Senza introduzione, senza note, con una biografia confinata alla copertina e fuorviante, nella traduzione datata di Landolfi, e un titolo inerte, Adelphi moltiplica i libri di poesia. Qualcuno scala perfino le classifiche. La poesia va pure in edicola – la collezione del “Corriere della sera” vende mediamente più di quella di Mani Pulite. Tjutčev, il diplomatico che portò in Russia il romanticismo europeo, di Schelling e Heine, si legge in effetti d’un fiato. Parla d’amore e di natura, di luci, foglie, monti, acque, mari, stagioni, e della vecchiaia triste, con la semplicità della grande poesia – o tale la rende Landolfi. E dell’Italia: Venezia, Genova, Roma, “Villa italiana”… Una naturalezza che gratifica l’appassionato. Un bagno di parole giuste - al lettore sembrano spontanee , lo colmano anche per questo. Con l’odierna difficoltà di vivere: “Non la carne, ma l’anima è corrotta\ oggi, e l’uomo si strigge disperato…\ ……..\ E la sua propria perdita conosce\ e fede agogna… eppure non la chiede…”. Heideggeriano un secolo prima: “Può palesarsi il cuore mai?\ Un altro potrà mai capirti?\ Intenderà di che tu vivi?\ Pensiero espresso è già menzogna”. Con la rarità dell’Amore Suicidio (“I gemelli”): “Parentela di sangue è che li unisce”.
Anche la biografia è interessante, di questo russo latinista. Tjutčev fu trascurato in epoca sovietica (con eccezioni: Jurij Lotman lo ha studiato in profondità) come reazionario, mentre non lo fu. Nel 1864 scrisse una rovente “Encyclica”, qui inclusa, contro il papa che proclamava : “È delirio la libera coscienza!”Irrecuperabili erano i suoi temi. Diplomatico, dapprima a Monaco di Baviera, dove si sposò, restò vedovo e si risposò, poi a Torino, preferì anzi lasciare l’incarico per non condividere l’aria plumbea, letteraria e politica, della capitale piemontese. Fu italianista a dispetto di Torino.
Fëdor Tjutčev, Poesie, Adelphi, pp.141, € 10
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