duro. A parte le efferatezza, molte peraltro a opera di donne. Ma si capisce che l’Italia, dacché esiste, sia sempre improsata da Milano: Milano sta lì, “in alto”, per quello.
Gianni Brera, Storie dei lombardi, Book Time, pp. 340 € 18
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