Una breve storia dell’Europa la ridurrebbe a un’unione economica in difetto di quella politica – non a suo completamento, ma per supplirla. Un moto a fisarmonica, tra un’apertura politica che si avvita retrograda su una chiusura economica.
Il mercato comune venne nel 1957 dopo il fallimento della Comunità di difesa nel 1954. Lo Sme venne nel 1978, dopo vani tentativi di creare una federazione europea. L’euro è ciò che rimane del Trattato di Maastricht vent’anni fa sull’Unione Europea, poi creata solo nel nome. Suo surrogato è l’euro, voluto da Kohl, il cancelliere tedesco, d’accordo col presidente francese Mitterrand per dare un’impronta alla storia.
Kohl, l’ultimo cancelliere politico tedesco, aveva già sfidato la Bundesbank e l’opinione tedesca sulla riunificazione, che volle alla pari fra tedeschi dell’Ovest e tedeschi dell’Est, un marco contro un marco, e non a uno contro due. Sostituì il presidente della Bundesbank, il liberale (conservatore) Karl Otto Pöhl, col fido Tietmeyer, buon cattolico, e lanciò l’euro. Tietmeyer tentò di mediare: lavorò a un vera unione monetaria con Francia, Benelux e forse Austria, e spiegò a lungo, con convinzione, che conveniva all’Italia restarne fuori. Ma Ciampi, e poi anche Prodi, vollero farne parte da subito.
La posizione della Bundesbank, che fa opinione in Germania e Angela Merkel deve fare sua, resta quella fortemente critica anticipata da Pöhl allo “Spiegel” un anno e mezzo fa: “La fondazione dell’Euro è radicalmente cambiata per effetto della decisione dei governi dell’eurozona di trasformarla in un’area comune. Questo è violazione di ogni trattato. Nei trattati che regolano l’Unione Europea si stabilisce esplicitamente che nessun paese è responsabile per i debiti di un altro. Ma questo è quello che stiamo facendo. Per di più, contro ogni buona regola, e contro un esplicito divieto del suo proprio statuto, la Banca centrale europea si è impegnata a finanziare gli Stati membri”.
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