giovedì 26 gennaio 2012

Letture - 84

letterautore

Calvino – “La molle Luna” è una “cosmicomica” inedita, pubblicata un anno dopo la raccolta, su “La Fiera Letteraria” del 27 gennaio 1966. Sulla Luna satellite della Terra che a un certo punto si sfilaccia e bombarda il suo pianeta. Una cosmicomica fredda, come tutto il filone fantascientifico di Calvino: troppo poco sf per i cultori, molto meno coinvolgente degli “abusatori del genere”, alla Ballard.
Una comparazione con Queneau naturalmente non è possibile, ma quanta creatività reale, di fantasia e linguaggio, nello scrittore francese e nell’Oulipo, di cui pure Calvino si dilettava. Al meglio Calvino è un narratore “storico”, per la vena politica che lo ingombrava. Benché sempre su toni non drammatici, poco coinvolgenti. Anche la trilogia fiabesca è di testa.

Dante – È narratore. Teodolinda Barolini, “La Commedia senza Dio. Dante e la creazione di una realtà virtuale” (in originale “The Undivine Comedy. Detheologizing Dante”) prende in parola le pretese di Dante alla verità profetica e, senza intaccare le sue ambizioni e preoccupazioni teologiche, smonta l’ermeneutica che lo stesso Dante ci ha costruito sopra. In termini psicanalitici le sue sovradeterminazioni. Una sorta di sala degli specchi che ne “determina” la lettura. La studiosa di Princeton ne estrae le tecniche della narratività della “Commedia”, il segreto dell’attrazione sempre rinnovata.
Senza gli strumenti linguistici, è quello che fanno i più recenti traduttori della “Commedia”, e in francese Jacqueline Risset, proponendo la “Commedia” tal quale, senza gli apparati. Già Risset aveva proposto un limpido “Dante scrittore” nel 1986.
Dante ha del resto esordito con un romanzo autobiografico, a meno di trent’anni, la “Vita Nuova”.
Si può cioè anche dire il protonarratore italiano, la “Vita nova” costituendo il modello per cui il romanzo italiano sarà asfittico. Un modello tanto più impositivo in quanto è riuscito. Autobiografico già dall’adolescenza, e ben scritto, anche se non rima, forzatamente minimalistico e sentimentale, tutto centrato sull’amore, indirizzato quindi a un segmento dl pubblico, quello femminile. Dante è Dante, ma – o per ciò stesso - il tema resterà imposto dello sdolcinamento di sé, l’infinita autocommiserazione, l’ipocondria.
Barolini e Risset voglino Dante narratore con la “Divina commedia”, ma questa ha agito in Europa. In Italia, trascurata la “Commedia” da Petrarca, il modello è la “Vita nova”.

Della umana commedia si vuole artefice, protagonista e critico (giudice). Dante e Shakespeare, l’incongruo parallelo delle storie comparate della letteratura e di Harold Bloom, viene buono in questo senso. Tra il Superego dantesco e l’effacement del Bardo, un Superautore di cui si dubita l’esistenza. Lo stesso Bloom lo dice: “Shakespeare è ciascuno e nessuno, Dante è Dante” – Shakespeare “ciascuno e nessuno”?

Profeta e messia del suo (nuovo) mondo. Un altro, dopo la Bibbia e i Vangeli, dice d’acchito Borsellino, “Ritratto di Dante”: “L’io dantesco, vale a dire la coscienza della sua individualità, s’impone con un rilievo che non ha confronti nella letteratura mondiale”. Per un’ambizione senza confronti: “Dante si fa giudice di se stesso, degli altri, del potere religioso e politico”, perché si è assunto un compito radicale: “Dante ha conferito alla sua poesia il valore di una terza «scrittura», di un terzo testamento, dopo il vecchio e il nuovo della Bibbia, per di più esteso a tutti gli aspetti della società umana, civile oltre che religiosa”.

Fiaba – È cerebrale. Ma vuole ingenuità.
È cerebrale anche la più bislacca: è costruita per essere bislacca, per quest’altra verità. La “morfologia della fiaba” lascia presupporre un accumulo occasionale. Ma si tratta pur sempre della fiaba registrata, contestualizzata, decostruita – tutte le raccolte di fiabe devono esserlo.

