L’inabissamento, concetto purtroppo in cima alle cronache, sembra essere la dottrina della Bce di Mario Draghi. Vecchi e nuovi membri del board della Banca centrale europea sono frastornati dal brusco mutamento di natura che il nuovo presidente ha impresso alla istituzione rispetto ai predecessori e fondatori, il francese Trichet e l’olandese Duisenberg. Con passione, con acume: l’ovvio obiettivo di entrambi essendo l’“interpretazione” della Bce, la sua “costruzione”, come banca centrale europea in senso sostanziale.
La concezione opposta ora prevale nel board vero e proprio, il direttivo per gli affari correnti: quella della Bundesbank. La presenza tedesca vi è ridotta, ma lo stesso Draghi e il suo capo economista, il belga Praet, sono i garanti della sua ortodossia. Draghi ha riportato la Bce, come vuole l’opinione oggi prevalente in Germania e patrocinata dalla cancelliera Merkel, a banca delle banche. Un organismo quasi tecnico. Senza idee, e soprattutto senza iniziative, di politica monetaria. Se non quella, possibilmente perniciosa se accenderà la speculazione, e insieme le spinte inflazionisiche, di insufflare liquidità alle banche. Per impieghi reali che invece latitano. Dato che “il cavallo non beve”, la Germania di Merkel non vuole. Che sembra un circolo vizioso ma non lo è.
La crisi non è chiusa ma l’evidenza s’impone: dalla Bce non è venuto alcun richiamo alle banche della crisi, Société Générale, Dexia, Hsbc, Bnp Paribas, Commerzbank, Crédit Agricole. Niente nemmeno lontanamente paragonabile ai richiami e le imposizioni alla Grecia – e all’Italia. A questi stessi soggetti sbiancati Draghi ha aperto ora la liquidità. Draghi ha imposto all’Italia, con Trichet è vero, per conto della Germania il taglio delle pensioni, l’aumento del 15-20 per cento delle tasse e delle tariffe essenziali (benzina, luce, gas, acqua), più l’Iva al 23 per cento su tutti i prodotti, e non ne ha alleviato di un solo punto base il supercosto dell’indebitamento, il famoso spread.
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