Titolo husserliano – di Husserl che si estraniava dalle visioni generali per occuparsi appunto delle “piccole cose in sé” – per un libro molto “editoriale”. Di costruzione apparentemente formidabile: la minimalità applicata alle cose grandi e perfino impervie, la fede, la politica, la burocrazia, da Gogol’ sobrio, e il paria. Col quale la storia scoppia, per la forzatura dell’amore impossibile, giusto per la scena di sesso che l’operazione editoriale appunto comporta. Dandole un sottinteso politico, ma sempre fuori tono.
Resta lo charme del contorno: i cristiani siriaci spersi, il gelato dei bambini, il cinema dei bambini, le rinunce delle donne. È ciò che resta della narrazione originaria? O gli anglo-indiani vanno rivisti dopo la moda?
Arundhati Roy, Il dio delle piccole cose
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