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Coppia – È nozione non determinata, e dunque da approfondire. Implica intuitivamente, confusamente, un rapporto egualitario ed esclusivo, una sorta di immedesimazione totale. Ancorata però ad ancora più fragili connotati d’epoca: l’uguaglianza come presupposto e non come obiettivo, quasi concorrenziale, o la sessualità di preferenza all’amicizia come fattore d’unione – una sessualità che però, per quanto spinta, non implica la confidenza, l’abbandono reciproco. E l’intimità intesa come asocialità – all’opposto cioè della famiglia borghese di cui è filiazione, che la famiglia asserviva alla socialità.
A metà Ottocento le famiglie misero le tendine alle finestre, un secolo dopo le hanno chiuse. Poi l’autoprotezione che la famiglia borghese esercitava verso l’esterno è passata nel rapporto di coppia all’uno verso l’altro, al chiuso. La coppia sono i giovani sposi di un racconto giovanile di Savinioche si rinchiudono in una stanza e fanno furiosamente l’amore, per uno, due, tre giorni, fino a che la stanza non comincia a puzzare e i due prendono a odiarsi.
La coppia è più che altro l’effetto della rendita urbana. Il peso schiacciante del metro quadro nell’economia ha ridotto gli spazi vitali. La coppia è un adattamento al bicamere. Ma anche il bicamere pesa: la più parte dei rapporti di coppia si rompe nei primi cinque anni, quando il mutuo è più oneroso e sconvolge gli stili di vita. È così che la coppia ha ceduto ai singoli, con la monocamera.
Corpo – “Noi non possiamo liberarci dal corpo”, stabilì san Gregorio Palamas, apostolo della vera fede, ortodossa. L’Oriente non ha nudi, l’Oriente dell’Occidente, ma ha il corpo. Se non fosse ritenuto blasfemo si potrebbe anzi dire il corpo l’esicasmo della materia, preghiera laica. A Oriente Dio non sta fuori dal mondo. E il corpo non si limita a subire passivo la divinizzazione, ma vi partecipa. “È esicasta”, aveva spiegato Giovanni Climaco, l’autore del “Κλίμαχ του Παραδείςου”, Scala del Paradiso, “chi cerca di catturare nel corpo l’incorporeo”. Il segreto è l’accettazione del corpo, che sarà classico ma è vivo in quanto è ortodosso. L’esilaramento è tutto qui. Nell’αυτεξυςια, direbbe Palamas: divinizzarsi, autonomizzarsi, pensare diverso, libero.
Il santo prefigura, volendo, l’“Io corporale” di Norman Brown – certo come lui misconoscendo, e come Marcuse, la centralità operaia, della classe, del corpo sociale. Esicasmo è la preghiera assidua, ritmata dal respiro, intesa ad assicurare l’εςιχια, la serenità d’animo. E il corpo è il canto vivente, l’armonia delle sfere. È Spinoza, l’unità del corpo e della conoscenza.
Contro il fondamentalismo ortodosso, Barlaam da Seminara pretese autonomia per il sapere “esterno”, esterno alla fede, sulla base dei Vangeli e di san Paolo. Ma agli esicasti rimproverava di voler mantenere l’intelletto nel corpo. Fu facile a Palamas obiettare che il corpo non è l’opposto dell’anima, e anzi deve avere “una natura conforme a essa”. E che, Dio essendosi incarnato, i doni dello Spirito Santo passano per il corpo, le mani, gli occhi, la lingua.
La resurrezione della carne è venuta prima, tra gli stessi padri del cristianesimo, dell’immortalità dell’anima, tardo recupero platonico. È l’Eterno Ritorno. Che è detto mito e non lo è: è il corpo che non vuole morire. Proprio il corpo, rimasto alla meccanica e destinato per questo a morire, per usura o disfunzione. Il corpo informe anche quando è bello, “gettato lì” direbbe Heidegger, alla rinfusa, interiora, vene, pelle, le stesse ossa e i muscoli che poi si organizzano e lo tengono in piedi, ha volontà coriacea. Sempre in Russia, prima della rivoluzione ma in ambito già materialista, il filosofo F.N. Fëdorov ne progettò la ricostituzione, in quello che Majakovskij chiamerà l’Istituto delle resurrezioni.
Lou Salomé il corpo lega allo spirito, e l’uomo fa così creatore. Filosofia ineccepibile: il corpo racconta meglio l’anima, anche degli artisti. Come l’Elisa di Pietro il Venerabile, “donna tutta e veramente filosofica”. Nietzsche per questo disse Lou “superiore agli altri uomini”, come se lei ne fosse uno.
