Fuori da questo scandalo, dall’operato criminoso della Legge, Calciopoli è l’affare della politica che ci domina. La vecchia Dc, di Abete e Petrucci. Che si spinsero fino a sabotare la Nazionale al Mondiale che poi vinse in Germania. E Milano. Che ne approfittò per prendersi tutto il calcio. I giornali milanesi, “Corriere della sera” e “Gazzetta dello sport”, alimentarono lo scandalo con le confidenze degli investigatori. E tentarono anch’essi in tutti i modi di sabotare Lippi e la Nazionale, troppo “juventini”. Il Milan si prese la direzione tecnica, con Demetrio Albertini in veste di commissario di fatto della Figc, Donadoni alla Nazionale, e il fidato Collina alla guida degli arbitri. L’Inter si rifece con gli ineguagliabili giurisperiti Borrelli e Rossi, per prendersi tutto, da Ibrahimovic ai campionati, passati e futuri – un paio a danno della Roma.
Un’influenza sempre dominante, questa di Milano. Moggi, gli altri dirigenti, nessuno dei quali di Milano (l’unico rimasto impigliato ha avuto, senza motivo, la pena più mite), e gli arbitri si condannano anche per le frequentazioni sociali, “a casa Pairetto più volte”, o a casa Giraudo o a casa Bergamo. Che congiurati, si vedevano con le signore... Mentre Collina, superstipendiato per “consulenze” dalla Opel, sponsor del Milan, che andava a pranzo col dirigente del Milan per gli arbitri, Meani, ogni settimana, nel ristorante di lui, passando per una porta secondaria, è l’eroe di Calciopoli. Questo definisce la natura “morale” (immorale) dello scandalo. Ma il peggio è, non è inutile ribadirlo, l’abuso della Legge, che il processo documenta.
Ufficiali dei carabinieri che s’inventano le indagini per fare carriera, per nient’altro. Giudici che le avallano o promuovono, sempre per fare carriera. Sotto la Grande Madre Dc - che si sarà pure sciolta, ma evidentemente ha fatto il ghiaccio. Si spiegano così le indagini a senso unico per Piazza Fontana, l’evento e il metodo all’origine della Storia Impossibile: dapprima contro la sinistra, poi contro la destra. La politica, purtroppo, non c’entra, la corruzione è delle istituzioni.
martedì 7 febbraio 2012
Calciopoli scopre il Grande Vecchio - è la Legge
Una porta aperta sulla Legge, che sarà alla fine il solo Grande Vecchio di questi quarant’anni di Storia Impossibile, con i giornali, di questa Legge manutengoli: è la sentenza di Napoli su Calciopoli. Sfuggita forse di mano, con la imprevedibile giudice Casoria, invano ripetutamente ricusata. Oppure trascurata – si tratta pur sempre di partite di calcio e non di bombe. Comunque, la sentenza è ora agli atti, voluminosa e chiara: il verdetto è contraddittorio (un’assoluzione con condanne….), i procedimenti che mette in chiaro sono una terribile verità.
L’inchiesta è stata montata e sviluppata “con parzialità”. L’accusa è arbitraria e “incomprensibile”. La difesa è stata “in fatto molto ostacolata dall’abnorme numero di telefonate intercettate, oltre 170 mila, e dal metodo adoperato per il loro uso”. Le partite non sono state truccate. I sorteggi degli arbitri nemmeno. “Inaffidabile” uno dei due testi d’accusa, Martino, un uomo del Milan, “vane parole” quelle dell’altro teste d’accusa, Nucini, un arbitro scartato. L’inquirente Auricchio è più volte citato nella sentenza a discarico degli imputati. Il campionato non è stato alterato. Come dire: l’inquirente Auricchio e i suoi giudici si sono inventati tutto.
Inoltre - il giudice non può dirlo, perché non è stato materia di dibattimento, ma è un fatto confermato dallo stesso dibattimento - l’inchiesta è stata disposta da Auricchio pretestuosamente. Senza alcuna denuncia o indizio di reato, solo la sua amicizia con Franco Baldini, nemico personale di Moggi - personaggio peraltro fra i più discutibili del calcio: con un’altra Consob, le ripetute manomissioni dell’As Roma l’avrebbero portato in galera. È del resto insensato il procedimento contro Moggi in capo a una Procura antimafia, se non per i rapporti personali di Auricchio con i giudici napoletani.
Il peggio di tutto è il motivo della condanna. Moggi è stato condannato per “tentata frode”, con la rete dei telefonini svizzeri non intercettabili. Una colpa che in un tribunale terzo sarebbe stata invece legittima difesa: Moggi, che sapeva di essere intercettato, se ne difendeva. Ma in Italia è proibito difendersi dalla violenza delle istituzioni. È questa la verità terribile di questo stravagante processo. Alla cui luce la Storia Impossibile diventa perfino incontrovertibile: è il fatto non tanto di servizi deviati e complotti quanto della “irresponsabile irresponsabilità” degli apparati giudicanti – è la lettera rubata di Poe, la prova del delitto in evidenza, è la “normalità”. Col contributo dei media, fogli dei padroni per i quali ogni diversivo è buono, basta non toccare gli affari, e ogni verità scaccia l’altra – oggi anche gli juventini sono convinti che Mossi si comprava le partite. Con l’aggravante dell’impunità: nessuno può chiedere i danni al colonnello Auricchio o ai giudici Beatrice e Narducci, che faranno comunque la loro carriera nelle rispettive istituzioni a ruoli aperti, e anzi l’hanno già fatta, Auricchio è quasi sindaco di Napoli, dietro il Masaniello De Magistris. Beatrice in Cassazione. Narducci, concorrente di Auricchio a quasi sindaco, comunque quasi Procuratore Capo.
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