sabato 12 marzo 2011

Con l'e-book margini stratosferici, per tutti

L’e-book è destinato a sgonfiarsi? Kindle, il lettore digitale, resta ancora, dopo quasi due anni, l’oggetto più venduto e più richiesto del colosso dell’e-commerce Amazon. Ma qualsiasi libro uno poi scelga dal catalogo infinito del fornitore americano, quello scaricabile costa di più, e anche molto di più, del libro stampato e rilegato. A meno che non si tratti della Bibbia, o delle benemerite biblioteche che google.books ha digitalizzato. Roba insomma d’archivio.
Si fa grande caso del libro elettronico come di un attentato alla industria del libro, e agli autori, ai diritti di autore. In realtà una doppia strategia si è già delineata, abbastanza chiara: Amazon punta a poter vendere vendere il libro elettronico più caso di quello cartceo. Con margini enormi per Amazon stessa, per gli editori (Amazon prova a diventare anche editore) e per gli autori. Se quando l'abitudine il lettore elettronico, biblioteca pratica (minima e maneggevole, consultabilissima), farà premio sullo scaffale, ingombrante e spesso inaccessibile, fuori casa, in viaggio, talvolta anche in casa - chi si ricorda dove ha messo un libro?
Sulla stessa linea sono gli editori tradizionali. Che, in attesa di trovare nuovi contenuti con cui sfruttare i vari lettori digitali, o di relegare i Kindle e gli Ipad in soffitta, per ora fingono di boicottare i nuovi media, ma giusto per imporre prezzi più elevati per i nuovi libri. Per i libri più richiesti: i romanzi e l’attualità economica. Possono farlo, perché sull’e-book Amazon e gli altri fornitori online non possono effettuare acquisti in massa, e quindi a prezzo dimezzato, su cui poi praticare gli sconti a cui ormai hanno abituato i clienti per rubarli alle librerie. I prezzi più elevati vengono giustificati con prodotti multi-purpose, il libro vero e proprio arricchendo della lettura audio (ma in automatico, sconnessa...), e della cosiddetta interattività, i materiali vari di ogni dvd, che però non risultano di grande utilità per il lettore di libri.
Amazon e le librerie online si fanno forti di una politica degli sconti, anche sui libri nuovi, perché li comprano in massa e direttamente dall’editore. Ma questa politica non possono praticare sugli e-book, che sono scaricabili singolarmente. Lo stesso passaggio in “libreria” a questo punto è inutile, poiché la e-libreria, non essendo visibile, non può offrire gli incentivi promozionali all’acquisto che ancora fanno la forza della libreria tradizionale: massa, visibilità, pubblicità, presentazioni, firma dell’autore, etc. Le vendite online può peraltro effettuarle lo stesso editore.
È una situazione temporanea? Gli editori fanno blocco con prezzi altissimi per ottenere più vantaggi dalle grandi reti di vendita online? O in attesa di attrezzarsi direttamente per i download? Il fatto è che il prezzo di vendita degli e-book è quello imposto dagli editori, che per ora hanno deciso che l’editoria online non conviene.

La Libia è la frontiera con l’Africa

Scontata la mancata manomissione del bonapartismo che governa il mondo arabo, nelle repubbliche e nei regni, che anzi si consolida, a partire dall’Egitto, il sostegno occidentale, o euro-americano, alla sovversione nelle piazze ha aperto una serie d’instabilità. La prima, secondo una riflessione corrente nei centri di elaborazione strategica, potrebbe essere un riarmo incontrollato. Il regime libico essendo stato messo sotto pressione e infine attaccato dopo che aveva accettato le ispezioni internazionali sul’avvenuta rimozione di armi chimiche e missili Scud (i famosi “missili inutili”, a corta gittata, fino a 300 km., e imprecisi, che l’ex Urss spargeva a profusione nel mondo arabo). La seconda riguarda l’immigrazione.
La Libia è la frontiera dell’Italia e dell’Europa con le aree d’immigrazione. Il paese dalle sei frontiere desertiche, via di transito agevole per tutta l’Africa e per il Golfo – su cui incombe per antico cabotaggio il subcontinente indiano: un paio di miliardi di persone. Proprio per questo motivo, solo sei anni era stato revocato l’embargo sulle forniture di armi alla Libia. Su iniziativa dell’Italia, interessata a dotare la Libia di aerei ricognitori e motovedette in grado di controllare, se non di frenare, l’immigrazione clandestina.

È un attacco alla Libia o all’Italia?

Fare guerra a un paese confinante per “esportare la democrazia” sarà una prima assoluta. Ci sono molte resistenze al ministero degli Esteri all’avventura in cui il ministro Frattini si è cacciato in Libia. Finora la democrazia era stata “esportata” in paesi remoti, il Libano, la Somalia, l’Afghanistan, l’Iraq. Con l’Italia recalcitrante, si dice: al carro sì ma con impegno minimo, su mandati Onu, eccetera. Mentre Frattini si sarebbe spinto a patrocinare il golpe contro Gheddafi, seppure indirettamente, per gli indubbi contatti con Mohammed Abdelrahman Shalgam, l’ex ambasciatore a Roma ed ex ministro degli Esteri, rappresentante della Libia all’Onu.
Un precedente per la verità c’è, la guerra alla Serbia dodici anni fa, paese anch’esso allora confinante tramite il Montenegro, promossa da D’Alema e Scalfaro. Mentre Frattini non si capisce se è alla testa o alla coda della minaccia europea di guerra alla Libia. Nella lettera odierna di giustificazione al “Corriere della sera”, pur profondendosi nelle espressioni di prammatica sulla libertà inviolabile, áncora l’intervento europeo all’unanimità. Cioè lo esclude, accertato che la Germania non intende marciare con Sarkozy, e che né la Grecia, né Malta né Cipro si presteranno alla fine a fare da base avanzata – una base avanzata sarà necessaria per l’attacco areo-navale su cui Sarkozy e Obama insistono.
Se non c’è un errore, un passo falso è comunque stato compiuto. Indubbio è che la Libia è a tutti gli effetti un paese confinante. E che è stato sempre finora un paese amico, malgrado il passato coloniale e le intemperanze di Gheddafi. L’Italia conta per un quarto delle esportazioni libiche (petrolio e gas), ma ancora di più per le importazioni, coprendo da sempre almeno un terzo di tutti i beni e i servizi che la Libia compra all’estero, dai chiodi alle cure mediche nelle cliniche romane. Due miliardi di euro l’anno prima della crisi. Quasi la metà delle importazioni se si tolgono dal calcolo gli acquisti obbligati dai paesi di confine terrestre, Tunisia e Egitto. Quattro volte quanto vende in Libia la Germania, il secondo fornitore. Con beneficio di imprese grandi e piccole. Grandissimo per l’Eni – la Libia rappresenta circa un quarto degli utili del gruppo petrolifero (il dato è celato nelle pieghe del bilancio ma è notorio).
È peraltro un rapporto che la Francia ha sempre invidiato, quali che siano oggi le ragioni dell’oltranzismo di Sarkozy. Parigi si era spinta al tempo di Giscard d’Estaing, seconda metà degli anni Settanta, a promettere gli ambitissimi Mirage, pur di sostituirsi all’Italia. Minaccia poi disinnescata da Craxi col suo successore Mitterrand.

