sabato 3 dicembre 2011
Celan è il tedesco
“Oscurato” è un piccolo canzoniere che Celan compose nel 1966, nel tentativo di riguadagnare l’attenzione della moglie, dopo che aveva tentato di accoltellarla ed era per questo finito in manicomio. In traduzione è proposta con una editoriale di Borso, e un saggio di Giorgio Orelli. Borso dà in traduzione anche un’intervista di Celan, il 26 dicembre 1966, perfino perentoria: “Mi adopero a riprodurre in parole porzioni porzioni almeno dell’analisi spettrale degli oggetti”, non potendo “mostrare gli oggetti da tutti i lati”. E: “Resto nelle mie cose aderente al sensibile”. Orelli ricorda Mallarmé, “il poeta, verbale”, e d’acchito rileva “la straordinaria attenzione alle forme interne delle parole”, leggendo Celan in parallelo con Rilke - e infine con Petrarca... (c’è un po’ di approssimazione nell’edizione di Celan: dei 35 componimenti di “Oscurato” 21 sono inediti, ma gli altri 11, il blocco centrale, compreso il testo che dà il titolo, già pubblicati da Siegfried Unsel nel 1968, nell’antologia “Aus aufgegebenen Werken”, da opere abbandonate, sono centrali anche nella raccolta “Poesie sparse pubblicate in vita”).
Canzoniere è la parola giusta perché il corteggiamento della moglie era stato tentato dal poeta prima dell’accoltellamento, con un viaggio in Provenza a trovare René Char, “direzione Valchiusa” e Petrarca. E per questo la raccolta s’impone, per l’aneddoto, la biografia. Per il resto conferma l’interesse esclusivo di Celan per la parola, il detto dell’altrimenti non detto – l’amore ci sarà ma non si vede: “Una lingua/ genera se stessa”, si legge in uno dei componimenti. Le note ai testi documentano l’interesse esaustivo di Celan per le parole “sconosciute”, che trascrive dalla contemporanea lettura di Thomas Wolfe tradotto in tedesco, di Conrad, di Joyce.
Su questo stesso aspetto, peraltro, la piccola raccolta dei testi sparsi è più direttamente illuminante. Chiusa da un saggio di Sandro Zanzotto, denso e poco esplicativo benché scritto per il “Corriere della sera” nel 1990, ma con una conclusione forse illuminante: il crollo finale di Celan è messo in relazione con la visita tanto attesa che il poeta fece a Heidegger nel 1967, spingendosi fino al Todtnauberg, la montagna della Svevia dove il filosofo soggiornava, che lo accolse col mutismo, sornione – “traspaiono uno Heidegger chiuso fino ai limiti dell’autismo e un Celan travolto in un angoscioso smarrimento”.
Coprendo tutta la vita poetica dell’autore, al di fuori quindi dell’eccezionalità dell’elemento biografico, questi versi sparsi hanno il non piccolo merito di chiarire il fenomeno Celan, linguistico prima che storico, etnico, filosofico – per questo intraducibile. Per una commistione fisica con la lingua, non critica, non studiosa, che Celan ha vissuto più che parlato, come ogni minoranza. Senza riserve. I curatori notano che qui Celan usa una volta, la sola volta in tutta la sua poesia, la parola deutschen, tedesco, ma l’immedesimazione è totale e animata, vivente. E senza mai risentimenti – anche nelle poesie tristissime della morte della madre e del padre, nel campo di concentramento al confine con l’Ucraina. Pur nella coscienza sempre, e anche nella pratica, dell’ebraismo, fino al sionismo – che però non seguirà, poiché implica l’abbandono della lingua. Un fenomeno (una dialettica? una contrapposizione? un limite?) che Hannah Arendt ha chiarito nell’appassionante “La lingua materna”.
Il possesso della lingua è qui esagerato. Spinto ai giochi di parole e al nonsense (alcuni nonsense sono parte già dal 1964, apprendono le ottime note, dell’antologia tedesca del genere, “Die Meisengeige . Zeitgenössichen Nonsens-Verse”, a cura di B.G.Fuchs). Con rimette, assonanze, allitterazioni, filastrocche. Molte le filastrocche. “Allucinazione” ha al secondo verso Im Busch pflückt der Engel der Schläfer die bittere Beere (nel bosco l’angelo dei dormienti coglie le bacche amare), dopo l’entrata coinvolgente (leopardiana) Mondhelles Herz: nun hebt sich der Schleier vom Spiegelbild (cuore chiarolunare: or s’alza il velo dell’immagine riflessa). O nel componimento “Conta”. Moltissimi i calchi, ora parodici ora pasticciati. Quello di Goethe, per esempio, che apre “Prossimità delle tombe”, introduce cioè all’immagine dei genitori morti in esilio, in prigione: Kennt noch das Wasser des südlichen Bug. I curatori hanno rintracciato reminiscenze di altri poeti, anche contemporanei, quasi in ogni componimento.
