lunedì 2 gennaio 2012

Don Verzé è morto quando disse no a Bazoli

È una storia molto milanese, quella di don Verzé, bella e bruttissima. Approdato a quarant’anni dal Veneto a Milano, ha potuto fondare il san Raffaele, aveva l’idea e l’energia buone, e ha trovato i soldi. Ma l’affare, arrivando ai novant’anni, doveva cedere ad altri interessi, si è rifiutato, e la storia si è fatta improvvisamente sordida, di minacce e ricatti: “Milano” l’ha fulminato, la congerie di interessi che controlla la capitale lombarda e domina l’Italia.
Tutto andava bene fino a un anno fa. Poi l’amministratore delegato di Intesa Passera, l’attuale superministro, gli ha intimato di rientrare dei debiti. Mentre un compratore si faceva avanti, Rotelli. E la curia milanese di Tettamanzi gli si ergeva di nuovo contro: in passato lo aveva fatto, con violenza, anche Montini, da vesocovo di Milano e poi da pontefice – il rapporto con la curia fu ricucito da don Verzé sotto la prelatura Martini. Il Vaticano di Bertone era allora intervenuto a difendere don Verzé. Ma Passera aveva già passato le carte alla Procura di Milano.
Una serie obbrobriosa di accuse è stata quindi, improvvisamente e poi con continuità, diffusa sui giornali, contro un personaggio e un’istituzione fino a qualche giorno prima osannati. Senza un’imputazione: don Verzé è morto senza imputazioni. Mentre è stato dato a credere che fosse un bancarottiere, un megalomane, che viveva nel lusso, un affarista, un ladro, un criminale (associazione a delinquere), un corruttore (fondi neri). Gli fu imputato il suicidio del suo direttore generale Cal, che invece non aveva retto all’ondata calunniosa. Si tentò pure l’improbabile pista godereccia, col supporto di una sua fotografia in costume da bagno.
Don Verzé doveva dare il suo gruppo in dote al neo guelfismo milanese. S’è rifiutato. Gli hanno preso tutto. Allo stato degli atti è questa la sola verità. Né ce ne può essere un’altra, è già stato fatto l’infattibile, in termini di calunnie disintegratrici, sia pure sotto forma di indiscrezioni e “indagini” della Procura di Milano. Ora il suo gruppo è valutato 300 milioni dal compratore rifiutato della primavera scorsa. Mentre vale quattro-cinque volte tanto – e i 300 milioni sono una valutazione, non una somma reale (Milano ha una lunga storia di società pagate con niente: Montecatini, Rizzoli-Corriere della sera, le banche d’interesse nazionale, la Sme di De Benedetti sono i casi maggiori di una lunga serie).
Il fallimento di un gruppo è sempre opinabile: non c’è un criterio astratto o una norma che sancisca il limite. I parametri del codice civile sono flessibili, tanto più che la presunzione è più che mai a “innocentare” gli affari: mantenere il più a lungo possibile la produzione, l’occupazione, il reddito. Il gruppo san Raffaele aveva debiti per un miliardo, ma pagava alle scadenze. È diventato insolvibile al momento in cui Passera gli ha ingiunto il rientro: il fallimento è stato voluto da Banca Intesa, cioè dal maggior creditore – un caso più unico che raro. La banca di cui è patron Giovanni Bazoli, che domina la finanza, l’editoria, la curia milanese, e ora anche il governo (Monti, Passera, Fornero, Profumo, Ornaghi).
La miniera sanità
La sanità resta sempre, malgrado la concorrenza dell’“energia verde”, il settore economico di maggior “potere” politico - foraggiamento del sottogoverno. Rotelli è anche il primo azionista della Rcs, la casa editrice del “Corriere della sera”, con una quota non dichiarata del 15 per cento – quella dichiarata ammonta a poco più dell’11 per cento. E anche questo è una parte importante della vicenda, del suo lato obbrobrioso.
Rotelli è stato a lungo un politico della sinistra di Base Dc, collaboratore a Milano di Piero Bassetti, ex presidente della Regione Lombardia. Manager del policlinico San Donato Milanese nel 1980, ha organizzato, in qualità di consulente di Bassetti, il piano sanitario della Regione Lombardia, e ha assunto varie consulenze nazionali, sempre nella stessa area Dc, sempre nella miniera sanità. Ha poi capitalizzato la rete di relazioni investendo in proprio, a partire dalla seconda metà degli anni 1980: in in un decennio è diventato padrone di diciotto ospedali, di cui diciassette in Lombardia e uno nella finitima Piacenza.
Rcs è la sola diversificazione di Rotelli. Di Rcs Rotelli è socio ingombrante ma non contestato. Non è entrato nel patto di sindacato, ma siede in consiglio d’amministrazione. Un’ascesa avvenuta con la cauzione di Intesa. E per l’interesse prevalente, si ritiene pacificamente, del gruppo bancario: Rotelli rappresenterebbe in Rcs, direttamente e indirettamente, Giovanni Bazoli.

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