Sarkozy rifà Chirac

Ha puntato a sfondare a destra, imponendo l’ordine nelle periferie e ai figli degli immigrati. Ma Le Pen continua a sopravanzarlo – Marina Le Pen, la figlia. Aveva voluto fare la destra con i ministri della sinistra. Ora ha un governo tutto di destra per sfondare a sinistra. Sicuro perdente alle presidenziali l’anno prossimo se si fosse votato oggi, umiliato cioè al ballottaggio con lo stesso misero 21-22 per cento del predecessore Chirac, Sarkozy tenta ora di accreditarsi come l’ultimo baluardo contro la barbarie, e cioè contro Le Pen, la figlia di Le Pen, e per ciò stesso depositario del voto, al secondo turno, dei socialisti.
È una partita rischiosa, perché il candidato socialista, se fosse Strauss-Kahn, ha questa volta molte più opportunità del presidente uscente di qualificarsi al secondo turno con Le Pen – Marine Le Pen, la figlia. Ma non ce n’è altra: per Sarkozy sarebbe l’ultima possibilità che ha di riscattare una presidenza incolore. La destra che si fa sinistra, o viceversa, non è del resto una novità in Francia: alle presidenziali del 1988 George Marchais spiegò in tv che il partito Comunista avrebbe potuto allearsi dopo la vittoria con la destra di Le Pen – senza alcuna segno di vergogna nella sua maschera da elettroshock.
I diplomatici europei attribuiscono a questo disperato tentativo il suo passaggio alla testa del movimento per l’esportazione della democrazia, e cioè per la guerra alla Libia - dopo avere inaugurato lui per primo a Parigi i ricevimenti in pompa alle stravaganze di Gheddafi, fino ad allora tenuto in punta di bastone in Europa. Un’avventura da tutti i punti di vista, compreso quello dei diritti umani, l’intervento europeo non potendo che essere aereo e navale, e cioè con bombardamenti a distanza, a costo della vita di molti civili. Ci sarebbe questo intento alla radice dell’estremismo del presidente francese. Oltre che il bisogno di prendersi una rivincita sulla Germania, che da alcuni anni è rimasta la sola del celebrato condominio al centro della scena europea, tutta presa dall’euro, dai debiti nazionali e dalla speculazione angloamericana

venerdì 11 marzo 2011

Problemi di base - 53 bis

spock

E se Obama parlasse di meno?

Potrebbe anche sparare più preciso, in Afghanistan per esempio.

E perché spinge gli americani all’estrema destra? Cominciano a votare perfino contro i (propri) diritti sindacali.

Gli avranno spiegato che gli sciiti nel Golfo e in Arabia Saudita significano Ahmadinejad? O crede Ahmanedinejad un portabandiera della democrazia?

Ma chi è Obama?

spock@antiit.eu

Tantawi torna alla “normalità”

I Sawiris (gruppo Orascom) stanno tentando di recuperare. Ma debolmente: più che altro fanno affidamento sulla protezione che il nuovo regime deve assicurare ai copti – i Sawiris sono copti. Mohammed Tantawi, il generale che ha rilevato il potere da Mubarak, non può perdere la faccia subito. Ahmed Ezz, il capo del secondo grande gruppo privato egiziano, forte nella siderurgia, è invece già sotto inchiesta, e sa che non ne uscirà in nessun caso pulito. Ma tremano anche le banche private. La seconda più grande banca, Efg-Hermes, che pure ha interessi in tutto il Golfo e in Libano, ha nel suo azionariato la Medinvest, il fondo di Gamal Mubarak, il figlio liberista del presidente deposto, mentre il suo presidente, Yasser El Mallawanny, siede nel comitato politico del Partito democratico nazionale dello stesso Gamal. Come Ahmed Ezz.
In agitazione non sono solo i grandi interessi. E tra essi quelli legati in qualche modo a Mubarak. Anche la vasta platea degli infitahiyin, la piccola-media borghesia di nuova generazione, avviata quarant’anni dall’infitah di Sadat, la politica della porta aperta, è in apprensione. Aveva già reagito due mesi fa, nel mezzo della “rivoluzione”, con ronde armate a guardia dei quartieri residenziali e commerciali delle città. Ora è all’opera per riportare all’ordine i ceti salariati che avevano partecipato, in non gran numero per la verità, alla rivolta di piazza.
Dei gruppi che avevano animato la piazza, d’altra parte, giovani e salariati, questi sono i soli che potrebbero ottenere qualche risultato: non avranno l’adeguamento salariale agli standard europei, ma beneficeranno del calmiere sui prezzi dei beni di prima necessità. È questo l’unico intervento per ora del Consiglio supremo delle forse armate, che Tantawi presiede, e governa il paese dopo la cacciata di Mubarak. I giovani sono stati la massa d’urto della piazza perché soverchianti di numero, ma non sono organizzati, né utili a nessun progetto politico né gruppo di potere. Su una popolazione di 70 milioni di abitanti, se ne contano 23 milioni sotto i 14 anni, e altri 10 di studenti superiori e universitari, ma senza rilievo politico. Le manifestazioni di piazza, del resto, non sono mai state di massa: al Cairo, metropoli di almeno 8 milioni di abitanti, non più di 50-100 mila persone sarebbero scese – le immagini di YouTube e Twitter sono emotive, come si sa, ma non documentative.
A un mese dalla demozione di Mubarak c’è in corso un regolamento di conti tra i grandi interessi, ma in una situazione complessivamente di stallo. Il nuovo regime si conferma emerso col colpo di Stato mascherato contro Mubarak conferma il riallineamento tradizionalista e islamico delle forze armate, rispetto ai sessant'anni di laicismo nasseriano. Ma non riesce a liberarsene, nemmeno nella sua ultima incarnazione: non riesce a liberarsi di Mubarak – né ad arrestarlo né a esiliarlo. Non procede neanche ai processi fatti annunciare a carico dei “profittatori di regime”, per essi intendendo i fautori delle privatizzazioni e delle liberalizzazioni (Gamal Mubarak, Sawiris, Ezz, e i banchieri). Tantawi sa peraltro di essere al potere per le pressioni di Obama, e che questo gli è di pregiudizio in un paese e in un modo di consolidato nazionalismo. Prima dell’intervento degli Usa, il 10 febbraio, i generali stavano con Mubarak: i moti registrano almeno 360 morti, forse 370, solo nelle città, Cairo, Alessandria, Suez. Ma il compromesso, se ci sarà, con i potentati economici, o la via d’uscita autoritaria, più probabile, si annuncia nel senso di un maggiore statalismo, Che vuol dire anche consolidamento delle posizioni personali di molti ufficiali superiori, nel turismo – il primo interessato a un “ritorno alla normalità” – e nell’edilizia.

Molière-Lully, col “Siciliano”, all'origine del musical

Molière-Lully, è con quest’accoppiata che nasce il musical. E col “Siciliano”. Un aneddoto rapido, per non annoiare Luigi XIV – ma che per la brevità non si rappresenta e non si edita. Parte delle feste del carnevale 1667, che interrompevano il lutto della regina madre, e caratterizzeranno Versailles, corte della nuova età dell’assolutismo, con la galanteria, le arti e l’esprit invece della passione politica. Una commedia balletto, genere nuovo, con cui Molière e Lully inventavano la futura commedia musicale – l’ultima messa in scena, della Comédie Française nel 2005, è in stile musical americano anni 1940.
Il protagonista è siciliano nel titolo per ragioni non dette nel testo, se non per essere geloso: il tipo del geloso era siciliano nella Commedia dell’arte, accanto alla quale Molière a lungo lavorò, terminato il lungo tirocinio in provincia, nelle sale del Petit-Borboun e poi del Palais Royal. La commediola è anche la prima trasposizione moderna nel teatro d’autore dello “stratagemma” quale leva del comico. Che tornerà costante a lungo, nella commedia francese (ancora Molière, e Marivaux, Beaumarchais, Musset) e italiana (da Gozzi e Goldoni a Pirandello). Qui con una punta di contemporaneità: la giovane bella innamorata dell’amore verrà sottratta all’interessato suo “protettore” facendogliela passare davanti velata, come si conviene a donna turca.
Molière, Le Sicilien ou l’Amour peintre, Folio Classiques, pp.121 € 4

