Austerità - O astensione: è la filosofia del momento? Inerte: si può fare l’amore con un muro, giusto il precetto di Michaux visionario, ma l’austerità è più sterile, interiorizza la continenza. Non è un problema di dispiegamento o contatto fisico, o della sua assenza, del rifiuto. Il fatto è che si ha bisogno di confidenza. Come si dice: raccontare le proprie pene è dimezzarle, raccontare le gioie è raddoppiarle. E ora consumare – con o senza la chiesa sullo sfondo: è la piazza, il punto d’incontro della community.
In queste cose non c’è surrogato, non dicano in America, non consola chi capita al bar.
Medium - È narcisista. Il mezzo di comunicazione privilegia se stesso: la televisione ama parlare della televisione, il giornale dei giornalisti, e i blogger, quanto sono narcisisti! Se ne inferisce la povertà dell’informazione (comunicazione), oggi che il medium è prevalente.
Modernità – È di destra, non da oggi.
Questo è un argomento di destra (lo sostiene per esempio Quirino Principe, o Luigi Iannone, “Jünger e Schmitt. Dialogo sulla modernità”) , ma non infondato. Ciò che resta del Novecento, in filosofia, filosofia della storia, antropologia, forme sociali e del diritto, e interpretazione del viluppo tecnologico, nucleare e informatica compresi, è della rivoluzione conservatrice. Da Thomas Mann, forse, a Heidegger, Jünger, Schmitt.
Proprio conservatrice. Quella liberale, Rorty, Williams e Nussbaum compresi, è l’infiocchettatura di una realtà sfuggente, quando non abietta - ferma al muro, peraltro, del femminismo di giornata.
Rivoluzione – È follia: 1) è scoppio incontrollato, incontrollabile, per quanto strategicamente e tatticamente divisato, 2) non è riconducibile a schema preordinato, 3) è ordinabile solo a posteriori, come nuovo ordine di un evento incontrollato.
Ammoniva il presidente Mao che la rivoluzione non è un dinner party. E come potrebbe? Ma non è la presa della Bastiglia, che aveva sette carcerati, né del palazzo d’Inverno, che si fece per una porta dimenticata aperta. Queste sono favole, benché suggestive. Lo spirito della libertà richiede un buon pascolo, è noto aforisma del barone Lichtenberg, che Kant amava.
I conservatori dicono pure che ogni vittoria ha in sé i germi della sconfitta, o viceversa. È vero, almeno nel senso che l’acqua è sempre la stessa. Agli estremi pure gli effetti possono essere gli stessi, indesiderabili: si brucia per il caldo, o per il freddo. E prima o poi siamo tutti morti. Ma il freddo non è il caldo, benché li unisca la scala delle temperature, il calore è uno stato diverso dal gelo. Così è per l’azione e l’inazione: sono ai due capi dello stesso filo, ma non sono la stessa cosa.
Ci vogliono i mezzi. E il tempo e il luogo. Gesù stesso strafece nella storia del fico, che voleva fruttificasse anzitempo: Gesù vuole dei fichi ma, essendo marzo, l’albero non ne produce e Gesù lo maledice. E ci vogliono gli uomini. Cioè, nella rivoluzione, la convinzione delle avanguardie e l’urto delle masse. Non è impossibile. Machiavelli intraprese la costruzione di un nuovo Stato a partire dal nulla. Con la follia dell’utopista rivoluzionaria – oggi reazionaria, dopo cinque secoli, ma questo è un altro discorso. Non ce la fece. Lui non era un capo, altri non ce n’erano - Cesare Borgia non era male, se matò mezza dozzina di tori selvaggi in una volta, ma è personaggio da western. La nostra rivoluzione non ha un Machiavelli, uno che sappia, anche poco, come funziona il potere che vuole abbattere. Mentre bisogna essere antiromantici: la storia, dice bene Croce, è sempre contemporanea, non era migliore mille o duemila anni fa, benché sia ormai classica, è come la poesia. J.S.Mill, che Marx stima, ritiene però “indiscutibile che un individuo dalle capacità di godimento illimitate abbia ampie probabilità di poterle del tutto soddisfare”. Questo noi vogliamo, poche cose, che Mill condensa nel “senso di dignità”.
