domenica 18 dicembre 2011

Letture - 80

letterautore

Confessione – Il ricordo ringiovanisce con la vecchiaia.
È per questo che domina la contemporaneità (si è quello che si è stati)?

Su uno stock di 280 mila libri in inglese a prezzi dimezzati, una libreria online ha 70 mila titoli di biografie e autobiografie. Il genere dunque più venduto, dopo il religioso: i padri pellegrini amano confessarsi.
La confessione dilaga peraltro nella postmodernità digitale: blog, chat, forum.
Il diario è un genere editoriale, e per questo è un fatto, qualcosa che c’è, c’è sempre stato, e non si discute. Ma è ultimamente prolifico, e questo merita qualche considerazione. La confessione, diceva il cardinale Passionei nella causa di beatificazione del cardinale Bellarmino, che a 71 anni si era scritta l’autobiografia, è egoismo e alterigia. Diversa è la confessione di chi lo fa per una mercede.

Nelle “Memorie” Voltaire ricorda in più punti che il vescovo di Beaumont qualche anno prima aveva inventato i “buoni di confessione”, “biglietti di banca per l’altro mondo”.

Conscientia mille testes. La coscienza vale mille testimoni. Quintiliano la riporta come esempio di gnome diffusa a livello popolare ma di incerto autore. (5,11,41). La traduzione della massima di Quintiliano è diffusa come proverbio in tutte le lingue europee.

Freud – Lite furibonda, per due o lunghe pagine nel numero dell’8 dicembre della “New York Review of Books”, che la rivista intitola “L’affare Freud” (“The Freud Question”), tra freudiani e antipatizzanti, sul significato di gefüttert, participio passato di füttern, che Freud usa in una lettera alla moglie: lo intendeva in senso di pascere, come delle bestie, o di imboccare, nutrire?
Il participio era stato usato da Frederick Crews, nel numero del 13 ottobre, nella seconda parte di un saggio intitolato “Medico, cura te stesso” (Physician, Heal Thyself”). A proposito di una lettera del giovane Freud alla fidanzata: “Sarai pasciuta (gefüttert) di cocaina, e dovrai darmi un bacio a ogni angolino… “. Una serie di professori, emeriti e ancora in cattedra, tra i quali Lisa Appignanesi, del museo Freud di Londra, hanno protestato contro l’uso che Crews fa del verbo. Ma più, in realtà, sull’uso non scandaloso della cocaina da parte di Freud, costante per tutta la vita, in non modiche quantità. Uno solo dei freudiani, Dietrich Rueschenmeyer, emerito della Brown University, ricorda che füttern si usa anche per imboccare i bambini, i malati, gli accuditi - e a Rueschenmeyer Crews dà ragione, pur volendo lo slittamento insignificante rispetto “al suo argomento principale”, l’insicurezza sessuale di Freud, “che fantasticava di estorcere baci riempiendo (feeding) di cocaina la sua passiva fidanzata”.
Riempiendo, nutrendo, pascendo, per füttern e feeding, freudianamente, come bisogna leggerli? A parte la cocaina, certo, irrilevante.

Romanzo – È inflazionato, dopo la morte del romanzo una quarantina d’anni fa. Oggi anche i saggi critici o storici ambiscono a dirsi romanzi, e perfino delle opere di poesia. “I romanzi sono fatti per essere divorati”, argomentava Walter Benjamin, lettore vorace (“Piccoli indirizzi”, In “Denkbilder”, Images de Pensée, p. 252), benché fine critico. Benjamin li voleva divorati in senso proprio: “Leggerli è una voluttà d’incorporazione”: il romanzo voleva un pasto cotto e servito. Il “tutto è romanzo” ha prodotto disappetenza invece che ingordigia.
Si può pensarlo degradato, per lo slittamento alla fiction - che ha nel Roget’s significati più negativi che positivi: prodotto, falsità, untruth, idea, racconto. La quale a sua volta slitta fino al reality, il grande Fratello, Maria De Filippi, lo stesso Santoro, nelle sue drammatizzazioni a guapperia. Ma questo in realtà c’è sempre stato. Già nel Settecento c’era il romanzo popolare degli ambulanti, i cantastorie e i portafortuna, fatto di ripetizioni e divagazioni. Come recentemente c’è stato il fotoromanzo, harmony, la serie rosa, il fantasy, l’avventura, il western. No, la disappetenza è nell’arte del narrare, diffusa e stantia, ripetitiva, senza qualità. “Non ci sono più romanzi”, in mezzo a tutta questa abbondanza, può solo significare: non ci sono più romanzi di qualità, che impregnino e si ricordino, e magari “facciano un’epoca”.