giovedì 10 marzo 2011

Il racket delle rinnovabili

La riduzione degli incentivi alle fonti rinnovabili di energia provoca proteste interminabili. L’onorevole siciliano Micciché minaccia di far andare il governo in minoranza se non ristabilisce i vecchi incentivi. Gli operatori del settore minacciano ritorsioni – non si capisce su che, ma si mostrano numerosi oltre che agguerriti. I Verdi fanno valere che uno dei settori industriali più importanti, oltre che avanzato tecnicamente, va in crisi. Le industrie tedesche, che facevano largo affidamento sulle commesse dall’Italia, hanno in atto da tempo una vasta azione di lobbying, presso i giornali, i ministeri, e alla presidenza del consiglio. E ora protestano le banche.
La riduzione degli incentivi non mette in crisi le fonti di energia rinnovabili. Tanto più che i quattro quindi dei progetti messi in lista a fine 2010 per gli incentivi si sa, dagli stessi Verdi, che erano fantasiosi, e unicamente basati sulla larghezza degli incentivi. Mentre c’è – c’era – l’unanimità sull’eccessiva ampiezza in Italia degli incentivi alle fonti rinnovabili, rispetto agli altri paesi europei. Che poi di rinnovabile queste fonti hanno poco, essendo le installazioni deperibili e quindi da rinnovare periodicamente, cioè da rifinanziare con costanza a tempo indefinito. Costituiscono cioè un aggravamento definitivo del costo dell’energia, e non un alleviamento. Un costo che già in Italia è mediamente il più alto dell’Ue, per l’eccessivo ricorso che si fa al metano, la prima delle energie pulite.
Il ridimensionamento degli incentivi è insomma un atto dovuto. Ma il provvedimento ha evidentemente toccato un nervo scoperto. Confermando che le fonti rinnovabili sono la perla del sottogoverno, come si è sempre saputo. Con interessi inconfessabili. Di cui l’intervento delle banche lascia però presumere aspetti inimmaginabili: sono le banche il centro d questo sottogoverno, il collettore del finanziamento legale-illegale ai partiti?

Il viaggio di Poe sulla luna

Tre noti racconti di Poe, “Hans Pfaall”, “La beffa del pallone”, “Von Kempelen”. Il lungo e anche noioso. Ma presentati in ottima traduzione, fedele e scorrevole, da Nicola Manuppelli. Scelti in quanto proposti come “falsi” – hoax: una “notizia” falsa e insieme beffarda. Un genere che veniva di moda negli anni 1830 (Poe ne scrisse altri tre), con la rivoluzione industriale e a cinquant’anni dal primo volo dei fratelli Montgolfier, e avrebbe avuto larga fortuna nella seconda metà dell’Ottocento. Di cui un secolo dopo sarebbe stato maestro Borges – “Von Kempelen e la sua scoperta” è puro Borges.
L’hoax come criterio della piccola raccolta ha il merito di evidenziare il canone principe di Poe, lo “scrittore dei nervi” di Baudelaire:l’umorismo, l’ironia - che, per quanto sorridente, è distruttiva, e dissecca (dissecca anche lo spirito critico). L’hoax, burla, falso, è secondo il Roget’s Thesaurus rumour, trickery, fable, false alarm. Il rumour, le voci, e il false alarm sono ricorrenti nel giornalismo. Ma l’hoaxer, aggiunge il Roget’s, è un trickster. Il genere Münchhausen, ma in ambito già critico, della “letteratura sulla letteratura” - che a fine Novecento si reinventa come post-moderno. Nell’hoax più celebre, lo sbarco dei marziani raccontato alla radio da Orson Welles nel 1938, gli ascoltatori non si appassionarono ai marziani, ai quali non credevano, ma alla loro rappresentazione – la maestria di Welles. Di questi viaggi non fatti, sulla luna, sull’Atlantico, e dell’impossibile alchimia dell’oro, il racconto non è di vicende o personaggi o passioni, ma del falso dichiarato: come viene argomentato, gestito, raccontato. Hans Pfaall parte per la luna un primo di aprile, ed è la storia di un debitore che si fa aiutare dai creditori a fuggire, sulla luna – caso non infrequente, ai debitori piace scomparire, ma sulla luna?
Con ironia più rarefatta, questa è la ricetta prevalente anche della fantascienza, come il genere sarà poi chiamato: darne per scontata l’irrealtà. E del genere horror, di cui Poe si fa capostipite a livello colto con la sua prima novella, “Metzengerstein”: Poe la scrisse come una satira di quel genere già popolare. Le peripezie del viaggio di Hans Pfaall in pallone sulla luna non hanno oggi nessun interesse, se non appunto come falsa notizia, e come beffa di un bancarottiere - Poe l’accenna al’inizio e poi la conferma nelle ultime righe. Ma non ce l’avevano nemmeno nell’ottica dello scrittore e dei suoi primi lettori. La lunghissima nota che Poe fece seguire a “Hans Pfaall”, qui omessa, benché più godibile del racconto stesso, ne è un’illustrazione. In polemica con un “Mr. Locke” (Richard Adams Locke) che tre settimane dopo di lui pubblicò un altro viaggio sulla luna con maggiori pretese “scientifiche” e vantando la primogenitura dell’idea, Poe sbeffeggia i “rigori della scienza”, e le stesse primogeniture.
Poe si vuole “strano”. In massima parte perché è ancora vittima, come persona e come letterato, dell’imbastitura demoniaca che gli costruì addosso dopo morto un suo nemico dichiarato, Rufus Grismond, che se contribuì al suo successo postumo, ne infangò indelebilmente la memoria. I biografi lo vogliono influente anche in fatto di crittografia, cosmologia, e demonologia. Ma non è più strano di Swift, o di Voltaire, o di Kafka, degli scrittori che portano un occhio distaccato sul mondo, che non raccontano storie ma il mondo attraverso le storie.
Poe coltivò con insistenza la carriera militare, ma lesse sempre molto. Per scrivere “Hans Pfaall” ha letto con attenzione Humboldt, Gay-Lussac e Biot, Cassini, Hevelius, Johann Hieronymus Schroeter - “Eureka” invece, che scrisse di getto di testa, come se volesse rifare il “De rerum natura” in prosa (“un poema in prosa” è il sottotitolo), senza riferimenti specifici o enciclopedici, è pieno di errori, anche se gli si accredita l’anticipazione, niente di meno, della teoria del Big Bang. Quando passò al giornalismo, Poe continuò a leggere molto – anche se confusamente, e forse più articoli di giornale che parlavano di libri che libri veri e propri ((nella “Lettera rubata” deride la “falsa («spurious») profondità che è stata attribuita a Rochefoucauld, a La Bougive, a Machiavelli, e a Campanella”, dove La Bougive è forse La Bruyère). Fu noto come critico letterario, e scrisse almeno 855 articoli, tanti ne sono censiti, ventimila pagine, tra essi i testi di spessore noti come il “Il fondamento del verso”, la “Filosofia della composizione”, il “Principio della poesia”. Ma fu scrittore di fortuna tardiva, dopo il successo istantaneo del “Corvo” ne 1845 e le altre poesie. Quattro anni prima della morte. Quando aveva già pubblicato “Il racconto di A.G.Pym”, 1838, e i racconti per i quali diverrà celebre, come capostipite di vari genere, per primo il giallo, una raccolta dei quali ha titolo di sensibilità ancora contemporanea: “Racconti del grottesco e dell’arabesco”.
Fra le tante primogeniture di Poe c’è anche quella di primo scrittore americano che vive dei suoi scritti. Scelse il giornalismo negli anni di maggior fioritura dei giornali - il giornale venduto a un cent, nel 1833, è una data nella storia del giornalismo, se non della democrazia. Lui stesso nel 1840 coltivò un progetto di periodico letterario, “The Penn” o “The Stylus”, per il quale pubblicò anche dei prospetti, ma non raccolse i finanziamenti necessari. Erano quelli però anche gli anni della prima grave crisi finanziaria della nuova nazione, impreparata a gestirli – il primo “panic” è del 1837. E non c’era ancora la protezione internazionale del diritto d’autore: in America si pubblicava di preferenza, senza diritti, ciò che aveva avuto successo in Inghilterra.
Si fa preso, insomma, a dire maledetto. Oltre che di Grismond, Poe è peraltro vittima del maledettismo di programma della poesia francese di metà Ottocento. Di cui divenne l’icona. Poe se ne colloca anche cronologicamente al centro, tra il Vigny di “Stello” nel 1832 che ne anticipa il nome, e l’antologia di Verlaine nel 1884, “Poeti maledetti”, che ne fa già la storia (“Il corvo” era stato tradotto da Mallarmé nel 1875, con illustrazioni di Manet). Per il tramite di Baudelaire, che lo scoprì e tradusse quindici anni dopo la morte. Per la stessa concezione distaccata dell’arte, “l’arte dell’arte”, e l’interesse per ciò che Poe chiamava “il demone della perversità”.
La nota a “Hans Pfaall” fa un hoax dell’hoax. Il viaggio sulla luna Poe attribuisce primariamente a un Dominique Gonzales, “aventurier espagnol”, le cui peripezie dice aver letto in francese, in una traduzione del 1647, opera di un certo Davisson, che egli opina essere un Davidson. E invece si scopre essere Francis Goodwin, un vescovo inglese, altro personaggio solforoso, contemporaneo di Galileo e probabile uditore di Giordano Bruno a Oxford nel 1583. “L’uomo sulla luna” di Godwin, pubblicato postumo nel 1638, si presume scritto dieci anni prima. John Wilkins subito, Aphra Benn e Thomas d’Urfey dopo alcuni anni nello stesso secolo, lo riscriveranno. E qui l’hoax si può elevare alla terza potenza: Poe poteva non sapere tutto, ma non che, ad appena dieci anni dalla traduzione di Godwin in francese, Cyrano de Bergerac si era prodotto in un altro viaggio sulla luna, subito famoso e ben più diffuso della traduzione, “confusa” la dice lo stesso Poe, del vescovo Godwin. Il viaggio sulla luna, anche quando ci arrivò Armstrong, sa sempre di promettere la luna – naturalmente hoax.
Edgar Allan Poe, Impareggiabili notizie, Mattioli 1885, p. 144 €10,90

