I banchi delle novità in libreria straripano di testi di cui non se ne può più. Un terzo sulle mafie compresi gli impresentabili ‘ndranghetisti, gente di nessun fascino. a cinquantina sulla mafia. Un terzo sul solito Berlsuconi, che ci occupa da vent’anni (gli Editori Riuniti fanno l’ennesima rentrée con una serie dedicata ai berlusconiani: a quando i figlie, le nuore, i generi?). E un terzo sulle caste, o sulle malefatte della politica, anche quando non fa nulla, per il solo torto di esistere. Anche a voler soltanto regalare un libro, non leggerlo, che comprare?
Le librerie, che potrebbero rifarsi in queste feste di crisi, poiché i libro costa sempre meno dei vestiti, dei telefonini e dei computer, vogliono scoraggiare la domanda? O va il libro deprimente? Il politicamente corretto dev’essere deprimente? Poco informato, scolastico, ripetitivo. E poi, soprattutto, perché non c’è un libro, uno solo, sulla casta dei magistrati? Sulla casta cioè per eccellenza. Con le auto blu, i doppi incarichi (anche tripli), i lauti arbitrati, l’indicizzazione piena sulle lauti pensioni, il galleggiamento e il trascinamento, il carrierismo come unica ambizione (cento Procure antimafia invece di una, e ora cento Procure anticorruzione, perché no, e centro antievasione - fiscale s’intende, per le altre bisogna lavorare). C’è un motivo?
Chi ci ha tentato, Stefano Livadiotti con “L’ultracatasta” e il giudice torinese Bruno Tinti con “Toghe rotte”, quattro anni fa, in epoca di Ulivo, non ha avuto eco cui Grandi Giornali dei Grandi Editori ed è divenuto subito irreperibile. Eppure i lettori sanno di che si tratta, che nei referendum sui giudici votano sempre contro all’80 e al 90 per cento.
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