giovedì 9 febbraio 2012

Le liberalizzazioni sono il peggior monopolismo

Si possono fare le liberalizzazioni in soccorso del peggiore monopolismo? E a carico, non a beneficio, degli utenti? È quello che si è fatto in Italia. Non a opera del solo Monti, Monti è l’ultimo liberalizzatore di una serie ormai lunga, avviata dal tandem Fazio (banche)-Prodi (servizi) con tanto di Autorità di sorveglianza, molteplici.
La prima liberalizzazione sarebbe dalle imposte, e invece ne subiamo aggravamenti costanti. Gli ultimi, quelli disposti dal liberalizzatore Monti, hanno moltiplicato il costo di tutti i prodotti energetici, dalla benzina alla luce, di un venti-trenta per cento. Quelli sulla casa ne raddoppieranno i costi annuali. Quelli dell’Iva moltiplicheranno il costo di beni e servizi che ne fossero ancora indenni. Che ci sia un’edicola o una farmacia in più, o una pompa di benzina non porta al contrario nessun risparmio. Solo benefici alla grande distribuzione. Cambiare banca è inutile, ormai lo sappiamo, dopo così accesa liberalizzazione, o assicurazione.
La liberalizzazione è una sorta di parola d’ordine o incantesimo che allenta ogni controllo, e si risolve in un complesso di castrazione che rende i consumatori inerti prima ancora che inermi. L’effetto si vede nei mercatini alimentari. Basta niente, l’aumento del gasolio, un po’ di neve, uno sciopero di un giorno dei tir, e i prezzi raddoppiano e triplicano. Col sostegno, oltre che dell’indifferenza dello Stato, degli indici di comodo del costo della vita, elaborati dall’Istat su quelli superfurbi di Eurostat. Per i quali non c’è mai un aumento del costo della vita superiore al 2 per cento. Non ci fu nemmeno dieci anni fa, quando i prezzi semplicemente raddoppiarono con l’euro – un aumento del 100 per cento. Si può dire la liberalizzazione l’ottavo peccato capitale, se non la madre dei peccati contemporanei.
Nei servizi gli effetti perversi ognuno li ha visti con la telefonia, fissa e mobile. Con contratti rubati e tariffe incontrollabili, sotto il paravento della molteplicità delle offerte: un tempo semplici e leggibili ora sono composte, col patrocinio insindacabile delle Autorità di settore, di talmente tante voci che solo una comparazione diacronica è significativa: e questa comparazione dice che con la liberalizzazione il costo del telefono è raddoppiato. Per non palare della telefonia mobile, dove gli utili di gestione si aggirano tra il 50 e il 60 per cento del fatturato, un bengodi, per le aziende – il telefonino potrebbe costare la metà, o anche un terzo consentendo al gestore un guadagno ancora ottimo.
Al telefono si è aggiunta da un anno l’energia libera, gas e luce. Anche qui contratti rubati, a chi semplicemente si avventura a rispondere al telefono invece di chiuderlo, e promesse di ribassi contraddette dalla prima bolletta. C’è infatti chi vi assicura che avete abbattuto l’anidride carbonica, e chi il costo del kWh, ma il raffronto con la vecchia bolletta mostra che state pagando un buon 20 per cento in più, altro che riduzioni. Un vero mercato dei compari, peraltro: i vecchi monopolisti stanno al gioco della liberalizzazione e non vi prenderanno mai indietro, potete solo andare alla loro società liberalizzata, e pagare di più.
La liberalizzazione è in realtà delle tariffe. Un’autorizzazione in bianco ad aumentarle a piacere. E nessun operatore scarta. Il caso più macroscopico è quello delle ferrovie. Con la scusa della liberalizzazione hanno portato i biglietti locali al livello record dell’Underground londinese (che però “passa”) e le lunghe percorrenze poco sotto il costo del biglietto aereo.
Quello delle Autorità di protezione del mercato è un ulteriore aggravio. Ce ne sono una diecina, costosissime, per controllare un mercato di cui invece favoriscono tutti i vizi. Per primo il monopolismo. Si può anche dire che il vizio o peccato viene da lontano: non un solo risparmiatore è stato protetto dalla Consob. Non un solo utente, probabilmente, è stato protetto dalla tante Autorità di settore, a valle della prima benemerita Autorità garante della concorrenza e del mercato di Saja e Amato – parliamo di venti anni fa. Il resto è solo business.

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