mercoledì 7 dicembre 2011

A Sud del Sud - l'Italia vista da sotto (110)

Giuseppe Leuzzi

Non c’è sviluppo al Sud perché c’è la mafia, si dice. Oppure si dice che la mafia c’è perché non c’è sviluppo. Ma perché non sarebbe il dilemma tricornuto, che lo sviluppo è mafioso? Di mafia vera on quella selvaggia, analfabeta, alla Totò Riina.

Magna Graecia nunc deleta est” è già in Cicerone, “Laelius”, 4,13

Le disgrazie induriscono gli animi. Si può dire quindi un miracolo che ci sia ancora grazia al Sud.

Si può dire il Sud perfettamente democratico: anche il personale politico cambia sempre, il potere. Ma sempre in peggio – perché al peggio non c’è limite?

Deistorizzazione
“L’Italia divisa era stata un’espressione universale di vita”, scriveva Corrado Alvaro su “La Stampa” il 10 novembre 1932, “l’Italia unificata divenne una cattiva ancella di un falso europeismo”. Allora, e oggi?
“Basta guardarne le arti”, aggiungeva Alvaro: “Il pregiudizio di dover essere progredita e civile sul modello universale fu il suo intoppo”. Al meglio “amava istruirsi” sui romanzi francesi – ora i romanzi americani. Approdando ai “deliri borghesi di una letteratura sessuale e di atteggiamenti”. Ma anche la vita politica certamente non migliorò: “Come tutte le società povere, la nostra fu permalosissima”. E impunita: “Un poeta poteva scrivere «La nostra patria è vile!» impunemente”..

Pierre Bourdieu elabora il concetto di deistorizzazione in rapporto alla condizione femminile, o alla squalifica del povero. Se ne parla nella pubblicistica americana a proposito del Giappone dopo la sconfitta nel 1945. È la perdita di valore del passato per effetto di sconfitta, sottomissione, modernizzazione rapida, violenta, radicale. È il caso del Sud.
Se non conquistato, il Sud è stato improvvisamente acculato nel 1861 all’isolamento, l’aridità, l’inerzia – tra briganti e buone coscienze. Subito etichettati come atavismo: indolenza, omertà, immoralità.
Subentra così il disfacimento – poi si sarebbe detto destrutturazione, dei significanti, dei significati: la “follia” ne è un derivato non la causa. E la scomparsa dell’elemento oggettivo, l’invadenza di quello soggettivo. Che con la sua tarda “scoperta” quello ridurrà a robetta e ometti terragni, vetusti, isolati, senza storia (e quindi senza poesia). Oggi si sarebbe detto, in altro contesto, della deistorizzazione: la perdita di senso per effetto di una “colpa”, anche se non soggettiva, non propria, una tara.
La deistorizzazione può essere peggiore della non storia. Si può dirlo per diretta, lunga, approfondita esperienza terzomondista, del mondo arabo e dell’Africa. Il colonialismo, cancellando radicalmente con la forza, “crea” un’alterità nuova, la promuove, la sostanzia anche. Il neo colonialismo subdolo cancella blandendo, gesto per gesto, momento per momento, parola per parola.

Si può vedere tutto in chiave di Nord-Sud, è prospettiva fertile seppure non esaustiva: la voce, la pronuncia, la presentabilità, il salario, il costo dell’insalata, il costo del sangue. Non c’è più il Sud per esempio in tv, tra i presentatori, le presentatrici, gli ospiti, e chi c’è si camuffa o si prende in giro - Fiorello. Bossi e Milano hanno introdotto questa chiave, che consente buone letture.
Ora però Milano mostra di pentirsene, insomma la rifiuta. Afferma di non avere mai votato Bossi. Ma un effetto lo ha già ottenuto, se è quello che voleva: il Sud è chiuso in se stesso, oppure si camuffa.
Ne potrà uscire solo ricostituendo la dialettica Nord- Sud, la storia vuole una prospettiva (una misura, un termine di raffronto)..

L’odio-di-sé meridionale
Ne “La stella del Sud”, un elzeviro pubblicato su “La Stampa” poco prima di morire, l’1 giugno 1952, Corrado Alvaro delinea “una certa psicologia meridionale”, le cui manifestazioni, dice, “se mi sconcertano, non mi stupiscono mai”. Ne dà alcuni aneddoti. Il capo della rivolta di Caulonia (Pasquale Cavallaro, n.d.r.) che, compagno di scuola di Alvaro a Catanzaro prima della prima guerra, “scriveva versi patriottardi e sentimentali come molti meridionali, e andava, già da ragazzo, armato di un grosso bastone, minaccioso non si sa bene contro chi”. La difficoltà di aprire sezioni del fascio nei paesi meridionali, “perché portare la camicia nera è, nel popolo, un segno di lutto”. I fascisti di Reggio Calabria che nel 1924, quando vi pervenne, non si sa come, dopo il delitto Matteotti, la notizia che il fascismo era crollato”, subito organizzarono “una manifestazione di giubilo ch percorse la città inneggiando al crollo della dittatura”.
Ma inizia, da emigrato sul giornale di Torino, con un fatto preciso: “Quando ci si stupisce delle reazioni meridionali, che sono le reazioni di quel mal compreso proletariato che è la classe media, bisogna domandarsi come la informiamo…”. Il proletariato che è la classe media è una chiave della diversità del Sud. E più della Calabria, cui Alvaro effettivamente pensava. Dell’insocievolezza mitissima, quasi sdolcinata, che è una forma di misantropia, quindi di ripiegamento su se stessi, da un passato, una storia. Dell’odio-di-sé terribilista al di fuori della “famiglia”, degli affetti (comparaggi, amicizie).

