martedì 21 febbraio 2012

La Patria abolita dall’Italia bianca e rossa

Galli della Loggia si regala, e ci regala, per i settant’anni, fra le tante antologie possibili, la più sorprendente. Sotto forma di saggio, il volume appare nella Bur Saggi, ma in realtà squadernando una serie di testi tutti in vario modo succulenti e ormai non altrimenti delibabili, se non per il suo coraggio ad affrontare per noi il diluvio da cui li fa emergere. Perché da un certo punto di vista la sua tesi è vera, che la Patria è morta: non ci interessa più la poesia civile, dell’ultimo suo alfiere, Pasolini, che è morto nel 1975, siamo già insofferenti. Che dirne? Non c’è da scegliere, c’è solo da leggere: da “Italy” di Pascoli, uno dei “Primi Pormetti”, a Michele Serra – ebbene sì, è lui…
Con alcune lezioni dello storico ai letterati. La riscoperta, dopo De Sanctis, dell’Italia unita dalla lingua. E, con Pasolini, dell’Italia dagli appuntamenti mancati, o dalla “storia sbagliata”, insomma “l’«umile» Italia della grande tradizione nostra, già perfettamente definita in Dante in ognuno dei suoi tratti identitari”. Se non che dantesco, cioè originario, è anche “il sepolcro di Gramsci”, che secondo Galli della Loggia invece “mette metaforicamente termine alla vicenda di quella patria”, all’Italia nuova auspicata dai “Sepolcri”. Una fine curiosamente in contrasto con l’idea dell’antologia. Quanto a Pasolini, lo stesso Galli della Loggia nota che “Le ceneri di Gramsci” riportano – lui dice riducono – la poesia civile “a invettiva, a satira, o a perenne lamento”. Cioè a Dante?
Dello storico è nota la posizione: nel dopoguerra la Patria s’inabissa in reazione all’ipernazionalismo fascista. Non è così: non lo era, non lo è comunque dopo settant’anni, e nell’antologia, sgranata cronologicamente, si vede anche meglio. C’era stata continuità su questo aspetto tra l’Italia risorgimentale e il fascismo, nelle alleanze o assi, nel colonialismo, nei miti (l’Italia civile di antica civiltà, la proletaria, la raddrizzatrice di torti). La rottura avviene col passaggio dell’Italia alle due subculture dominanti della Repubblica, la confessionale e la comunista: la sconfitta e il passaggio alla Repubblica sono un discrimine forte nel centocinquantenario. Due subculure che si ama dire portate, gonfiate, dalla guerra fredda e invece perdurano oltre la caduta del Muro e la liquidazione dei partiti ideologici. Con un riassetto solo parziale, incompiuto, di questa seconda Italia nel nuovo concerto europeo: l’imboscamento (la diminutio, l’understatement) oltre ogni ragionevole cautela in campo internazionale, e l’antigovernabilità eletta a democrazia, sotto le insegne false dell’assemblearismo – un uso strumentale, essendo confessionale e quindi di parte, dell’anarchismo, che è fondamentalmente liberale. Senza una funzione politica in realtà, se non quella partitica delle due “confessioni”. Che sono alla radice, un giorno magari si scoprirà, dell’antipolitica che ci opprime: siamo oppressi non dai giudici di partito, piccoli carrieristi, ma da questa invasiva – “sovietica” – opinione pubblica, che la Rai democristiana forma, con i grandi giornali oggi “democratici”.
Ernesto Galli della Loggia (a cura di), Poesia civile e politica dell’Italia del Novecento, Bur, pp. 396 € 16

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