mercoledì 9 marzo 2011

Più Stato e tradizione al Cairo dopo la “rivoluzione”

Si precisa in senso statalista e tradizionalista, con forti tinte islamiche, il dopo rivoluzione al Cairo, culminato col golpe militare contro Mubarak. Dopo le manifestazioni di piazza di cui molti ora dubitano che fossero spontanee e all’insegna della libertà. La chiusura delle piazze alle donne alla vigilia dell’8 marzo ne è stato segnale inequivoco. Mentre il potere reale sarebbe assicurato, dietro il governo civile, dalle forze armate in servizio, non più nella linea “civilistica” (laica9 di Nasser e Mubarak. Con forti interessi personali nelle banche e nell’immobiliare. Legati a gruppi d’interesse civili gravitanti nella vasta area dell’economia di Stato.
Il processo di liberalizzazione dell’economia avviato da Mubarak s’è arrestato. È peraltro un fatto che, per quanto riguarda la condizione femminile, la spinta alla modernizzazione era tutta della moglie di Mubarak, che aveva marciato spedita contro molti tabù religiosi, nel campo sanitario e dei diritti civili. Mentre la “giovane guardia” liberale s’impersonava, prima dei moti di dicembre, nel figlio minore del presidente deposto, Gamal Mubarak, e nel suo sodale Ahmed Ezz, l’industriale dell’acciaio, segretario del Partito nazionale democratico. Nessun partito ha un ruolo nella transizione, né alcuna personalità non militare, compreso l’ex dirigente dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica, El Baradei, tornato in Egitto con l’imprimatur americano e Onu.

Problemi di base - 53

spock

L’egualitarismo è una tragedia, o avrà qualche merito?

L’egualitarismo è tutto brutto, o non abbiamo la chiave per abbellirlo e renderlo simpatico?

Se l’uomo è più che un dio, come dice Seneca, e la prova è che può suicidarsi, è la libertà un suicidio?

Quanto il Medio Evo è trapassato, se le porte della città si chiudono ancora, nelle Ztl, l’opinione pubblica è assente e ininfluente, le guerricciole sono costanti, con vassalli, valvassori e valvassini
e l’impero è distante, tra Wall Street e Pechino? Mancano i trovatori. E le madonne.

Che Italia sarebbe stata se si fossero fatte le scuole prima delle caserme? Prima della buonissima scuola media di Fanfani, 1961, dopo un secolo di unità.

Perché Marina Berlusconi non dice come fu fatto “Gomorra”?

Dobbiamo tifare per Lucio Presta invece che per Lele Mora?

spock@antiit.eu

Napoli dai Croce a Saviano

Marta Herling, figlia di Gustavo e di Lidia Croce, nipote in linea diretta di Benedetto Croce, ottiene infine spazio sul “Corriere della sera”, nell’edizione napoletana, per dire che ciò che Saviano dice e scrive del filosofo nel terremoto di Casamicciola a Ischia al quale sopravvisse diciassettenne, unico della sua famiglia, è falso. Saviano legge naturalmente a suo modo la storia (Benedetto Croce pagò una cifra enorme per essere salvato…), non poteva essere altrimenti. Ma Saviano detta l’agenda ai Croce – ed è l’aspetto migliore della Napoli di oggi.
Anche Gustavo Herling non ebbe spazio in Italia. “Un mondo a parte”, in cui nel 1951 documentò i campi di lavoro forzato per milioni di cittadini sovietici e dell’Europa orientale, dovette aspettare la traduzione inglese per essere pubblicato. Fu poi tradotto in diverse lingue. Un’edizione uscì pure in italiano, ma nessuno poté leggerla, il libro fu subito introvabile.
Herling padre, fuoriuscito polacco dal sovietismo, non si faceva illusioni e non se ne dispiacque – vivrà sereno, benché emarginato, fino al 198. Era uno che “ci credeva”. Nel suo libro rappresenta gente che ci crede fino ad arruolarsi nella polizia segreta Nkvd, e a diventare, per l’ideale, aguzzino senza complessi.

