venerdì 17 febbraio 2012

Nel lutto l’amore è impossibile per Barthes

Roland Barthes ha tenuto una sorta di diario della pena nei due anni successivi alla morte della madre il 25 ottobre 1977, la cui lunga agonia personalmente ha accudito per sei mesi. Frammentario, su 330 foglietti, molti dei quali ha pubblicato via via in testa ai lavori che metteva a punto negli stessi mesi, fertilissimi. Un carnet Proust minimalista, che anche lui girava attorno alla mamma, al ricordo un  po’ recriminatorio della mamma: una “Ricerca” non svolta, o volutamente frammentaria, all’uso degli anni 1970. Ma anche un’autoflagellazione, al modo di un altro scrittore come lui amabile, Borges, che ebbe lo stesso rapporto con la madre, colpevolizzante, intensificato dopo la morte.
Il lettore di Barthes aveva già avvertito la presenza materna nell’autobiografia intellettuale compilata dallo scrittore nel 1974, “Barthes di Roland Barthes”. In questa compilazione postuma, di foglietti confusi e ordinati al modo del semiologo, sempre attento all’“organizzazione”, al suo personale modo di produzione, fogli A 4 divisi per quattro, un tenero ritratto emerge di una sofferenza, ancorché controllata. È un caso “pratico” di elaborazione del lutto, imparare a convivere con i morti. Una pratica in uso ancora di recente anche nei segni esteriori, ricorda Barthes, con il lutto “portato” nell’abbigliamento, per un anno, o due a seconda della relazione di parentela.
Lo scrittore cerca riferimenti nelle letture. Trova una “raccomandazione di leggerezza nel lutto” ovviamente in Proust, “tra il narratore e la nonna”. Ma inciampa nelle cose minime, il dolore come “punto più bruciante al punto più astratto” – intende dire irrilevante: la commessa in pasticceria che porge il pacchettino con un “ecco qua”, lo stessa interlocuzione dall’autore impiegata porgendo un ultimo pacchettino alla madre morente, un suono uguale al “sono qua” con cui ci sono tenuti compagnia tutta la vita. E la constatazione: “Ormai e per sempre sono io stesso la mia propria madre”. Con la quale ha vissuto sessant’anni –la madre muore di ottantaquattro anni, vedova di guerra con due bambini da quando ne aveva ventitré, dopo essersi sposata a vent’anni. Scoprendo poi, forse, la reciprocità dell’amore: “Per mesi sono stato sua madre. È come se avessi perduto mia figlia”.
La madre sarà protagonista di un progetto di “Vita Nova” nella primavera del 1979. Quando tutto ha già preso a derivare alla consolazione della filosofia - per Barthes alla semiologia: alla “metonimia esaustiva (panica) del Lutto, dell’Abbandono”. La conclusione provvisoria è che “per il lutto interiorizzato non ci sono segni”. Che non è possibile. Anzi, il lutto “è il compimento dell’interiorità assoluta”. Altra impossibilità. Mentre “tutte le società sagge, tuttavia, hanno prescritto e codificato l’esteriorizzazione del lutto”, questo è innegabile.
A Casablanca, dove il “divisamento” (éblouissement) del progetto di “Vita Nova” è intervenuto nella primavera del 1978, dopo un primo tentativo di spaesamento fallito in Tunisia, il “ritorno” andò male in ogni circostanza, la presenza della morta è costante. Barthes si sente, sì, “liberato dalla «paura» (dell’asservimento) che è all’origine di tante meschinerie”, dall’asservimento-paura della sessualità. Ma la constatazione è a cannocchiale rovesciato, che restringe invece di allargare e spiegare. E infatti lui stesso avverte che si chiude invece di aprirsi, continuando a “preferirsi” , nell’“«aridità del cuore» - l’acedia”. Peggio, più chiaramente, malgrado la costante riserva: “Non riesco a investire amorosamente in un essere”, se non nella madre morta. In una sessualità acculata al “Desiderio infantile”, continuano nel lutto “i flirts, gli amorazzi, …i «ti amo»” di un giorno, un’ora. La madre è il corpo della madre. Il 29 luglio 1978, a conclusione della stagione marocchina, rivedendo il film (mediocre) di Hitchcock “Il peccato di Lady Considine” (“Under Capricorn”) del 1949, che riporta al 1946 per connetterlo a altri ricordi, Barthes scopre in Ingrid Bergman il corpo della madre amata.
Roland Barthes, Dove lei non è, Einaudi, pp. 260 € 18

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