Il corpo, Lou chiarisce a Freud, le donne lo sanno, “l’essere corporeo, che separa la cosa dalla cosa, la persona dalla persona, sta nel «segreto manifesto» di essere per eccellenza il principio di unificazione dei processi interni e esterni: il nostro corpo non è nient’altro che la parte di esteriorità più vicina a noi, inseparabile dalla nostra intimità, dall’identità; ma noi ne siamo anche staccati, al punto che dobbiamo imparare a conoscerlo, a studiarlo dall’esterno come ogni altro oggetto”.
Uno spettacolo: il corpo “è al crocevia delle pulsioni che ci fanno rompere l’isolamento, per collegarci a tutte le cose, nell’universale parentela dei corpi, come se l’universale parentela si conservasse nel nostro essere fisico, il ricordo primitivo della comune identità, di cui le pulsioni amorose che ci gettano l’uno contro l’altro sarebbero le vestigia”. Hobbes non approverebbe, ma è bello pensarlo. “D’altra parte, si sviluppa in ognuno un’ostilità nei confronti del corpo a seguito della resistenza che oppone la tendenza all’io proprio”. Insomma, c’è “un rapporto equivoco con l’essere corporeo”.
Domenica – La scomparsa della domenica sancisce e nello stesso tempo altera la successione del tempo. Dei suoi diversi usi e quindi della sua sacralità. Che è connessa all’impiego del tempo insieme alla sua scansione, nelle stagioni, negli anni, nelle epoche. Esclude, con la religiosità, una scansione psichicamente evolutiva del tempo, comunque ritmata. Ora il tempo è amorfo – i giorni sono uguali.
La scomparsa della domenica nel week-end è tema degli anni 1930 – di Jünger per esempio. Della polemica anti-massificazione. Il week-end – la disperante Wochenende di Jünger – era ben una conquista sociale di massa, liberando in tutto o in parte anche il sabato, ma áncora l’attività, e quindi la scansione del tempo, a un’ininterrotta operosità, anche se di diverso genere: è una seconda occupazione, è sempre lavoro, è sempre feriale. A differenza della domenica, il week-end è un affaccendarsi – una clausewitziana continuazione del lavoro con altri mezzi.
La religiosità della domenica è perdita minore. Era stata sancita dal concilio Lateranense del 1212, con l’obbligo della messa, e della confessione obbligatoria a Pasqua. Ma la religiosità non ha massa, non ha tempo, l’abolizione della domenica non la colpisce: si applica ad altri tempi, luoghi, divinità – si applica dove vuole. Il tempo no, non si recupera. Nel senso che resta uniforme, poco o niente significante, nel week-end come nei giorni lavorativi.
Matrimonio – È una “forma naturale”, essendosi sempre praticato , in modalità variate.
È in crisi nella sua forma ultima, il matrimonio d’amore. Il cui fondamento e carattere è l’attrazione reciproca e anche l’affettuosità, se non il rispetto reciproco e l’amicizia, un legame comunque volontario e alla pari. Il matrimonio d’amore naufraga oggi con la sua più intensa o intimistica espressione, il rapporto di coppia.
Il matrimonio d’amore è una forma borghese. Della tarda borghesia, quando ha preso a negarsi. Tra le altre coperture, la borghesia ha adottato l’amore. Il matrimonio d’amore finisce quindi con la borghesia. La quale non è un dato negativo ma storico – borghese equivale più o meno a europeo. Finisce con l’Europa, occidentale, laica, illuminista.
Relativismo – Discende dallo scientismo. Fin nelle sue applicazioni minute, per esempio i disturbi della personalità di Newton. Dei quali di dice indifferentemente che fossero l’effetto della sindrome di Asperger (una forma di autismo), o dell’attaccamento disturbato alla madre, o della solita omosessualità latente, o dei suoi esperimenti alchemici, i suffumigi tra i quali passava le giornate. Della sindrome di Asperger si rendono vittime molti fisici peraltro, Einstein per primo, Marie Curie, Paul Dirac, Henry Cavendish, che prese il testimone da Newton. Oltre a Michelangelo, Wittgenstein e altre personalità “strane”.
Di Galileo. troppo solido per essere sezionato come vuole il freudismo, s’intende ora che non fosse né devoto né pio. S’intende a suo vanto. Mentre lo era, devoto e pio, come tutti i credenti, senza metro.
Silenzio – “Il Silenzio è la Voce di Dio”, Mary de Rachewiltz ricorda che il priore di san Giorgio Maggiore sottolineò al funerale di Ezra Pound. È tema ricorrente della predicazione di Benedetto XVI. Si celebrava di san Giuseppe, di cui non si tramanda una sola parola. È l’ambizione dei mistici: il loro colloquio è col silenzio: “Dov’è silenzio è la voce di dio”.
Costeggia il silenzio di Dio? che però è l’abominazione.
zeulig@antiit.eu
sabato 28 gennaio 2012
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