Paul Celan, Poesie sparse pubblicate in vita, Nottetempo, pp. 155 €8
Paul Celan, Oscurato, Einaudi, pp. 105 €11,50
Problemi di base - 82
“Dolci ire, dolci sdegni e dolci paci,/ dolce mal, dolce affanno e dolce peso…”, fin dal tempo di Petrarca, non sarà l’Italia indebolita dal diabete?
Ai banchieri il governo, ai partiti il sottogoverno, e all’Italia? (le tasse)
Se “la spesa in bombe è buona quanto la spesa in parchi pubblici” (Paul Krugman, Nobel per l’economia, sul “New York Times”), allora anche la spesa in escort?
Se lo spirito è nella Bibbia dmmh, un po’ vento e un po’ silenzio, che ne dice lo Spirito Santo?
Lettura, letto, che dice il sanscrito?
Celan, Céline, cosa tradiscono gli opposti destini?
Dove non è stato Dante?
Se la ‘ndrangheta è a Milano, che resta in Calabria?
E che fa la ‘ndrangheta a Milano, oltre ad associarsi?
spock@antiit.eu
La crisi era stata scritta ad agosto - 2
La Bce inizialmente esercitò questo ruolo (di prestatore di ultima istanza, n.d.r.) in modo timido, e rendendo chiaro che non voleva continuare a farlo. Anzi, questo rovesciamento delle politiche Bce è il fattore più importante per spiegare perché il contagio nei mercati dei titoli pubblici dell’eurozona non può essere bloccato.
I leader europei hanno tentato di risolvere il problema creando un’istituzione suppletiva, la European Financial Stability Facility. Ma l’Efsf non avrà mai la credibilità necessaria per bloccare le forze del contagio – e proprio perché non può in realtà battere moneta. Dipende per le sue risorse dai paesi membri dell’unione, e le risorse stesse sono limitate. Alla fine, non può garantire che ci sarà sempre abbastanza contante per rimborsare i sottoscrittori di titoli pubblici, anche se le sue risorse fossero raddoppiate o triplicate. Solo una banca centrale, che può creare un ammontare di moneta illimitato, può fornire questa garanzia.
La Bce afferma che si deve privare della responsabilità di prestatore di ultima istanza, altrimenti questa garanzia dà segnali sbagliati ai politici. Crea cioè la tentazione di aggiungere altro debito pubblico in eccesso, se la Bce paga alla fine il conto. Ma se questo rischio effettivamente c’è, non è diverso dallo stesso rischio nel sistema bancario. Il modo per contrastarlo non è di abolire il ruolo di prestatore di ultima istanza ma di porre delle regole cui i governi si devono conformare nell’emissione di nuovo debito.
Per bloccare la crisi ci vuole un rivoluzionamento fondamentale nelle istituzioni dell’eurozona. Ma il punto più importante è assicurare che la Bce si prende con responsabilità piena il ruolo di prestatore di ultima istanza nei mercati dei titoli pubblici dell’eurozona. Senza questo, i mercati non possono stabilizzarsi e la crisi resterà endemica. Nel contempo altri passi verso l’unificazione politica vanno presi, senza i quali il controllo sui disavanzi e i debiti pubblici nazionali non possono essere effettuati. Alcuni passi in quella direzione sono stati presi ultimamente, quando il Consiglio Europeo ha rafforzato il controllo sulle procedure nazionali di bilancio e sulle politiche macroeconomiche nazionali. Queste decisioni tuttavia sono insufficienti, dei cambiamenti più radicali nel governo dell’eurozona sono necessari. Di natura tale che la Bce possa assicurare che le sue responsabilità di prestatore di ultima istanza nei mercati dei titoli pubblici non condurrà a una interminabile dinamica di creazione del debito.
