mercoledì 18 gennaio 2012

La bellezza è la migliore antimafia

Per sei mesi, da luglio 2007 a gennaio 2008, l’allora vescovo di Locri mons. Bregantini, da sempre aduso a un suo personale diario, ne tenne uno in pubblico. Ogni settimana sul “Quotidiano di Calabria”, al lunedì, sotto la testatina augurale “Buona settimana” pubblicava un breve “fondo”. Testi di riflessione quindi, ma anche di giornalismo. Di reportage da e su una terra – si dice un mondo, quasi fosse inafferrabile – che sfugge se stessa. Avviluppata nelle corde sempre più strette degli stereotipi, nei quali si adagia. La necessità è evidente, nota infine il vescovo, “di ripulirla da facili incrostazioni. Ripulirla, in primo luogo, agli occhi degli stessi suoi abitanti”. Dalla esperienza di vent’anni in Calabria, prima a Crotone, parroco e cappellano al carcere, poi vescovo a Locri, mons. Bregantini estrae la lezione della mitezza. Non per artificio retorico, non per antifrasi: proprio la dolcezza, sotto la scorza di diffidenza, senza riserve. Non è la sola verità.
La raccolta è curata dalla poetessa e scrittrice Ida Nucera. Che interpola ai fondini apparsi sul “Quotidiano” lettere, omelie e altri testi sull’esperienza di mons. Bregantini in Calabria. Sotto un esergo di De André, “Il sogno di Maria”: “Volammo davvero sopra le case, oltre i cancelli, gli orti, le strade, poi scivolammo tra valli fiorite, dove all’ulivo si abbraccia la vite”. E di Hélène Grimaud: “Ciò che conta è la maniera in cui il suo sguardo illuminerà i miei paesaggi e come questa luce riuscirà a scacciare ciò che ieri, per me, era ancora in ombra. Così ci rivedremo spesso”, che è l’addio di Bregantini alla Calabria, il modo come intende la sua lunga relazione (la Locride “io sento come sposa amata e attesa”).
Bregantini non è un vescovo qualsiasi. Nei dodici anni di Locri ha lasciato più di un’impronta indelebile, nella diocesi e nella Calabria tutta, di intelligenza, fervore, capacità di fare. In materia, è inevitabile, di ‘ndrangheta. Ma in una dimensione spirituale eccezionale. Di comprensione e di azione, di “pensare il futuro”, il cambiamento, e soprattutto di dotarlo di strumenti, che si apprezza a ogni nuovo evento di più. La raccolta è piena di verità vigorose, certamente ricostituenti finché Bregantini poté esercitare in Calabria: “Speranza è soprattutto questo, vincere la propria paura”, con “gli uomini d’amore” come opposti agli “uomini d’onore”, la semplice inversione del poeta Cataldo Perri – gli uomini dell’ancora e non dell’ormai. Con parole sempre semplici, e tuttora rivoluzionarie: “Il sogno fatto segno” e “le ferite trasformate in feritoie”. Anche ovvie, quelle di Chesterston: “Il mondo perisce non per mancanza di meraviglie, ma per mancanza di meraviglia”. Ma, quella fondamentale, non tanto: “Il gusto del bello è la miglior forma di antimafia”.
È il tema del secondo libro che ora si pubblica, una testimonianza autobiografica raccolta da Chiara Santomiero, “Non possiamo tacere. Le parole e la bellezza per vincere la mafia”. E una modesta, serena, brillante antropologia del Sud. All’insegna di un precetto semplice: “Occorre salvaguardare e incrementare la bellezza”. Con realismo: “Al Sud i fatti valgono molto più delle parole. Le forme, i modi, lo stile nell’approccio”. La violenza della mafia è esibita: bisogna combatterla con lo stesso meccanismo – un prete specialmente contro l’appropriazione della religiosità popolare. Esterrefatto dalle faide, ne è tuttavia analista acuto. “Si uccidono tra di loro” non è una soluzione, dice: “Dentro ogni uccisione c’è uno strazio”, un vuoto di angosce. Nella famiglia, nella comunità. E, purtroppo, “sono le donne a decidere la spirale del sangue”: gli “affari” sono maschili, le faide femminili. Bregantini ha anche una risposta all’interrogativo che ognuno si pone quando arriva la prima volta in Calabria: “Perché le case non sono finite”?