martedì 8 marzo 2011

Niente euro di ferro all’Eurogruppo

Lunedì all’Eurogruppo non ci sarà il pensionamento per tutti a 67 anni, né la costituzionalizzazione del divieto di deficit di bilancio, che il governo tedesco voleva cardini della Efsf, la European facility a protezione del debito e dell’euro. Non ci sarà nemmeno il consolidamento delle posizioni dei paesi più esposti con l’emissione di eurodebito, la proposta Tremonti-Juncker. Una serie di fattori hanno fatto perdere momentum a una decisione immediata in favore di una camicia di forza attorno all’euro. L’agenda dell’Eurogruppo si limita a rispondere alle attese del mercato con un impegno quantificato e calendarizzato al finanziamento dell’ Efsf. E con un impegno suppletivo da parte dell’Ecofin martedì, quindi anche dei paesi Ue fuori dell’euro, a una convergenza delle politiche fiscali e del debito.
La cancelliere Merkel aveva bisogno di un forte imprinting tedesco sull’euro, per bilanciare la perdita di consenso politico, dopo l’elezione malamente perduta a Amburgo e le dimissioni forzate del suo ministro della Difesa Guttenberg. Da qui l’insistenza per un innalzamento dell’età della pensione e il divieto assoluto di nuovo debito. Ma ha essa stessa bisogno di emettere nuovo debito, le insufficienze patrimoniali delle banche si stanno rivelando sempre più gravi. Mentre la decisione americana, data per scontata, di muovere guerra alla Libia consiglia una pausa. Il vertice straordinario Ue venerdì tenterà di prendere tempo: di allontanare l’intervento, sul presupposto che una qualche pacificazione in Libia lo disinneschi. Ma le previsioni sono che la guerra si farà comunque, e che l’Europa dovrà parteciparvi.

L’Impero Usa è un altro dopo il 1989

Non è cambiata con la presidenza democratica, con un presidente per giunta nero. Non è cambiata rispetto alle presidenze del repubblicano integralista G.W.Bush. È stata del resto “fondata” dal precedente presidente democratico, Clinton marito, che ha sistematizzato i canoni reaganiani, abbozzati a Grenada, in Iran, in Libia, e perfezionati da G.Bush nella Guerra del Golfo – la guerra che “non c’è mai stata” del filosofo Baudrillard. È la politica estera americana, che è radicalmente mutata negli anni 1980, con la caduta dell’impero sovietico.
Negli ultimi trent’anni, da quando è finita la guerra fredda, gli Stati Uniti vengono accettati e sostenuti acriticamente per gli ideali che proclamano – ideali di libertà. Che sono invece formulari vuoti, in contrasto costante con i fatti. Tutto l’inverso di prima, quando invece degli Usa si contestavano, da sinistra e da destra, anche i fatti buoni, la difesa di Berlino o il ritiro dal Vietnam. Era eccessivo allora, è sbagliato ora.
In questi trent’anni gli Stati uniti hanno propagandato la guerra umanitaria, la guerra di liberazione, la guerra per i diritti, o la democrazia. Ma i fatti, univoci, dicono l’opposto: gli Stati Uniti hanno innescato e favorito situazioni d’instabilità cronica, con prevalenza di guerre civili, e fino alla ferinità. Nell’ex Jugoslavia, nel Corno d’Africa, e nel Medio Oriente, dal Libano e l’Iraq fino all’Afghanistan e al Pakistan, e ora ovunque nel Golfo e nel Nord Africa. Nell’area cioè che gravita sull’Europa. Le vecchie aree d’instabilità nelle quali gli Stati Uniti erano soliti esercitare la loro potenza, il Sud-Est asiatico (Vietnam, Cambogia, Malesia, Indonesia) e l’America Latina, sono dimenticate.
A parte l’ex Jugoslavia, che si sarebbe comunque governata bene senza le guerre civili, l’esportazione americana della libertà, della legge, dell’ordine democratico è zero. Nella pratica, questo esercizio militare dell’egemonia si specializza nella creazione di tante “Somalie”, posti invivibili di barbarie, con regressioni brusche e feroci nell’anomia, da cui l’aspirazione massima è fuggire. Tutti i paesi dove gli Stati Uniti sono intervenuti militarmente avevano mantenuto peraltro intatto in questo tornante di millennio il tribalismo nella sua versione dissolutrice, Jugoslavia, Libano, Somalia, Iraq, Afghanistan.
Costante nei trent’anni, dall’intervento inopinato nell’isoletta di Grenada nel 1983, è il “bombardamento” di questo o quell’obiettivo remoto nelle stesse aree: Tripoli, Nairobi, Khartum. Fino alle vere e proprie guerre aeree, contro l’Iraq nel 1991, poi contro la Serbia, e di nuovo contro l’Iraq nel 2003. Obama del resto, più che un presidente nero, di una minoranza a lungo sfruttata, sembra uno uscito dall’album di “Star Trek”, la serie tv con la quale è cresciuto. Non ha espressione, probabilmente non ha emozioni, e la sua “cosa giusta” è quella dell’Impero: remoto, insindacabile, che solo si fa vivo con le bombe.
Un riesame critico della politica estera americana dopo il crollo dell’Urss non è stato fatto, ma essa si precisa a ogni evento in modo inequivoco. L’anno spartiacque è il 1989, per il crollo dell’impero sovietico. E per la globalizzazione, la scelta d’introdurre la Cina e l’India nel mercato internazionale. I due fatti sono collegati, poiché l’Urss traballava già da alcuni anni, sotto i successori di Breznev, il bipolarismo era già imperfetto, malgrado la minaccia americana delle “guerre stellari”, la guerra fredda disinnescata. Né la Cina faceva più paura, indebolita l’Urss: l’America di G. Bush si permise di trascurare Tienanmen perfino sotto l’aspetto propagandistico, per aprire a Pechino il suo enorme mercato. La strategia militare, che è parte sostanziale della politica estera americana, era stata già precisata in senso unilaterale, abbandonando il multipolarismo di Kissinger, abbozzato pochi anni prima, alla prima apertura verso la Cina, ancora in fase di “contenimento” dell’Urss.
Un fatto già accertato dall’analisi storica però c’è, ed è l’emarginazione dell’Europa, la fine della “interdipendenza” di Altiero Spinelli (in buona misura autoemarginazione, ma in questo quadro ciò è ininfluente). Dell’ideologia transatlantica che ha retto i rapporti internazionali dopo la guerra. In favore della sudditanza dell’Europa - considerata alla stregua di un utile idiota, moralista, saccente, al più “willing partner”, volenterosa – e di un equilibrio ben bilanciato con l’Asia – la Cina, le “Tigri”, il Giappone neo nazionalista. Con l’islam ora terzo incomodo, cuneo sull’India e la Cina.
L’Italia in questa nuova strategia, e ogni altro paese europeo, vengono in considerazione come guardaspalle. Ma da socii, o foederati, si direbbe nella latinità, e non come alleati. Con l’obbligo cioè di mettere a disposizione soldi, mezzi e uomini per le guerre degli Usa. La pubblicazione delle carte diplomatiche americane non lascia dubbi sulla natura dei rapporti tra gli Stati Uniti e i governi di queste aree – la pubblicazione è essa stessa un segno del rapporto squilibrato, limitata com’è stata alle carte dall’Europa e dal Medio Oriente.
Quanto all’islam, c’è dietro l’11 settembre un paradosso: perché gli Stati Uniti hanno sempre sostenuto il fondamentalismo islamico, ovunque, fino all’11 settembre: in successione cronologica in Pakistan (Zia Ul Haq), Iran (Khomeini contro lo Scià e “Iran Contra”), Afghanistan (Talebani), Algeria (Gis). In alcuni casi lo hanno anzi “creato”, sostenuto cioè finanziariamente e propagandato: il salafismo nel Golfo, il qaedismo in Afghanistan, il Gis algerino, le dodicimila madrasse e le ottomila moschee costruite dal generale Zia in Pakistan. Ora sostengono la sovversione nei paesi arabi, senza forze di riferimento politiche, per una “piazza” astratta, indecifrabile, senza cioè ordinamento o punto di riferimento politico a Tripoli e a Bahrein è perfino “inventata”). E la sovversione non è mai fine a se stessa.

