La Germania ha costantemente, da quattro anni, un attivo nei conti con l’estero che si può ritenere il passivo, anch’esso costante da alcuni anni, dei suoi maggiori partner europei: Italia, Francia, Spagna, Gran Bretagna. La bilancia dei pagamenti è costantemente in forte attivo per la Germania, e in forte passivo per i suoi partner europei. A metà 2011 l’attivo tedesco ammontava a 46 miliardi di dollari, a fronte dei quali l’Italia registrava un passivo di 21 miliardi, la Francia di 17, la Spagna di 16, la Gran Bretagna di 12 (e la Grecia di 8).
La bilancia dei pagamenti registra il movimento merci e capitali da e per l’estero. È l’indicatore migliore dello stato di salute di un’economia. I raffronti sono stati dismessi in sede europea dopo l’unificazione monetaria. Mentre invece fotografano il quadro di almeno due Europe fortemente diversificate. Una delle quali, con la Germania, in costante attivo e quindi non interessata a un intervento anticrisi: Olanda, Danimarca, Svezia, Belgio.
La relazione tra l’attivo tedesco e il passivo dei maggiori partner europei non è lineare – non nelle statistiche generali che l’Ocse rende pubbliche. L’attivo tedesco si può presumere alimentato anche dal forte sbilancio americano (117 miliardi a metà 2011). Mentre il passivo può doversi alla Cina o, per esempio per l’Italia, ai paesi del petrolio. I movimenti, inoltre, sono per lo più determinati da condizioni di produzione e da aspettative fondate. E tuttavia, per una parte che può non essere piccola sul versante aspettative, essi possono essere azionati artificiosamente. La politica prettamente mercantilistica – indirizzata a trarre un vantaggio nazionale a spese delle altre nazioni – del governo Merkel-Liberali è più che provata nei confronti della Grecia. Verso la quale il gabinetto della cancelliera ha assunto un atteggiamento severissimo: niente salvataggio senza rigore. Ma dopo aver imposto alla Grecia, sia al conservatore Karamanlis nel 2009, a crisi già aperta, sia al socialista Papandreou a marzo, con la Grecia sotto pressione per tagli e tasse, una spesa militare, innecessaria e gravosa, di quattro miliardi di euro, per sottomarini e carri armati. Ma il tema è meglio analizzato in linee generali.
La materia fu dibattuta due anni fa sul “Financial Times”. Il quotidiano attribuì alla Germania la responsabilità di buona parte della crisi dell’euro, per effetto del suo “modello economico orientato all’esportazione”, cou un pesante surplus nei confronti dell’Europa latina e balcanica. Ignorando “il fatto che l’Europa nel suo complesso deve diventare più competitiva”. Il portavoce del governo tedesco, Ulrich Wilhelm, si limitò a negare che le esportazioni tedesche fosse competitive grazie a pratiche scorrette, interventi pubblici, svalutazioni surrettizie, dumping salariale. Ma non contestò l’assunto principale: che la Germania usa l’unione monetaria come area di conquista.
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