(2. Fine)
venerdì 2 dicembre 2011
Gli “indifferenti” del malintenzionato Piperno
Si conferma, dopo un lustro, di grande capacità fabulistica. Potrebbe essere “Gli Indifferenti” di un secolo (quasi) dopo, se non del millennio: il romanzo di un’altra borghesia, diversamente “vuota”. Se non fosse ancora vittima dell’accoglienza superficialmente entusiasta all’uscita. E se non fosse di suo non piacevolmente snob, alla Philip Roth.
L’esordio è, alla Roth, col sesso sbattuto in faccia. Ma non fa ridere, nemmeno sorridere. Né diverte l’ebraismo non ebraismo. Le mirabolanti aneddotiche rallegrano con l’amaro in fondo a ognuna di esse, da Bepy a Gaia e all’Arabo. Lo sdegno prevale, il fondo risentito: come “Gli indifferenti”, e con una scrittura e un taglio infinitamente più agili, meglio costruiti, fa un quadro che resta di come vivono i ricchi a Roma. È il romanzo dei Parioli, dell’inconsistenza alto borghese.
Il romanzo è “storico” anche per un altro motivo. Partendo dall’avvitamento sul fatto ebraico dell’autore di un “Proust antiebreo” di un lustro anteriore. Compreso l’odio-di-sé (l’ebraismo va di moda, pp. 46-48 di questa edizione economica, l’impossibilità per un ebreo di essere ebreo, 44-48, la serie lunghissima di accuse al “modo d’essere” ebraico, 17), che ha indotto la comunità ebrea di Roma a dirlo antisemita. Questo Piperno, pubblicato nello stesso momento in cui in Francia si ripescava Irène Nèmirovsky, pone un interessante caso di comparativismo culturale: accettato, perfino sopravvalutato, l’ebraismo non ebraismo francese, litigioso quello italiano. Non per colpa dell’autore, ma del mondo che ricrea: è un’altra maniera d’essere del disagio italiano, della società ricca che si nasconde nella cialtroneria.
Alessandro Piperno, Con le peggiori intenzioni
La Spectre è rivoluzionaria ai Parioli
Si è meritato un posto tra gli articoli di Primo Piano. Tra le tasse prossime venture e i piani (quinquennali? decennali?) del duo comico Merkel-Sarkozy per meglio affondare l’Europa. È un senatore che a Fiumicino, mercoledì notte, ha preteso di portare in aereo una bottiglia di spumante, una bottiglietta da un quarto, forse una mignon, ma non importa, sancisce imperioso il “Corriere della sera”, non si possono portare vetri in aereo. Si chiama Rusconi e tra l’altro è non è nemmeno berlusconiano, è del Pd. Ma ha preteso di far valere un’inesistente immunità parlamentare, tuona sul giornalone Alessandra Arachi: “Senza tesserini parlamentari, i comuni cittadini hanno dovuto rinunciare a ben di più: bottigliette di profumi che eccedevano il liquido concesso di cinquanta millilitri, ma anche creme troppo grandi, forbicette anche piccole, coltellini”.
Il giornale oggi consente al senatore di giustificarsi. Non poteva esimersi: Rusconi non ha fatto valere nessuna prerogativa, e la bottiglietta era impachettata come da duty free, di cui i regolamenti consentono l’imbarco in cabina. Il punto è uno. Cioè sarebbero due: come mai il “Corriere della sera” è così superficiale in materia di parlamentari. Ma questo è inutile chiederlo, Milano è unica e non è tenuta a rispondere. Il punto è che, in tempo reale mentre il senatore cercava di farsi imbarcare la bottiglietta, qualcuno lo fotografa col cellulare – c’è anche questo nel Primo Piano del “Corriere della sera”, la foto del senatore all’imbarco coi bagagli aperti – e immediatamente passa notizia e foto a qualcuno. Che potrebbe anche essere la giornalista, o un suo parente o amico. Ma potrebbe anche essere un collettore di indignazione. Di indignati che, data l’ora e i tipo di volo, di “pendolari” Roma-Milano, è del genere San Babila-Parioli. Il nuovo popolo della rivoluzione. Non perdente, questa, è da presumere: mentre il popolo dà la caccia alla casta, i traffici sono liberi con i veri madoff? L’indignazione dei ricchi è fantastica.
La seconda Russia di Putin cercherà l’Europa
Non avrà molti voti, a quel che sembra, alle presidenziali di marzo, ma ha un programma già preciso. Il nuovo mandato di Putin, che comunque non dovrebbe avere concorrenti al ritorno alla presidenza della Russia, mette al centro la fine dell’isolamento, e la ricerca di qualche forma di integrazione economica con l’Unione Europea.