Rousseau - Non ha mai avuto pause, cadute d’interesse, è sempre stato presente, per un verso o per un altro (lo documenta il “Magazine Littéraire”, che gli dedica il numero di fine anno), nei due secoli e mezzo dal “Discorso sull’ineguaglianza”, nei tre secoli, si può dire, dalla nascita, che si celebrano nel 2012. Pur non essendo un esempio, in nessuna delle sue manifestazioni di vita. Per questo accusato, anche da Voltaire e da Madame d’Épinay, e spesso vilipeso. Perseguitato ovunque, come uomo e come scrittore (le “Confessioni” e le “Passeggiate” si poterono pubblicare solo postume). Tanto da finire in un ripetuto delirio di persecuzione - si deve a Rousseau anche il complotto universale: ne scrisse al “conte” Sangermano (Saint-Germain), un altro Cagliostro. Per la forza delle idee e, più, per la capacità di esprimerle, se non di farle valere. Per la scrittura, si direbbe, che si legge dopo tre secoli sempre misurata.
L’attualità è nella scrittura – come per Galileo, l’altro scienziato scrittore di cui si è finito di celebrare il centenario: misurata, evocativa, piena. Soprattutto negli scritti fittivi, comprese le “Confessioni”, sempre legate al senso del mondo: il potere narrativo (evocativo) sempre legato a quello critico (storico).

Rousseau fu un monumento già in vita, per lo scandalismo che lo circondò ma anche per le idee. Oggi se ne può apprezzare il distacco critico rispetto ai furori intellettuali del progresso lineare. O la critica agli eccessi (rischi) di un empirismo “sistematico”. Fu il miglior illuminista in quanto critico dell’illuminismo, e anzi eversore dei suoi due piedistalli, innovativi ma deperibili – l’illuminista anti-illuminista. E tuttavia, benché totale rivoluzionario, sempre equilibrato nel mezzo delle continue tempeste, erborista, musicista. Impersona la certezza della “verità”, la sicurezza di sé, del giudizio che nasce da basi salde.

Il limite dell’empirismo è incontestato sulle origini delle idee. Non è metafisica, è un fatto che non è empirica l’idea di Dio, di uno spirito immateriale. Né l’idea di ordine generale, che sia di misura e di ispirazione (sostegno) rispetto alle forze del male che agitano il mondo.

Shakespeare – Uno romano e cattolico mancava e Pietro Lanzara ha colmato la laguna sul “Corriere della sera-Roma” il 14 dicembre. Con tutti gli ingredienti del caso:
http://archiviostorico.corriere.it/2011/dicembre/14/Shakespeare_una_pergamena_segreto_dei_co_10_111214030.shtml
Alcune firme pseudonime sono riconducibili a Shakespeare. Specie degli anni, 1585-1592, di cui del tutto si erano perdute le tracce nei vari tentativi di biografia. Tutto convincente. A partire dal finale: “Nelle 37 opere teatrali Roma è citata 290 volte rispetto alle 60 di Londra”.
Lo Shakespeare romano è perfino persuasivo, rispetto agli altri Shakespeare. Il conte di Oxford Edward de Vere, Marlowe, Lord Bacon. O i tanti Shakespeare donna, a partire dalla regina Elisabetta. Per non dire gay, che oggi non sarebbe politicamente corretto, a partire dalla sua “lei” che sarebbe il conte di Southampton Henry Wriothesley. Pierre Louÿs, discreto filologo, sostenne una vita che le commedie di Molière le aveva scritte Corneille.
Particolarmente ingegnoso, dettagliato, lo Shakespeare-Florio, un italiano di Londra, prima di quello romano. Lo Shakespeare Florio più accreditato è di Bagnara in Calabria, dove pescano il pescespada, un posto un tempo governato dalle donne. Prese il nome della madre Guglielma Crollalanza: William Shake, scrolla, Spear, lancia. È uguale nel ritratto a suo cugino Giovanni Florio, l’italianista londinese di fine Cinquecento, dalle cui opere trasse i proverbi delle commedie - entrambi portano l’orecchino. Guglielmo e Giovanni erano figli di due fratelli Florio, protestanti di Bagnara costretti all’esilio. Il padre di Shakespeare, di nome Giovanni, è citato in una lista di recusants, quelli che rifiutavano i culti anglicani, tali i valdesi di Bagnara, riformati di Calvino. L’altro fratello Florio, Michelangelo, padre del Giovanni cugino, era un frate francescano riformato. I Florio riemergeranno a Palermo due secoli dopo, con gli agenti britannici camuffati da produttori di marsala, per fare l’Italia unita.
Una tradizione più recente lo vuole invece Florio di Firenze. Shakespeare, Shagsper o Saxber che sia, è bene John Florio, ma allora è di Firenze e non di Bagnara, è stato recentemente sostenuto da un interprete – un interprete linguistico.
Anche Shakespeare è stato reazionario, realista, repubblicano, rivoluzionario, massone, rosacroce, prima che cattolico e romano.

letterautore@antiit.eu

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