Sembra pura Seconda Repubblica. Se alla fine anche il fine politico Napolitano ha ceduto al linguaggio berlusconiano: “C’era un bisogno di recupero dell’orgoglio nazionale”, gli fa dire il “Corriere della sera” in prima pagina, “in reazione a stati d’animo di disagio, d’incertezza e anche di frustrazione. Si avvertiva che il Paese aveva perduto terreno, aveva visto offuscarsi la propria immagine, il proprio prestigio, la propria dignità… e la gente ha reagito”. Il presidente precipitando anzi nel puro Santoro. Ma è un falso, Napolitano evita con cura, nel testo suo vero, la ‘ggente. È solo vittima di un tranello da seconda Repubblica. Perché lui ci ha riportati nella Prima Repubblica. Purtroppo non nella migliore.
I riti sono quelli. All’improvviso è di nuovo l’Italia come piace a Casini, delle verifiche, le formule, i piani e i pacchetti, all’insegna dell’iperpolitica sottopolitica. Dove può incontrarsi, è un delirio, un deliquio, con Alfano e Bersani e con Monti, ogni giorno a ogni ora del giorno. Non a Montecitorio e nemmeno a palazzo Chigi. È l’inciucio, si dice, che qualcuno vuole la passione costante della politica italiana. No, è una forma di democrazia, la discussione perenne delle cose. Ma in una forma antidemocratica, fra tre “leader” che in teoria sono o si dicono concorrenti e nemici, e invece si riuniscono sempre e in segreto, e se gli capita negano di essersi incontrati. Andreotti, per dire l’ultimo politico della prima Repubblica, era molto più diretto.
Anche i consigli dei ministri di questo nuovissimo, tecnico, ambrosiano governo Monti sembrano l’Andreotti octies. Non fosse che Monti non ha la fama luciferina di Andreotti, lo si penserebbe uno di quei governi di fine regime, 1990-92, quando il divo Giulio preparava l’ascesa al Quirinale - fallita la quale ci fu il muoia Sansone con tutti i filistei, dei democristiani che non avevano marciato, dei socialisti e dei laici. C’è chi si litiga i fondi della cooperazione allo sviluppo, la favolosa dote di potere e denaro che Marco Panella venticinque anni costituì in capo al ministero degli Esteri. E chi si litiga le deleghe in materia di pensioni – che sembrerebbe un argomento spinoso ma evidentemente è anch’esso un business. Cirino Pomicino è stato patrono entusiasta di Monti, e ora si capisce perché.
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