Le precedenti presidenze Putin si sono caratterizzate per il restauro di una forma di legalità nella vita civile ed economica, anche se col pugno di ferro politico. E per la riorganizzazione dell’economia che consentisse il programma minimo di portare la Russia, oggi, al livello di reddito del Portogallo dodici anni fa. Un programma realista, che grosso modo è stato realizzato. La prossima presidenza sarà invece centrata sull’integrazione, seppure esterna, al mercato comune europeo.
Putin ha dalla sua la carta energetica. Che ritiene di poter giocare con l’appoggio della Germania e dell’Italia, e la non ostilità della Francia. Contro l’integrazione dà per scontata il no del governo britannico, che si fa portavoce delle riserve americane, sempre forti nei confronti di Mosca, ma lo dà anche per irrilevante. In prospettiva, Putin pensa di portare la Russia a riaffermarsi europea e europeista, è quello che in varie sedi, e con diversi accenti ma univoci, va ripetendo da alcuni mesi. Nell’immediato, punta ad aprire “zone di libero scambio” con l’Ue.
La crisi era stata scritta ad agosto
In un breve articolo sul “Financial Times”del 3 agosto, l’economista Paul De Grauwe, professore all’università cattolica di Lovanio, consulente di Barroso, parlamentare per molti anni in Belgio col partito Liberale Fiammingo, spiegava quello che sta succedendo.
Le forze del contagio nell’eurozona sembrano incontenibili. Gli investitori hanno portato i rendimenti sul debito italiano e spagnolo a nuovi vertici, crescendo i timori che il pacchetto Grecia del mese scorso si riveli insufficiente a fermare la disfatta finanziaria europea. Senza un rapido intervento della Banca centrale europea, ciò si rivelerà un processo contagioso con una fine disastrosa.
Perché ci ritroviamo questi problemi? I mercati dei titoli di Stato in un’unione monetaria sono costituzionalmente fragili. I paesi dell’Eurozona emettono debito in una moneta “straniera”, sulla quale non hanno un effettivo controllo. Il risultato è che non possono garantire ai sottoscrittori che avranno sempre la liquidità necessaria per ripagare i titoli alla scadenza. Gli Stati, invece, che emettono titoli propri possono garantire che il contante necessario sarà sempre disponibile, perché possono sempre obbligare la loro banca centrale a creare moneta. E non c’è limite all’ammontare di moneta che una banca centrale può creare.
Questa situazione rende i mercati obbligazionari in un’unione monetaria insolitamente soggetti alla forza del contagio, come succede nei sistemi bancari. Se una banca ha un problema di solvibilità, i depositanti cominciano a dubitare della solvibilità della loro banca e corrono a convertire i loro depositi in contanti. Se tutti fanno questo allo stesso tempo le banche non avranno contante a sufficienza. Questa instabilità del sistema bancario è stata risolta facendo della banca centrale un prestatore di ultima istanza – e il bello di questa soluzione è che, quando i depositanti sanno che essa esiste, raramente essa dev’essere usata.
Il problema fronteggiato dai paesi membri di un’unione monetaria come l’eurozona è esattamente lo stesso. Perciò la soluzione è la stessa. Il contagio tra i mercati dei titoli sovrani può essere bloccato solo se c’è una banca centrale che funzioni da prestatore di ultima istanza. La sola istituzione capace di esercitare questo ruolo è la Bce.
giovedì 1 dicembre 2011
Letture - 78
L’Europa come vincolo, contabile
mercoledì 30 novembre 2011
Ricetta Turchia per il Medio Oriente
Se la nuova frontiera è Minzolini – Italia sovietica 5
La gestione disinvolta dell’arch. Boeri
martedì 29 novembre 2011
Ombre - 110
Bozzettismo padano, sentimentale e duro
lunedì 28 novembre 2011
A Sud del Sud - l'Italia vista da sotto (109)
Prima le camicie rosse, padane.
Poi le camicie nere, padane.
Ora le camicie verdi, padane.
Che il ritardo del Sud sia una questione di camicie?