Il vescovo trentino è uno che non si lava le mani. Ogni volta che ho potuto, dice, mi sono recato nelle case di mafiosi, per evitare il male, per tentare una pace nelle faide. Come Gesù si recò in casa del peccatore Zaccheo. Molto paolino, missionario, ma non c’è altro modo d’essere per un prete nel disastro del Sud. Con le idee comunque chiare: “Il Sud è zavorra o risorsa?”, chiede. Sapendo che la risposta è un sola. Ma a condizione, aggiunge, che si circoscrivano, se non si eliminano, le “tante zone grigie, dense di corruzione, di disoccupazione, di lentezza amministrativa”. E per farlo “siamo chiamati a «sporcarci le mani»”. Con la convinzione cioè che una nuova pastorale sia necessaria alla chiesa, dinamica, di attacco – “un ripensamento globale delle modalità pastorali con le quali la chiesa deve rapportarsi alla mafia e ai mafiosi”. Bregantini è il vescovo che scomunicò gli ‘ndranghetisti, e mai sua iniziativa, dice, suscitò tante reazioni nelle famiglie mafiose come questa.
Sotto traccia nei due libri è l’allontanamento improvviso del celebrato vescovo da Locri, promosso arcivescovo ma in realtà rimosso. Bregantini lo accenna più volte, e in “Non possiamo tacere” ricorda di aver vinto una causa contro chi lo accostava a Rocco Antonio Gioffré, un boss di Seminara. Ricorda anche che “per alcuni il mio trasferimento dalla diocesi di Locri a Campobasso era misterioso e pareva essersi tinto di «giallo». Ida Nucera menziona “la vicenda dello scorso settembre”. Mons. Bregantini ebbe notizia della nuova destinazione a novembre. A settembre risale invece un’intercettazione, disposta dalla Procura di Palmi su una famiglia mafiosa di Seminara, del Giuffré in questione, in cui si fa un accenno al presule.
Bregantini sarebbe insomma stato rimosso perché parlava coi mafiosi. Recandosi a trovarli nelle loro stesse case. Nelle fasi più efferate della faida di San Luca, trasferita anche in Germania con l’eccidio di Duisburg, il vescovo di Locri si attivò molto, con l’aiuto di don Pino Strangio, parroco di San Luca e priore del santuario di Polsi, presso le famiglie coinvolte. Con le donne e anche con gli uomini. Fu per questo implicato nelle intercettazioni di Domenico Gioffré, figlio del boss di Seminara Rocco Gioffré. Il 17 settembre 2007, conversando con un amico in macchina, Domenico Gioffré si diceva sorpresissimo che il giorno prima, a una cerimonia in chiesa a San Luca per la pace tra le famiglie della faida, “don Pino il prete” (il parroco di San Luca, n.d.r.) avesse ringraziato Rocco Gioffré e “tutta Seminara” per la promessa di fine della lunghissima faida. Il vescovo compare nella trascrizione in questi termini: “Poi è uscito don Pino il prete, e il vescovo brigantino…”, con la minuscola e la deformazione.
Le trascrizioni saranno depositate al processo contro Gioffré a metà novembre. Ma intanto, due settimane prima, Bregantini era stato trasferito a Campobasso. Per proteggerlo dallo scandalo? Certo, Domenico Gioffré relaziona l’amico preciso. E, soprattutto, parla in italiano dove normalmente nessuno lo parla. Sa pure di shalom – il parroco aveva detto shalom nell’omelia. Come che sia, l’allontanamento fu una forma non larvata di epurazione. Per un atto giudiziario che, nell’ipotesi più benigna, fu espressione di anticlericalismo. Ma Bregantini fu atteso il giorno della partenza da una spessa folla sulla strada da Locri fino Siderno e oltre, dieci chilometri.
A una delle tante giornate della legalità di cui l’Aspromonte pullula era capitato lo stesso anno, prima della pace mafiosa di San Luca, di sentir criticare “l’impero economico del vescovo”. Detto da un magistrato, o da un funzionario di Prefettura, il tipo di personaggi che siede a queste feste. L’antimafia può essere insidiosa.
L’“impero economico” era suonato bizzarro: attribuibile a un momento di malumore, o a pregiudizi massonici, la massoneria si vuole attiva e ancora anticlericale a Reggio Calabria. Ma, in genere, non fa outing ai convegni. Anche la celebrazione del premio Alvaro a fine novembre a San Luca, fra giurati e autorità locali, fu quell’anno nervosa, quasi spazientita.
GianCarlo Maria Bregantini-Ida Nucera, Lettere dalla Calabria, Città del Sole, pp.167 € 15
Giancarlo Bregantini, con Chiara Sottomiero, Non possiamo tacere. Le parole e la bellezza per vincere la mafia, Piemme, pp. 193 €14,50

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