Ombre - 80

La festa della Donna, o 8 marzo, nasce socialista. Per una diecina di anni è stata celebrata solo dai socialisti, in Italia e in molti altri paesi europei. Ma la parola socialista non si può pronunciare. Nemmeno lo scorso anno, per il centenario della festa, come dato storico. Nemmeno Napolitano osa oggi, benché si sia iscritto con tutto il Pci al socialismo europeo.

Loredana Lipperini scrive sul “New York Times”, in una rubrica “Intelligence” che il giornale allega nel supplemento settimanale a “Repubblica”, che la formazione delle donne italiane è limitata alle veline di “Striscia la notizia”. E che esse non contano nulla nella vita pubblica, “meno che nel Mozambico”. E come potrebbero?
Lipperini scrittrice vanta sul suo blog 120 presentazioni del suo penultimo libro. Centoventi. Lei cioè fa eccezione - è della Rai, anzi di Fahrenheit, una potenza.

Però, gli italiani, e le italiane, che prosperano dicendo tutte le scemenze attese dell’Italia sono invidiabili. Intanto, Lipperini è andata, spesata, sul “New York Times", il giornale più influente, e su “Striscia la notizia”, la tv più vista: una pubblicità niente male (benché inferiore, bisogna ammetterlo, a quella che si fa lei sulla Rete, altro che veline sudate).

“Striscia la notizia” è la trasmissione più civile di tutta la tv italiana, come si può imputarle il malcostume? Forse nell’ottica della Rai. Che a “Striscia” sa fare la concorrenza solo regalando soldi, con i vituperati, un tempo, quiz.

In lite giudiziaria con i suoi amici di sempre Bocchino e consorte, Roberto Dagospia rivela che le notzie su Noemi gliele passava il napoletanissimo onorevole, allora anche molto berlsuconiano. Il giornalismo italiano ha sempre avuto il viio di mettere le notizie in coda, da quanto il giornale si faceva sul bancone del tipografo e le ultime righe, se necessario, si tagliavano.

La moglie di Bocchino è una che lavora in proprio. Ma Bocchino marito se ne lega le attività: qualsiasi cosa la signora faccia, il marito dice che la fa come moglie sua. Anche se telefona, o le telefonano.
La signora Bocchino, che ha anche un nome, Gabriella Lonardi Buontempo, non se ne lamenta: la libertà aspetta dal futuro?

L’Enel si difende sul “Corriere della sera” dagli utenti che trovano illeggibili le bollette. Il “dettaglio della fattura” risponde alla delibera tal dei tali dell’Autorità per l’energia, spiega. Ma sul nostro sito, aggiunge, “è disponibile una guida interattiva che aiuta a leggere la bolletta e un glossario”.
Bisogna dunque essere internauti, e letterati, capaci di compulsare un glossario. Per capire cosa vuol dire una costosissima Autorità, creata, e pagata lautamente, per assicurare la trasparenza - trasparenza è un nelogismo per chiarezza dei conti.

Ai giudici di Agrigento dà fastidio il sindaco di Lampedusa. Hanno tentato di incriminarlo per corruzione e gli è andata male. Ora lo incriminano per razzismo. Per aver “ordinato” la pulizia delle strade. Discriminando, dicono, i nordafricani che arrivano di notte. Ma l’ordinanza non li discrimina, sono i giudici che la mirano sugli africani.

I giudici di Agrigento, benché razzisti antirazzisti, non sono imputabili di “intelligenza col nemico”: i nordafricani sono aggressivi ma vengono da governi indigenti. Non sono forse nemmeno giudici(post)sovietici. Sicuramente sono di scuola napoletana, dei De Magistris, Woodcock: si divertono. Al più, poi, faranno gli onorevoli.

De Siervo si protesta “non comunista” con Maria Antonietta Calabrò. Giustamente, lui è di Rosy Bindi. A metà, è pure vero, con Casini.

La Procura di Milano fa pubblicare ogni giorno una diecina di “nuove” intercettazioni su Ruby. Non di più né di meno: una diecina servono a “montare” una pagina. Inutile chiedere come sono “nuove” se risalgono ad alcuni mesi fa. E se sono vere intercettazioni, poiché Ruby sapeva di essere registrata.
O lo squallore è di chi fa questo basso servizio alla Procura? Imponendo ai lettori una ragazza che da ogni pizzo ormai sa di pesce. Cronisti di giudiziaria ma anche direttori, che la puzza poi si portano nei salotti. Tutto in realtà Milano unifica, dove lo squallore è infinito.

Dopo Morandi, la Rai punta su Vecchioni? Gli ha fatto vincere Sanremo, gli farà vincere “Ballando sotto le stelle”? Un ballerino acrobatico di settant’anni è anche apprezzabile. Se non che il milanese Vecchioni tiene l’Italia in sospeso col “bastardo al sole” della sua canzone vittoriosa. Chi sarà?

A Sanremo la Rai si era dimenticata Napoli. Nel cento cinquantenario, figurarsi. Ha rimediato Vecchioni proclamandosi ambro-napoletano. Milano si prende proprio tutto.

Henry John Woodcock che ricostruisce con Luigi Bisignani una loggia P 4 è naturalmente da ridere. Il giudice è noto per divertirsi da una diecina d’anni. Anche il nome sembra da ridere. Ma i giornalisti, le giornaliste, della giudiziaria plumbei gli si affannano intorno.
L’inchiesta di Woodcock era stata “anticipata” due mesi fa al “Fatto Quotidiano”. Ma il giudice non concorrerà alle comunali di maggio, si prepara per le prossime politiche.

Bondi non ce la fa più: il tradimento di Casini, che lo voleva dimissionato, lo ha ferito a morte. “Mi ricordo i tempi della Dc e del Pci”, dice nostalgico a Alessandra Arachi: “Si discuteva, all’epoca. Si litigava anche. Ma non ci si scannava”. Forse è dunque vero che il Pci raccoglieva soprattutto degli illusi.

Michael Daley ha governato Chicago per 21 anni. Suo padre Richard pure, 21 anni. Indubbiamente con merito. Ma si sa che i Kennedy devono primeggiare anche se mediocri, di nessuna virtù, e nemmeno più belli. I Bush. I Clinton. La democrazia in America ha bisogno di qualche ritocco.

lunedì 7 marzo 2011

C’è la carogna anche sotto la filosofia

Il vecchio tema della bellezza carogna, l’amore violenza, eccetera. Ripercorso su un gioco di parole certo irresistibile: la Venere (nudità) dei Medici, la Venere (nudità) dei medici… Un concentrato dell’irrealtà – circolarità – della filosofia post-fenomenologica. Affabile italianista, generoso, Didi-Hubermann indulge alla retorica franco-heideggeriana che tiene il posto della filosofia, dandone (involontariamente?) una presentazione farsesca.
Georges Didi-Hubermann, Aprire Venere. Nudità, sogno, crudeltà

Letture - 55

letterautore

Autore - È superfluo: in nove casi su dieci, o 99 su 100, il libro è utilizzabile senza copyright. Serve all’indice degli autori, per dire che una certa pagina è in un certo libro.

Baudelaire – È il prototipo dell’autore: solitario, polimorfo, intrigante. E un gigante. Ma nevrotico: si penserebbe dell’autore che liberi la fantasia, e quindi il mondo, e invece è uno psicopatico. Su di lui per esempio abbiamo scoperto: Maurice Barrès, “La folie Baudelaire”, Starobinski, “La mélancholie au miroir”, che è la stessa cosa di follia, e G.Blin, “Le sadisme de Baudelaire”, mentre Nadar fa risalire il tutto all’impotenza dell’amico, che forse era finocchio.
Ota Roberto Calasso, rifacendo “La folie Baudelaire”, dice il “Mio cuore” “il più importante supplemento a Joseph De Maistre” – ma a “quale” J.De Maistre?