Nel 1962 esplose il “caso Calogero”, il poeta di Melicuccà “scoperto”, tardi, dall’editore Lerici. Il “Corriere della sera” se ne dovette occupare e assegnò la recensione a Montale. Montale scrisse una nota, pubblicata a Ferragosto, infastidita: l’ex giovane di successo di “Ossi di seppia” demandò il giudizio alla posterità, riempiendo le sue due colonne di dubbi sulla salute mentale di Calogero. Si può essere “pazzi” a Milano (Alda Merini) o a Parigi (Celan), anche tra la Riviera e il Tirolo (Ezra Pound), e sulla Neckar naturalmente (Hölderlin), ma non a Melicuccà, sotto l’Aspromonte.
Napoli-Manchester City, Napoli-Juventus sono due gare vinte in partenza dalla società partenopea sul piano del bilancio, oltre che del bel gioco: tre esercizi in attivo, contro 125 milioni di buco della società torinese in tre anni (e un parco sterminato di calciatori non collocabili, quindi con altre minusvalenze in arrivo), e gli ultradebiti garantiti dalla benzina a 1,70 euro dello sceicco dell’Abu Dhabi. Ma non fa testo, il Nord è sempre meglio: più serio, più qualificato.
Neanche Napoli, e lo stesso club, sembrano crederci: il Sud è un peccato originale.
Sant’Imerio del Bruzio, o San Bruzio, fu fino al Seicento patrono unico di Cremona. Poi gli fu affiancato sant’Omobono. Il leghismo era già all’opera?
Vittima a Roma di Equitalia, è possibile da ultimo scoprire che il ricorso va di nuovo rifatto perché va indirizzato a Equitalia Sud Spa e non a Equitalia Centro. Roma non è più centro per questo campione dell’italiota soperchieria.
Hanno fatto Roma Capitale del Sud?
“La Cronaca del Trecento italiano”, raccolta e raccontata in dettaglio anno per anno da Carlo Ciucciovino, cita nel primo volume il “Chronicon Siciliae” di Anonimo, che nel batti e ribatti tra aragonesi e angioini in Calabria, elenca così le città ed i castelli conquistati di qua dallo Stretto: Reggio Calabria, Catona, Camnicalli (Cannitello), Vangnaria (Bagnara), monte San Michele, Calanna. La Calabria era terra incognita già di là dello Stretto?
“Il patto Stato-mafia: indagato Dell’Utri”. Finalmente, i pentiti hanno capito, dopo averci fatto imbattere in Ciampi, Conso e il prefetto Amato.
Pentiti che poi sono, tolti di mezzo il solito Brusca, ormai impiegato dello Stato, e l’inattendibile Ciancimino jr., uno: Spatuzza. Il killer di cento stragi diventato teologo. Si può capire la pretesa di Dell’Utri, come di ogni berlusconiano, di parlare direttamente con Dio. Ma l’antimafia?
“Non è né felice né giusta la nazione nella quale si ascoltano li delatori”. Così confidava Bernardo Tanucci, primo ministro del Regno di Napoli, al priore Luigi Viviani della Robbia. Alla vigilia del licenziamento a opera di Maria Carolina, principessa nobilissima, austriaca.
Lo sviluppo crea sottoviluppo
La mostra di Artemisia Gentileschi, pittrice mediocre, viene bandita con valanghe di pagine e supplementi ricchissimi, a periodicità settimanale, se non quotidiana. La mostra si tiene a Milano. Lo stesso due quadri di De la Tour, prestati a Milano da Parigi: si dedicano a questa grande mostra di due quadri supplementi speciali in serie, fino a sedici pagine. Dodici anni fa settanta quadri dell’ottimo Mattia Preti, in mostra allestita per i trecento anni della morte, da personalità come Claudio Strinati, con maestria e in un bellissimo contenitore, il complesso monumentale di San Giovanni, ma a Catanzaro, ebbe al più mezza pagina non su tutti i giornali, una volta sola.
Catanzaro naturalmente non è Milano, ma è al centro di una regione di due milioni di abitanti, quanti ne conta Milano con l’hinterland. I calabresi non saranno abbastanza colti come i milanesi, si può anche supporre, ma poi i titoli di studio sono più o meno egualmente diffusi. È che non c’è paragone.
L’ostacolo principale allo sviluppo è la coesistenza con un mondo già sviluppato. Invece di guidare con l’esempio, degrada e deprime. Inattaccabile, peraltro, e difficilmente scalabile - e solo a titolo individuale. A meno di un terremoto, o di una cesura radicale, anche nelle migliori condizioni e con le migliori intenzioni il ritardo i gonfia e indurisce a causa di questa diseguaglianza. Nell’opinione, nelle aspettative, e quindi nella realtà.