Il peso di Verga, siciliano in cerca di successo a Firenze e a Milano, del successo trovato infine nell’ideologia dei vinti, è incommensurabile: tara la gioia, e quindi la voglia di essere e di fare, il famoso riscatto. È la fine del soggetto e della volontà: non c’è più pathos al sud, se non vittimista.
Questa ideologia arriva tardi nella letteratura del Sud, dopo l’unità. Con la napoletanità, i briganti, la mafia.

L’occhio del Sud è “molle”? Celebrando la donna romana, su “La Stampa” del 14 aprile 1926, Corrado Alvaro così la compone: “Sul suo viso i tratti si sono conciliati, le belle fronti rotonde dell’Emilia rispondono allo zigomo forte, perlaceo di Lombardia, lo scolpito labbro volontario piemontese risponde all’occhio mole del Sud”.

Milano
La mancanza di senso dello Stato è stata, è, assoluta in Berlusconi e naturale. I suoi avvocati ministri della Giustizia, il patrimonio non parcheggiato, le leggi comandate per sé. Senza jattanza. C’è mai stato un illuminismo lombardo? Un pensiero anche minimo di diritto pubblico? Se ne parla nei libri ma non si vede.

Un certo Orsi in primavera è nominato a capo di Finmeccanica. In autunno Orsi decide e subito attua il trasferimento da Napoli a Varese della direzione di Alenia, società di Finmeccanica.
Orsi è stato imposto della Lega. Dirigente di Alenia è la moglie di Maroni, la quale si trova meglio ovviamente a Varese, a casa sua. Tutto questo nel nella primavera-autunno del 2011. Dopo Cristo, non prima.
Il terribilista Stella di questo non s’indigna. Il “Corriere della sera” nemmeno.

L’architetto Boeri è criticato dalla giunta comunale di Milano, di cui è assessore alla Cultura e all’Expo, per una cosa che tutti sanno ma che nessuno dice: perché “troppo autonomo”, cioè disinvolto, nelle decisioni urbanistiche e negli appalti per l’Expo. Non per l’Ambrogino a Cattelan, o la sede del Museo d’Arte, o il blocco del centro alle auto contro lo smog, come si fa scrivere alle gazzette. Lui si dimette, il Pd, che l’architetto rappresenta, lo reintegra, ma riconoscendo che è giusto che le urbanizzazione dei terreni e gli appalti siano “collegiali”.
Normale amministrazione, si può dire. Succede in ogni Comune. Ma in genere i carabinieri vigilano: non a Milano? È singolare anche che di fronte alle tante voci, magari di appaltatori estromessi all’asta, perché no, uno di quei testimoni che le Procure volentieri aizzano e usano, la Procura di Milano non abbia aperto nessuna indagine. Per non dire dei giornali, dove lo scandalo a Milano naturalmente non fa scandalo.

L’irresistibile ascesa di don Verzé, dell’ospedale, dell’università, della fondazione, è avvenuta come in tutte le grandi aziende in Italia, tra mazzette imposte ai fornitori, e favori o mazzette ai politici che devono favorirne le pratiche – sennò, la burocrazia che ci sta a fare?
È possibile. È probabile. Ma Milano pretende di scandalizzarsi.
Poi sapremo che chi accusa don Verzé è a sua volta corrotto: bancarottiere, fallito, ricattatore. Il problema di Milano può anche essere questo: che è noiosa, ripetitiva.

È curiosa, se non altro perché contrasta col senso degli affari, la miopia locale, cittadina, urbana, rispetto al patrimonio pubblico, le chiese, le gallerie, i palazzi, le biblioteche, la Scala, il Touring…. Con le amministrazioni di ogni colore, centro, destra, sinistra. Tutto ciò che esula dal patrimonio personale non interessa.

In una corrispondenza per “La Stampa” nel 1939 Corrado Alvaro, che Milano affascinava, vi ha scoperto il karaoke: in molti locali la sera ci si esibisce cantando. “Milano è suggestionabile e volubile”, dice anche Alvaro. Che la “città operosa” peraltro mette sotto “il segno dell’eloquenza”. E in altra corrispondenza chiama “città volubile”.

Ha, cronica, la nostalgia dell’Austria – ora no, impegnata com’è ad assoggettarsi l’Italia, ma si può essere certi che la nostalgia riemergerà. Di un governo cioè clericale tollerante – come in confessionale (questa miscela i laudatores dicono di spirito liberale). O si può dire manzoniana in tutto, nell’impegno, poco e incostante, e nelle molte impazienze.

leuzzi@antiit.eu

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