Per molti anni, e poi nella memoria, il libro delle consolazioni è stato “Il mio cuore messo a nudo”. Una sorta di rivelazione anche, benché il ricordo non precisasse di che. Riprendendo ora il libro, la traduzione Einaudi del 1955, la prima lettura si conferma adolescenziale. Ma il volumetto risulta anche sguarnito del segnalibro che di solito appunta le pagine memorabili. Solo un’inconsueta sottolineatura a matita attesta l’interesse morboso del vago ricordo. All’indice, al paragrafo “Considerazioni ultime sull’amore”. Ma non corrisponde a nulla, non avendo problemi di madre o amanti.

Croce - Il liberalismo del maggior filosofo liberale del Novecento (nella silloge “La religione della libertà”, antologia degli scritti politici, Sugarco 1986, e nella libertà come religione della “Storia d’Italia” e della “Storia d’Europa”) è ambiguo, anzi distorsivo Si può dire il maggiore abbaglio del grande scrittore, a specchio della sua filosofia di riporto, e di una filosofia della storia che è mero entusiasmo, l’idea dell’“idea”. Anzitutto nella politica della libertà, di cui ebbe concezione utilitaristica, per criteri che poi sarebbero stati detti “metapolitici”. Il suo liberalismo “supera la teoria formale della politica e, in un certo senso, anche quella formale dell’etica, e coincide con la concezione formale del mondo e della realtà... In essa si rispecchia tutta la filosofia e la religione dell’età moderna, incentrata nell’idea della dialettica ossia dello svolgimento, che, mercé la diversità e l’opposizione delle forze spirituali, accresce e nobilita di continuo la vita e le conferisce il suo unico e intero significato. Su questo fondamento teoretico nasce la disposizione pratica liberale di fiducia e favore verso la varietà delle tendenze, alle quali si vuole piuttosto aprire un campo aperto perché gareggino e si provino fra loro e cooperino in concorde discordia, che non porre limiti e freni, e sottoporle a restringimenti e compressioni”.
Da qui la benevola disposizione iniziale verso il fascismo. Dopo la guerra, invece, Croce lega il liberalismo alla democrazia: “Non bisogna dimenticare che il liberalismo disgiunto dalla democrazia inclina sensibilmente verso il conservatorismo, e che la democrazia, smarrendo la severità dell’idea liberale, trapassa nella demagogia e, di là, nella dittatura”. Ma allora lega il liberalismo all’intervento dello Stato nell’economia. Indefettibilmente. Ed questo il suo secondo abbaglio. Di contro, si suole dire, a von Hayek e Mises. Ma anche, com’è stato detto, a Einaudi, che del liberalismo sembra avere concezione fattuale, e invece ne ha una anche teoricamente robusta. E soprattutto alla concezione liberale americana, quella conservatrice rappresentata da Bruno Leoni e, in Italia, Riccardo Paradisi (ma sulla scia del realismo politico di consolidata tradizione, da Machiavelli a Hobbes, Alessandro Passerin d’Entrèves e Hannah Arendt). Per il rischio connesso alla democrazia e alla volontà generale: “La libertà individuale non può essere compatibile con la volontà comune ove quest’ultima sia solo un’impostura per celare l’esercizio di coazione sulle minoranze, che a loro volta non accetterebbero mai la situazione se fossero libere di rifiutarla” (Bruno Leoni). E per il potenziale “politico” del mercato: il mercato “potrebbe proprio essere… il pieno inveramento della società aperta, … l’acido corrosivo nel quale verrebbe a sciogliersi la residualità politica di ogni moderno leviatano statuale”, e per alcuni aspetti, “laddove si trattasse di mercato puro, … un nuovo feudalesimo, entro le coordinate del quale gli uomini potrebbero tornare a stipulare, secondo chiari rapporti di forza, patti rinnovabili di libera fedeltà reciproca”.

Pasolini – Le sue periferie tardo realistiche sono più svenevoli di “Cuore”. Più false anche, forse De Amicis ci credeva, il che nel 1960 non era possibile.
Parlando di Pasolini usa dirlo “vivo, pulsante, attuale”. Mentre è datato, di molti anni prima del suo arco di vita. E il rinculo prospettico aumenta tanto più ci si allontana dalla sua morte (presenza).

È capitato vent’anni fa di ascoltare a lungo alla radio Laura Betti parlarne credendola un uomo. Che tante volte gli diceva, dopo avere dormito abbracciati: “Vieni qui che ti penetro di nuovo”. Sembrano una mascherata, gli amici gelosi (golosi) di Pasolini, ma forse sono lui.
Col (falso?) “Edipadre”: “Quando era lontano le telefonava ogni giorno, ovunque si trovasse. Telefonate che finivano con baci, bacini come a una fidanzata. Quando morì il marito Susanna si mise il rossetto e andò al cinema con il figlio. E quando Pier Paolo morì lei divenne pazza”. Dacia Maraini a Valeria Numérico, “Epoca”, 24 giugno 1972.
In viaggio in Africa misurava i membri dei ragazzi. In versi e in prosa.

Cyril Connolly l’avrebbe incluso fra i “poeti-giornalisti” (Kipling), con l’ispirazione e la parola giusta per l’attualità, e l’espressione facile da leggere.

La timidezza aveva brusca, anche dura. Segno di un’ipocrisia di fondo? Anche la costante apoditticità, mascherata da poesia epica e “civile”.

Plagio– Se Savinio ha copiato Max Ernst, o Max Ernst ha copiato Savinio: nelle arti figurative la questione non è triviale. L’arte del falso è un’arte figurativa. Nella scrittura è impossibile.

Scrivere – Per Kafka “è una forma di preghiera”. Al modo della saggezza orientale: “Hai generato un figlio? Hai piantato un albero? Hai scritto un libro? Allora puoi iniziare la Grande Opera”. Per Wilde “è un castigo, anche se, come qualcuno ha detto della tortura, serve pur sempre a passare un’ora o due”. “Scrivo per non diventare un assassino”, scrive Mac Orlan.
Sono tutte formule apotropaiche?

Si scrive in sei modi. Tre dendriformi:
- in verticale, per lunghe sezioni giustapposte;
- in orizzontale, a spicchi, a cerchi concentrici, estensibili variamente;
- in trasversale, con le ramificazioni e le fronde (il plot e gli artifici di genere).
Tre pittorici:
- alla Caravaggio, a scene illuminate con bagliori;
- alla Giotto, con figura preminente;
- col dettagliamo paesaggista del Quattro-Cinquecento, con o senza le velature di Antonello o Leonardo.
In quest'ultimo modo con due approcci:
- alla Stendhal, cioè seccamente;
- alla Proust, caricando cioè il dettaglio di lirismo.

Premi - Si danno, la maggior parte, per ricavarne lustro, non per darne: è il premiato che dà tono e pubblicità. Le istituzioni, di qualsiasi tipo, sono in ribasso.

Sherlock Holmes – Il vero Freud, in quanto iniziatore della tecnica deduttiva e lui stesso principe dei deduttori – specialista in “concatenazioni” (questo avrà un significato nel profondo?). Il primo, e il vero, ispiratore delle legioni di psicanalisti. Freud ne ha solo adattato la terminologia, allungandone le “avventure”, uno degli imitatori più prolifici.