Un po’ come avviene alla stessa Milano, a causa del debito pubblico, a ridosso dell’albagia della Germania.
L’odio-di-sé-meridionale
Anna Laura Cittadino racconta su “Calabria Sconosciuta” n. 131, Settembre 2011, con forte capacità figurativa, un mondo che si pensava ottocentesco. Di durezze familiari: le figlie senza scuola, dietro le pecore, bastonate con la cinghia, mestruate nella stalla. Di libri che solo l’alluvione porta. E dell’Angelo che in tutte le favole appare, “il signore del sonetto”. Anna Laura parla di sé come nata nella guerra, di sonno corto, di artrite, e di gambe paralizzate nel salire. E uno pensa a una quasi centenaria. Invece ha un sito coloratissimo, con una serie di pubblicazioni e premi lunghissima, tutta degli anni 2009-2010. E quel mondo violento colloca tra Cosenza e Rende, dove da quarant’anni c’è un’apprezzata università, non in uno sperduto burrone. Il Sud è un fondale stereotipo, anche se ci vuole molta immaginazione oggi per riproporlo senza rigetto.
Peppe Voltarelli, compositore, cantante, attore di cinema e di teatro, impresario, già animare del gruppo folk Il Parto delle Nuvole Pesanti, premio Tenco 2010 per il miglior album in dialetto, dice del suo nuovo spettacolo, “Il viaggio, i padri e l’appartenenza”: “Racconterò, tra ironia e provocazione, le tante facce di una terra con cui mi devo ancora riappacificare”. Il dialetto del premio Tenco era calabrese, ma il cd s’intitola “Ultima notte a Malà Strana”. Cos’avrà fatto di male la Calabria ai suoi?
Lorenzo Calogero (1910-1961) è un poeta di grande qualità del primo Novecento italiano, molto legato al paese natale, Melicuccà in provincia di Reggio Calabria. Sconosciuto in vita, per una condanna territoriale all’isolamento di cui molto soffrì, fino al suicidio, fu apprezzatissimo in morte. Da Ungaretti, Montale, Rosselli e la migliore critica, italiana e europea.
Ma nella vasta bibliografia mancano contributi dei critici established calabresi, Walter Pedullà, Siciliano. Né lui mai pensò di rivolgersi, fra i tanti a cui ebbe insistente ricorso, a Corrado Alvaro, che sicuramente lo avrebbe aiutato a uscire dall’isolamento.
Napoli stava meglio quando stava peggio
Ci sono a Napoli un’organizzazione della Real Casa di Borbone e un Movimento Neoborbonico. Il Movimento fa capo, tra gli altri, a Riccardo Pazzaglia, il “filosofo” di arboriana memoria. Ma il suo animatore; Gennaro De Crescenzo, è realista: l’idea dietro il Movimento, dice, non è “né separatistica né secessionistica, tantomeno monarchica – non c’è nessun trono da conquistare, né c’è un pretendente… Certo, dovendo scegliere tra la Napoli dei Borbone e quella di oggi, credo non sia difficile indovinare l'opzione”.
È la conclusione del sicuro unitarista, e primo meridionalista, che fu Pasquale Villari, lo storico napoletano autore nelle “Lettere meridionali”, già nel 1862.
leuzzi@antiit.eu
A. Smith era morto vent’anni fa
S. Cassese, F. Galgano, G. Tremonti, T. Treu, Nazioni senza ricchezza, ricchezze senza nazione
domenica 27 novembre 2011
Manovra, manovrina, stangata
Il governo Monti si conferma soprattutto come un’emergenza politica, indotta per avviare il sinistra-centro, ma con queste premesse non si vede come. Ha il consenso della cosiddetta opinione pubblica, cioè dei giornali, che sono delle banche, e della Rai, che è di Casini e Veltroni. Ma le tasse sono cose, e le pensioni rubate, e anche in questa Italia sovietizzata contano per qualcosa.
Il senso della manovra di Napolitano e del Pd si conferma – lo stesso Monti lo conferma – come politico. Monti si presenta soave, senza proporre apparentemente sfracelli, giusto la normale amministrazione. Il suo governo è il tentativo, subito freddo dopo il bollore mediatico dei padroni del vapore, di sgonfiare il partito di Berlusconi a vantaggio di Casini, magari sostituito dallo stesso Professore, di quel tanto che basta a fare un governo di centro appoggiato dalla sinistra. È anche l’ipotesi neo guelfa, seppure vista da sinistra, la sinistra di Bersani e Napolitano.
