Rifiutata dalla Germania, la Turchia non guarda più all’Europa. Non l’ha detto, e anzi potrebbe ripresentare la domanda di ammissione nel 2014, la data a cui la Ue l’ha rinviata. Ma tutta la politica turca e buona parte dell’economia si sono orientate verso un ruolo regionale, in Medio Oriente e nel Nord Africa.
Sembra una bizzarria, ma per alcuni aspetti non lo è. La Turchia ha avuto un ruolo di primo piano nella primavera araba, sia come Stato, sia per il suo islam moderno, moderato. La sua integrazione economica (produzione commercio, finanza) è sempre prevalente con l’Europa, ma nel Medio oriente e in Asia cresce a ritmi doppi. Nei quattro anni della crisi l’economia turca ha continuato a crescere a ritmi elevati (quest’anno sarà cresciuta dell’8,5 per cento, più della Cina e dell’Argentina), mentre l’Europa ristagna. Fuori dall’Europa la Turchia si è trovata a giocare nuovamente un ruolo politico di primo piano, e non più di “malato”, e ne comincia a gustare i benefici. In Iraq, in Siria, in Egitto, perfino con l’Iran, e ora in un nuovo ruolo, militante, nel conflitto attorno a Israele. Anche per il rapporto privilegiato che mantiene con gli Usa.
Nel rapporto con l’Europa una singolare teoria peraltro emerge: che la Turchia sia stata rifiutata dalla Germania per non avere concorrenti in casa. La Turchia ha oggi un terzo del reddito tedesco. Ma è un paese continentale, come la Germania. Con una popolazione superiore, e una crescita demografica doppia. Con uno “spazio vitale” sui cui contare, per l’espansione politica ed economica, vasto, aperto e affluente a Est e a Sud.
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