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Quando Kohl impiccò l’Italia all’euro

Il 1996 fu l’anno delle decisioni definitive per l’euro. L’Italia arrivò alla volata finale in difficoltà, e indietro. Il terreno sarà poi recuperato da Prodi e Ciampi – pagando il prezzo suppletivo di una parità troppo alta. Ma la decisione, si poteva scrivere quindici anni fa di questi giorni, era già stata presa:
“Kohl dirà un giorno, lo va dicendo da tempo, che Margaret Thatcher e François Mitterrand gli hanno estorto un impegno a “restringere” la Germania nell’euro, in cambio del consenso alla riunificazione. E che questo impegno fecero patrocinare dagli Usa – che invece l’euro non lo amano, per il poco che lo considerano. Il cancelliere lo va dicendo per venire incontro all’opinione pubblica nel suo paese: i giornali, sia conservatori che socialisti pretendono che la Germania non gradisca l’euro, non gradisca cioè un legame stabile con gli altri paesi europei. La verità è però un’altra: Kohl vuole tutti nell’euro, per non avere concorrenze sleali da parte dei partner europei. In particolare ci vuole l’Italia. In disaccordo per questo col suo stesso presidente della Bundesbank, l’amico di partito Tietmeyer. Al quale l’ha detto chiaro, e di questo ne ha reso edotto Lamberto Dini: l’Italia deve entrare nell’euro, alle condizioni di Maastricht, fin dal primo minuto.
“Hans Tietmeyer, da buon tecnico, ha escogitato varie soluzioni per una sorta di Euro 2, un secondo livello di paesi europei con vincoli di spesa pubblica meno rigidi. Il suo ragionamento è semplice: l’Italia ha un debito doppio di quello della Germania, non potrà mai stare nei parametri rigidi fissati a Maastricht. Per l’Italia e gli altri paesi indebitati come il Belgio, si può quindi pensare a un Euro 2. Si può pensarci anche come una soluzione a tempo, “per un anno”: finché le economie dei paesi più indebitati si metteranno in condizione di onorare gli impegni di Maastricht.
“Il cancelliere invece è di tutt’altro parere: un’Italia fuori dall’euro, e insieme strettamente legata all’industria tedesca, farebbe una concorrenza rovinosa. L’Italia deve quindi essere subito parte dell’euro, alle stesse condizioni degli altri partner.”

domenica 6 marzo 2011

La filosofia uccide

Provinciale, come tutta la serie bostoniana di Arthur Jelling: nomi italianizzati, nomi approssimati, spelling sbagliato, e una Boston, nota lo stesso curatore Pirani, che sembra la periferia di Milano. Anche il caldo ferragostano, umido, bagnato, è milanese. E il mondo degli affari che fa da quinta alla vicenda. Scritto al solito all’impronta – Scerbanenco, redattore di periodici femminili, non aveva tempo, o gusto, di rileggersi. E tuttavia funziona. È del resto una prima nell’affollato catalogo dei gialli, se non un caso unico: la filosofia assassina.
Giorgio Scerbanenco, L’antro dei filosofi, Sellerio, pp. 261 €14

È una partita fra Milano e Bologna

Non c’è solo Milano al comando, c’è anche Bologna. Con Casini, che vuol dire la Rai, Bersani, Fini, i quali fanno l’opposizione, benché non gloriosa. Nonché Cofferati, bolognese di adozione, che ha imbastardito la Cgil, un sindacato che aveva tutti i mezzi e la vocazione per difenderci. Con Prodi, che ha un’altra marcia, ma è per questo bolognese atipico, poco chiacchierone. Si dice sempre che anche l’opposizione governa, e in un certo senso questo è vero anche dei bolognesi.
È così che l’Italia resta sotto il tallone – di ferro – di Milano, indisturbata. Di Tremonti naturalmente, che è il Ministro Unico di questo e tanti passati governi. E di Bossi naturalmente, Berlusconi, Lele Mora, e la Procura.

Mercato è il pizzo legale

Siamo gravati da innumerevoli firme, anche solo per spedire una ricetta in farmacia. Perché così ha decretato l’Autorità per la privacy. E non sappiamo più cosa paghiamo in bolletta, specie della luce e del gas, perché l’Autorità per l’Energia, che ci protegge dai rincari e dalle truffe, la vuole incomprensibile. Né ci sono solo le Autorità, questi organismi pletorici, fastidiosi, carissimi, creati per garantire il mercato una dozzina d’anni fa.
Non c’è mai stata nella storia della Repubblica tanta intromissione nel privato come in questa epoca di mercato forzato. Di cui i balzelli sono solo l’aspetto più visibile. Dal ticket sul biglietto del cinema agli innumerevoli balzelli del fisco locale, il primo prodotto della liberalizzazione e del decentramento. Ogni sacchetto della spazzatura costa due euro e anche quattro. La multa stradale, fissata per legge, si grava di 12 euro di notifica (ormai si parla di euro come di lire…). L’acqua si raddoppia di prezzo per la depurazione – anche dove la depurazione non si fa.
Per non dire delle banche, che di privato hanno solo il nome, tant’è che i loro evidenti accordi di cartello non sono nemmeno indagati. Che tassano anche i soldi che uno vi deposita, in giacenza e, di più, quando sono ritirati. E impongono, all’unisono, spese e commissioni percentuali per ogni tipo di servizio che non gli costa nulla (il deposito titoli, l’incasso dei dividendi, l’incasso degli assegni, che avviene tutto in automatico). Col pizzo aggiuntivo dello Stato vero e proprio: due euro al mese ogni conto corrente.

L’università privata eccola qua

Privat-dozent, libero docente, è stata una professione onorata fino a centocinquant’anni fa. Si potrebbe prendere la ricorrenza dell’unità per tornare all’antico. Dato che il moderno a Tremonti dispiace, cioè a Milano. Che invece di tagliare gli stratosferici appalti, la cosiddetta pace nel mondo, così costosa, e le folle di portantini degli ospedali e le Asl, taglia la scuola, l’università, e la ricerca scientifica. Erano docenti privati, a pagamento, i luminari di medicina. E anche illustri letterati, Pietro Giordani, Francesco De Sanctis. I filosofi pure, i fisici.
Non è una modesta proposta, non sarebbe nemmeno difficile: ogni allievo divide per cinque-sei ogni anno, quanti sono gli esami che deve dare, la tassa che ora annualmente paga all’università, la divide con i cinque-sei professori che lo prepareranno agli esami.

Mani sporche sulle case del Campidoglio

Si fa periodicamente uno scandaletto, sulle case del Comune di Roma, “visto da destra” cioè, “visto da sinistra”, giusto per qualche titolo di giornale. Ma senza incidere: a amici, parenti, conoscenti, sindacalisti, funzionari comunali, cooperative e associazioni di comodo, pagano e pagheranno sempre affitti e prezzi di vendita irrisori. Sembra la giungla della questione morale. Ma i fatti sono noti: il Campidoglio ha almeno trentamila abitazioni di pregio, e forse centomila, un patrimonio accumulato nei secoli, che non sa gestire. Carraro, l’ultimo sindaco del centro sinistra, avviò vent’anni fa una catalogazione, affidandola al consorzio d’imprese Census. Fu la sua fine: Niccolini ne chiese l’incriminazione, la Pm di Mani Pulite Attanasio abbatté la giunta Carraro, arrivarono i commissari Voci, Camporota e Canale, e la prima cosa che fecero fu la rescissione del contratto Census. Che il Campidoglio poi pagò giudizialmente, per non fare il censimento. Canale poi tenterà la carriera politica nell’ex Pci.