Un approccio corretto guarda tra di noi, tra di loro, e l’ambito o ambiente. Il problema tra di noi è che si sapeva tutto mentre accadeva, dei crimini di Stalin – lo sapevano gli altri, e anche i comunisti. Lo stesso i tedeschi e gli Alleati: conoscevano in tempo reale i delitti sterminati di Hitler. Poi gli Alleati e i comunisti hanno trovato comodo negare. E questo è ormai un linguaggio, una seconda pelle. Il punto è: non si reagisce per debolezza? per ipocrisia? perché la storia deve seguire il suo corso? Ma la storia si può fermarla, è vero. Loro saranno maschere, che rinviano ad altre maschere, ma come s’interviene in un teatro di maschere? Non si capisce dove la struttura da battere sia sotto la sovrastruttura. Di loro si fa comoda la teoria degli agenti: Mussolini e Hitler agenti del capitalismo, etc.. Aggravata dalla teoria, di Zinoviev e Willi prima che di Stalin, del socialfascismo, per la quale i socialisti sono “un’ala del fascismo”, che il fascismo fa grande. E i rivoluzionari sono così rimasti soli. Popolo diverso, il popolo del futuro. Se ce ne sarà uno, poiché c’è la fine del petrolio, e dell’ambiente.
La rivoluzione può essere un caso del bene che non è vero, e dispiacere a Socrate e Platone, i quali il bene identificano con la verità. Anche la verità di una rivoluzione può non essere un bene. Il che può essere, è, conservatore e reazionario. Ma non in una prospettiva critica, nella quale si cerca la verità. La verità è nel vocabolario, secondo Foucault. Ma è uno scherzo. Socialisti si può essere nell’etica kantiana, del dovere bene inteso, del comando morale che è positivo, dello Stato, ma anche naturale, si deve esserlo. Mentre i calcoli del metodo hegeliano sono una degenerazione dell’utilitarismo e fanno orrore, servitù adducendo e ipocrisia. Gli scontri regolari di anni sul campo di battaglia, tra Francia e Germania per esempio, non hanno mai deciso nulla. Le campagne folli invece no: Napoleone in Egitto, Gordon a Khartum, Mao nello Yunan sono imprese gravide di esiti e significati. Di queste sorprese è pieno il Vangelo, mentre la legge vi è abominevole.
Storia – Tolstòj è per la storia-destino: “Ogni deduzione della storia si dissolve come polvere”. Ma ha scritto Guerra e pace.
Si può dire la storia il repertorio dell’arte, tecnica e estetica, quale manifestazione della vita. In questo senso è una cambiale perpetuamente rinnovata. E il Tempo concilia con l’eterno e l’infinito. Sia pure nel pilatismo dei logici, vedi Ayer: “Nelle proposizioni generali sul passato remoto si deve ammettere che, per quanto forte possa essere l’evidenza in favore degli assunti della storia, la loro verità non può essere nulla più d’una probabilità… Nessuna proposizione diversa da una tautologia può essere mai qualcosa di più di un’ipotesi probabile”.
C’è chi la storia vuole uno sberleffo al progresso. O “piena di lacune e quasi impossibile”, quella del romantico Arnim. “L’assenza dell’essere,\il no di ogni cosa,\la rottura del vivente con se stesso” di Cioran. O contraffatta dalla leggenda, Jouhandeau. E nascerà dalla mancanza. Dalla nostalgia dei morti. “Il passato”, per Vernon Lee giovinetta, “serve (scusate l’espressione) ed è mantenuto in vita sopratutto come campo di ricreazione per il lugubre presente”. Ma è la sola maniera di essere, alla Oscar Wilde: ogni uomo è, in ogni istante della sua vita, tutto ciò che è e tutto ciò che sarà. Perché la storia cresce, si espande. Malgrado tutto più uomini vivono sulla terra, più a lungo, che si vorrebbero immortali: c’è voglia di progresso. “La storia mi ha sempre divertito molto” può non di-vertire, poiché lo dice Marc Bloch che è uno storico. Ma basta il sobrio Benjamin, della storia filosofo: la storia basta “strigliarla contropelo”.
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