lunedì 5 dicembre 2011

Il mondo com'è - 76

astolfo 
Civiltà – Lo scontro di civiltà è dottrina della Trilaterale, quindi di quarant’anni fa, e ancora prima della Nato. Il vecchio roll back dei fratelli Dulles riadattato all’epoca degli euromissili, o missili di teatro, insomma dell’Europa sotto un cielo stellato di razzi sovietici a testata nucleare multipla. E una riedizione del vecchio dubbio dell’Europa: che farsene della Russia. La Trilateral era nata per sostenere che le democrazie sono ingovernabili, giornali e intellettuali le insidiano - che già turbavano Churchill, “una banda di spietati professori dalla mentalità sanguinaria”. La Trilateral era dei Rockefeller, che si volevano capifila liberali del mondo libero, e lo storico Eugene Genovese diceva fascisti. Il suo teorico, Samuel Huntington, virò presto all’Occidente contro il Resto del mondo, un estremo tentativo di rigerarchizzare il mondo – poi soppiantato dalla globalizzazione – all’insegna della superiorità dell’Occidente. 

Democrazia – È oggi economica, fra gli interessi concorrenti, oppure non è. È marxismo allo stato puro.

Etica - La Trilaterale appena fondata si attivò quarant’anni fa sul fronte dell’etica: gli americani accusarono di corruzione gli altri, gli europei e il Giappone. Con molte carte e testimonianze al Congresso.

Islam – La primavera egiziana si risolve nella consegna del potere agli islamici. Un fatto non eccezionale: in un paese islamico l’opinione prevalente è islamica. Non fosse che il campio della guardia, dal bonapartismo laico nasseriano agli islamici è stata voluta e quasi imposta dagli Usa. In Egitto oggi come già in Iran nel 1978. A quel tempo gli Usa puntavano sull’islam in funzione antisovietica. Oggi, si dice, tentano un recupero dell’islam moderato, tra Turchia e penisola arabica. In funzione di stabilizzazione politica dell’area, tra il fondamentalismo minaccioso e una modernizzazione che non può che essere progressiva. Pur sapendo però che la Turchia ha ottant’anni di vigilanza militare sulla democrazia. Il califfo Omar, secondo lo storico egiziano Ibn al Qif-ti, fece bruciare la biblioteca di Alessandria ragionando: se i libri ripetono il Corano sono inutili, se se ne discostano sono blasfemi. Omar inebriava il rivoluzionario del 1789 Desmoulins: “Rese uguali tutti i musulmani come la tempesta rende uguali i naufraghi”. Bruciare la biblioteca, il primo irresponsabile olocausto, lo dice Jack London in “Rivoluzione”. L’islam vanta una tradizione di tolleranza. Non ha una chiesa e non ha avuto un’inquisizione. Alla cristianità invece si addebita l’intolleranza, con torture, roghi e proscrizioni di massa, anche la cristianità riformata. Ma non sono tradizioni, sono nomee, in urto con la storia. L’islam non accetta nulla del resto del mondo, dal quale peraltro prende tutto. Se ne può fare un bilancio, dopo oltre trent’anni di egemonia politica, in Asia e in Africa, all’insegna del khomeinismo. Non ha creato niente, non un po’ di libertà né il benessere, né il rispetto del mondo, o la benevolenza, e ha distrutto molto. Per primo la rendita del petrolio e del gas, che non è per sempre. Con la quale si è data l’illusone della ricchezza, ma sulla quale non ha costruito nulla, a parte le faraonate del Golfo. Non una società più giusta, né più solida, non più lavoro né un mercato, un processo di crescita integrata al mercato mondiale, svendendosi anzi a esso quale carne povera da fatica. Alimenta un mito di superiorità – la vecchia ricetta nazionalista dei “primati” in ritardo di un secolo - che sembra psicotico se non folle. Un fondo politico comune all’islam si può dire l’antioccidentalismo, una cultura, se non una strategia, nemica dell’Europa cioè e degli Usa. Non fosse che il mondo islamico, Iran compreso, finanzia la crescita e l’equilibrio finanziario di questo stesso Occidente, con i suoi fondi d’investimento – i cosiddetti fondi sovrani. Gli Emirati del Golfo in particolare e il Qatar, principati senza popolazione e praticamente senza ragione d’essere, avevano investito in Occidente a fine 2010 almeno 62 miliardi di dollari (metà di essi dal Golfo). In imprese e in banche. Che altrimenti sarebbero state sottocapitalizzate. Al momento delle sanzioni, a fine febbraio 2011, la Libia (il governo libico, non l’introvabile tesoro di Gheddafi) aveva investimenti di rilievo, tra il 5 e il 10 per cento, nelle maggiori aziende in Usa (tra esse Exxon, Chevron, Pfizer, Honeywell, Xerox, Halliburton), Gran Bretagna (Bp, Shell, Vodafone, Glaxo, Pearson – “Financial Times”, “Economist”), Francia (Edf, Bnp-Paribas, Alcatel, Lagardère), Italia (Eni, Finmeccanica, Unicredit), Germania (Siemens).O si può dire così: un islam monolitico avrebbe potuto investire nel grande capitale occidentale, per acquisirne i segreti, e al momento giusto colpirlo dal di dentro. Ma gli investimenti islamici sono solo alla ricerca di un rendimento.

Liberalismo – Tommaso d’Aquino è “il primo liberale della storia” per Lord Acton e von Hayek. Qualcuno tra i keynesiani sostiene anche che la “Teoria generale” è il “Summum Bonum” di san Tommaso.

Politica - Il duello dell’antichista Canfora con l’imperatore Augusto – che implacabilmente chiama Ottaviano – può spiegare il senso della politica. L’Ottaviano di Canfora è, forse, quale è stato: quasi cesaricida, triumviro furbo, monopolista della cultura (Virgilio, la Storia Augusta, la censura di Tito Livio… – qui i crimini sono infiniti, la cultura non avrà mai più altrettanto peso nella politica del mondo), implacabile coi nemici. È, cioè, tanto Stalin – e in questo un doppio odiosamato: Canfora da sempre aspetta la “riabilitazione” di Stalin e Togliatti. Ma se l’epoca augustea è l’età dell’oro della politica (la pace, la prosperità), allora la politica è un disegno totalitario, seppure accorto (lungimirante, benintenzionato). La philia, la reciproca fiducia fra i cittadini, è secondo Aristotele la base della buona politica.
Tasse – La tassazione progressiva non è recente. A Firenze ai tempi del primo Cosimo dei Medici i repubblicani la chiamavano “la scala”, o “la graziosa”. Ha natura politica ed è guardata con sospetto dalla scienza delle finanze, secondo la quale la tassazione proporzionale dà maggiori entrate. L’ultimo economista di sinistra, Giorgio Fuà, collaboratore di Adriano Olivetti, Enrico Mattei e Gunnar Myrdal, sosteneva che la proporzionale è anche più equa, non solo più produttiva – v. Fuà-Rosini, “Troppe tasse sui redditi”, Laterza, 1985. 

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