E la cosa sembra indolore. Almeno i media e lo stesso Berlusconi la presentano così. Anche perché la crisi è sistemica, cioè della moneta europea, l’Italia ne è vittima come altri, e con poche difese – se non quella, abbozzata da Monti a Strasburgo, di sdraiarsi a tappetino della Germania. Ma la cura che sta imponendo, seppure soavemente, sarebbe in altra situazione (politica, di opinione pubblica) scandalosa: drastica cioè e avvelenata.
Il mondo com'è - 75
Austerità – Ritorna attribuita a Moro – che di questo invece non ha colpa. Moro l’avrebbe importata in inglese, tal quale dagli Usa, austerity. Mentre era piuttosto un termine lamalfiano, che il leader del Pri, questo è vero, insufflò a Moro, liquidando nel 1974 la fiorentissima industria italiana dell’elettronica di consumo italiana insieme con la tv a colori (col plauso dell’economista Deaglio, il marito della ministra Fornero: l’Italia non poteva permettersi la tv a colori…). E insieme contagiarono Berlinguer, che non aspettava altro e ne divenne l’alfiere, vaneggiando un Nuovo Modello di Sviluppo, questo senza l’automobile… I governicchi Andreotti che Berlinguer partorì si rifecero a Ippia tassando “la proiezione sul suolo pubblico di balconi, tende e pensiline, anche se da ciò non deriva alcuna limitazione all’uso dello stesso” - tassarono l’ombra... Insieme con la tv a colori La Malfa bloccò il credito. Per dispetto a Sindona, che voleva aumentare il capitale della sua finanziaria, La Malfa decise: c’e troppa liquidità, riduciamo il credito, blocchiamo gli aumenti di capitale…
Mossa forse non sbagliata, ma allora politicamente. Se Bacone ha accertato che “ciò che abbatte lo spirito di un popolo è caricarlo di tasse”. Prodroma della tassazione del compromesso storico, una tantum e a rate, senza naturalmente risolvere nulla, poiché il problema dell’Italia è la spesa, tutta spreco, e non le entrate, che sono altissime, le più alte pro capite in tutto il mondo, quale che sia l’evasione.
Ma la parola, se non la cosa, è anch’essa innovazione di Fanfani – come tutto nella storia della Repubblica. Fanfani tentava nel 1974 il recupero del Vaticano, in guerra aperta alla Fuci, la gioventù universitaria cara al papa, tra Andreotti e Moro. L’allora senatore era un grande, anche se non era alto - andò alla Costituente dal corporativismo, e l’Italia disse artigianale, mentre favoriva la grande impresa e ogni novità: non si sbagliava, il lavoro ben fatto è sempre la ricetta, ma guardandosi attorno. Si fece fare un’intervista dl “Globo”, uno dei giornali finanziati da Cefis, e lanciò il verbo: “Siamo tutti responsabili”, disse. Di aver pagato il petrolio con dollari svalutati invece che con “attrezzature e cointeressenze utili ai paesi arabi”.
Fanfani, che nell’intervista la menò in lungo con le relazioni internazionali, di cui si voleva pro-tagonista, con l’“austerità” del “siamo tutti responsabili” aveva in mente un altro filone di storia pratica – quello che poi Carli, governatore uscente della Banca d’Italia, chiamerà triangolazione. La sua austerità era geniale a molteplici fini. Era marxiana, e quindi gli portava Berlinguer, di nuovo dopo il divorzio – Marx credeva, come Caligola, che la rovina dell’economia non è la carestia ma l’abbondanza. Incollava gli italiani alla sua tv, la tv di Fanfani- che è lacrimosa, ma non a caso: la tela che continua a tessere del pauperismo è di fatto la tela del potere inoppugnabile, all’origine fanfaniana. E facendo saltare almeno un’annata di nuovi modelli di autombili, lo vendicava dell’Avvocato Agnelli, che l’aveva criticato.