Pasolini – “La passione secondo san Matteo” Gianroberto Scarcia dice “opera comica” (“Poesia dell’islam”). Coerentemente, le tante tragedie scritte o filmate, mitiche, leggendarie, sacre, inclusi “Teorema” e perfino “Salò”, sarebbero un non-Pasolini. Che non può essere. Il classico e il mitico sono una via di fuga dal mondo, ostentata. Sono forzature, logiche e passionali – artificiose. Ma nel culto dell’immagine. Come per i grandi pittori: il senso è nella pittura e non nel soggetto, che viene con la contemporaneità, secondo domanda (mercato) – quanti soggetti sacri non sono opera di bari, ubriaconi, assassini, stupratori.

Nell’intervista (postuma) in tv con Biagi, per la trasmissione “Terza B, facciamo l’appello”, Pasolini si nega: “La tv è un medium di massa. E il medium di massa non può che mortificarci o alienarci”. Però ci va. Per dire che in tv non si è liberi di dire, ma l’essenziale l’ha detto. A meno che non sia una delle sue (troppe) attitudes, da modesta reincarnazione del vituperato D’Annunzio: il poeta ha fatto dei Caroselli, non per soldi.
Lo stesso Biagi fa una puntata falsa della sua trasmissione. Poiché gli ex compagni di classe sono quelli del liceo di Bologna, e Biagi sa che il ricordo non può essere genuino, tutti sapendo che il ragazzo Pasolini “indicò” il compagno di liceo e amico personale Sergio Telmon alla polizia fascista. Non per la proverbiale “ipocrisia”galantomistica di Biagi. Pasolini ha sempre vissuto questa ambiguità, non traumaticamente.
“Nel luglio del 1971 sarebbe dovuta andare in onda una puntata di «Terza B: facciamo l’appello», trasmissione di Enzo Biagi”, è uno degli ultimi ricordi di Italo Moscati, scritto per il sito Pasolini.net: “Ma fu sospesa per una vicenda giudiziaria che coinvolse Pasolini nella sua qualità di direttore responsabile di «Lotta Continua». Sarà presentata quattro anni dopo, il 3 novembre 1975, all’indomani del suo assassinio”. Per l’ovvio mercato del lutto. La prima battuta di Pasolini fu, ricorda Moscati (ma l’intervista è su tutti i siti) che ritrovare i compagni non era gradevole, che la situazione creata nello studio era “brutta, falsa”.

Pound – “Il Silenzio è la Voce di Dio”, Mary de Rachewiltz ricorda che il priore di san Giorgio Maggiore sottolineò al funerale di Pound. La stessa Mary ha spiegato che il silenzio di Pound era anche un modo, secondo la legge americana (non rispondendo, cioè), di professarsi innocente.

Sogni - Un primo uso letterario è in Dante da Maiano, che a interpretare un sogni invita Dante Alighieri e altri poeti giovani. Ai quali sottoponeva il suo sogno come “visione”. Tutto costruito cioè, il sogno e, ovviamente, le letture degli amici.

Traduzione - È l’incrocio delle culture, quindi la valvola della cultura stessa, che chiusa deperisce. È recezione di un altro nel proprio, e a questo fine addomestica – può addomesticare – l’originale. Il maggior traduttore italiano è anche ottimo, benché trascurato, poeta: Foscolo. Come romantico, per imporre il suo vero, e come nazionalista ossia vero “traduttore”, sensale tra le culture.

Se ne parla molto, in fondo, perché Croce ha detto la traduzione impossibile. Ma aveva ragione anche lui. Ridurla a veicolo di comunicazione gli dà ragione doppiamente.
È assimilazione. L’opera straniera ha necessariamente una sua estraneità linguistica, in più della personalità dell’autore.
Il linguista Gianfranco Folena nel 1973, “Volgarizzare e tradurre”, Carlo Carena classicista e George Steiner “Dopo Babele”, 1975, hanno sistemato la questione richiamandosi a san Gerolamo, patrono della categoria: senso da senso e non parola per parola. Ma riconoscevano che dagli anni 1940, cioè dall’avvento della linguistica in materia, la questione era stata molto complicata. Con che risultato? Linguisticamente non si può tradurre “Aprile è il più crudele dei mesi” nel Sud-Est asiatico, dove aprile è la stagione dei monsoni, non nel senso di T.S.Eliot, o “Il Principe” in swahili: la mediazione culturale è ineliminabile.

Vent’anni fa si teneva un convengo a Trieste in cui i traduttori venivano chiamati “traslocatori di parole” (“In difesa dei traslocatori di parole”).

letterautore@antiit.eu

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