Ma Berlinguer, che aveva bisogno di quella parola d’ordine, di essere colpevole, non voleva più farsi governare da Fanfani, come per il divorzio. Moro e La Malfa non vollero essere da meno di Fanfani, e la sintonia trovarono più facilmente con Berlinguer. Il modello era peraltro prestigioso, l’Inghilterra dopo la vittoria sull’Asse, che a lungo s’era imposta l’austerità: steak-house senza bistecche, pub senza birra, strade sporche, case scrostate, cenci ricoperti da soprabiti consunti. Lo stato depressivo generalizzato, si sa, si fa ben governare – è la lezione del socialismo reale. Gli altri, i fautori della modernità e della libertà, minoranze seppure gonfie di numeri, acculando ai consumi: patacconi dell’auto nuova, delle vacanze intelligenti e no, e dello stereo double bass. L’austerità si può vedere in forma di tosatrice: un taglierino che sotto le specie della paura operoso evira la rivoluzione.
Borghese - La parola non ha nulla di sociale, o di socievole: è l’abitante di città. Deriva dai “borghi”, i quartieri sorti all'esterno delle mura che successivamente venivano conglobati nelle città in crescita. In uso all’origine nell’area tedescofona continentale del Nord, la Francia settentrionale fino alla Bretagna, le Fiandre, la Germania, il latino medievale burgenses trasformato in francese bourgeois e in tedesco bürger. Francs-bourgeois erano a Parigi i borghesi poveri, col privilegio della “no tax area” di Tremonti, affrancati dalle imposte.
Prévôt des marchands, il capo dei commercianti, era anche il sindaco, il bàilo, il podestà a Parigi: era “alla testa dell’amministrazione municipale di Parigi” nel Trecento, dice il Petit Robert.
Germania – Ha vissuto una lunga stagione, fino alla caduta del Muro, all’insegna dell’Europa. Alfiere e per molti aspetti pivot dell’annegamento delle nazionalità nel Mercato comune e poi nell’Unione Europea. Tutto il tempo della Repubblica Renana, con capitale Bonn, e fino al cancellierato di Helmut Kohl. Ma già al tempo di Kohl l’opzione europea era scaduta: le due decisioni storiche della Germania negli ultimi venti anni Kohl le prese in solitudine, e anzi contro l’establishment, della Bundesbank e del suo partito, i Cristiano-Democratici, e nel sospetto dei socialisti: l’unificazione “alla pari” fra Germania Ovest e Germania Est, e la creazione dell’euro.
Con la caduta del Muro i tre condizionamenti postbellici della Germania sono venuti a cessare, che determinavano l’opzione europea: l’Unione Sovietica e i suoi satelliti, con un piede a Berlino, il peso della Colpa nel relativo isolamento politico, l’incertezza o la paura. Kohl pagò per la sua sfida europea: fu messo da parte con un finto scandalo (avrebbe favorito nella ricostruzione all’Est una società francese vicina a Mitterrand, o ai socialisti francesi…). E in tutti i dossier aperti la Germania ha da allora seguito una politica apertamente nazionale, in particolare sulla costituzione della Banca centrale europea, fieramente avversata anche dopo la costituzione. Su alcuni dossier anche – che paradossalmente l’accomunano all’Italia – in dissidio con Washington: l’apertura verso la Russia (gas e altri beni “strategici”), e le guerre americane in Medio Oriente.
Procuratore della Repubblica – Molti scabini, Procuratori allora del Re, hanno voluto a avuto una strada a loro intitolata a Parigi, racconta Queneau in “Conosci Parigi?”: “Era una moda all’epoca, ogni scabino voleva avere la sua strada”. Anche i cancellieri vollero e ottennero lo stesso privilegio. Potenza della giustizia. Ma era prima della Rivoluzione del 1789, quando la giustizia si decideva “sovranamente” in camera di consiglio.
Sovietismo – Quello di risulta ha un fondo di atavismo – il caso è l’Italia: è la cresta di un fondo, una struttura mentale, una sorta d’imprinting. Che riporta, per molteplici radici, alla chiesa. La chiesa è l’incubatrice, etica e istituzionale, della democrazia. Ma della politica mostrando sempre concezione poco lusinghiera: la sua democrazia è come la messa cantata, corale e bene ordinata ma rituale. La democrazia in questo stato d’animo – dalla burocrazia al voto – è un rito ordinatore, un involucro. La rappresentanza? Il civismo? La responsabilità?
Le pratiche “sovietiche” perpetuano e riproducono – razionalizzano – la miscela altrimenti inspiegabile (ingiusta, autoritaria, stranamente incorreggibile) di corruzione e formalismo: la “pratica” sempre incompleta, il rinvio, la vessazione, con la stessa fredda determinazione (buona coscienza) con cui si vorrebbero favori.
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