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giovedì 23 febbraio 2012

Letture - 87

letterautore

Collaborazionismo – Si sviluppò a Parigi, nei quattro anni dell’Occupazione tedesca , dal 1940 al 1944, un francese diverso, letterario e anche pratico, giornalistico, conversativo. È un effetto non analizzato dell’Occupazione, ma evidente, e incisivo, durante la guerra e dopo: ci fu e c’è, è rimasto, un impatto della sconfitta lampo e dell’occupazione lunga sul francese scritto. I facsimile di “Céline ci scrive” offrono ampia materia, ma più se ne trova nella pubblicistica riedita, di Céline, Drieu, Brasillach, anche di Sartre, che “nasceva” in quegli anni come drammaturgo e narratore, e di chi sotto l’Occupazione si formò, Vian, Nimier. Sul vocabolario, i linguaggi (filosofie), le espressioni: le céliniane sospensioni, le apostrofi, il polemismo, l’irrisione. Attorno al tema “essere buoni francesi”, “essere”. Tutto convulso, esagerato, esasperante, e classificato all’ingrosso come letteratura della crisi, ma con connotazioni molto datate.

Dante – È un proto animalista. Per Massimo Cacciari, per il quale nell’antropomorfismo “l’altro sembra essere costitutivo della sua essenza”, e l’animale ha la funzione di un“un metamorfizzarsi instancabile dell’Io”, quella che lui chiama la “Comedìa” di Dante “si pone tra i grandi «bestiari»”, e anzi è “incomparabilmente il più grande” (“L’animale politico”, nota del collettaneo “Animalia”): “Par di vedere e toccare quei porci, quei botoli, quei cani che si trasformano in lupi, quelle volpi che abitano «la maledetta e sventurata fossa» della valle dell’Arno!”, o la colomba di Francesca.

Corrado Bologna, “Dante di Pound” (di cui dà una sintesi sul “Sole 24 Ore” di domenica 19 febbraio), ha trovato nelle carte di Vanni Scheiwiller un progetto di Pound “per uno studio serio di Dante”. Al giovane Vanni che gli chiedeva consigli per i suoi progetti di editore, Pound così rispondeva in italiano il 20 maggio 1954 dal manicomio criminale di Saint Elizabeth: “Mi pare che faresti bene di stampare un piccolo corso di studii danteschi, cioè dei precursori. Almeno tre volumetti necessari per lo studio serio di Dante”. Che elenca: Riccardo di San Vittore, Cavalcanti, “seguendo Cicciaporci, con due or tre note di varianti della mia ed.”, e l’“Eccerinide” di Mussato, nella traduzione di Dazzi. Antonio Cicciaporci, studioso di nobile famiglia bolognese, è il riesumatore delle rime edite e inedite di Cavalcanti, nel 1813. E chi è Mussato?
Mussato è un uomo politico e letterato padovano coetaneo di Dante (nato quattro anni prima, morì otto anni dopo). Un altro fiero comunalista, e guelfo-ghibellino, uno che vuole accordare come Dante – come Pound - gli ideali universalisti dell’impero e della chiesa. La Treccani lo dice il maggior storico (ma in latino) del Trecento, con Villani e Compagni. Ma Wikipedia lo dice esumato cinquant’anni fa da Roberto Weiss e Kristeller. Pound ne sapeva di più.
Mussato fu ambasciatore della sua città, contro lo strapotere di Cangrande della Scala e dei Veronesi, presso Bonifacio VIII nel 1302, e nel 1311, con la delegazione guelfa di Padova, presso l’imperatore Enrico VII a Milano contro i Vicentini. L’“Ecerinis”, una tragedia alla maniera di Seneca, sugli intrighi di Ezzelino da Romano contro Padova, fu rappresentata nel 1315. Sanzionando il recupero del metro classico, seppure in latino, già adottato in numerosi poemi, poi in uso in Dante e più in Petrarca, a cui si fa risalire il primo umanesimo italiano. Aveva già versificato un carme epico in tre canti (“De Obsidione domini Canis”), e uno, in forma di visione, di viaggio attraverso l’Inferno, il Purgatorio e il Paradiso (“Somnium in negritudine”). Ci toccherà un Dante “mussatiano”?

Neo realismo - Il migliore neo realismo è cinematografico, di De Sica, Rossellini, lo stesso Pasolini, è cioè d’immagini. In forme diverse ma tutte, dice Pasolini (ora in “Le belle bandiere”) del tipo “realismo creaturale” di Auerbach. Inscritte su un fondo comico, ancorché dolente – e dunque dell’irredimibile. Se non che il creaturalismo di Auerbach è cosa diversa – è l’opposto. E non senza ragione.
Da qualche tempo tutto è creaturale. Si è partiti negli anni 1960 con i transessuali, si è passati per il neo creazionismo dei biblisti americani, si naviga ora nella concezione comunque “creaturale” dell’universo, nel senso che “tutti – uomini e animali – sono concezione di Dio”. Auerbach, studioso di Vico, che tradusse in tedesco, ha inaugurato questo concetto nella seconda serie di studi danteschi (ora in “Studi su Dante”), nella ricerca complessiva che approderà in “Mimesis”, “sulla struttura della rappresentazione letteraria della realtà”. Ma con altro significato.
Nella seconda serie di studi su Dante il saggio “Figura” esplora i diversi significati della parola, “che ha lo stesso tema di «fingere», «figulus», «fictor»e «effigies»”, a partire da Terenzio, che per primo la usò, via via per tutta la letteratura latina, con una bibliografia densissima, fino alla “«Figura» come profezia reale nei Padri della Chiesa”, in un significato “nuovo e peculiare” che “si trova per la prima volta, e molto spesso, in Tertulliano”. Partendo dal “realismo energico” di Tertulliano, parallelo alla sua insistenza sulla “figurazione” come fatto reale, quasi fisico, del Vecchio Testamento rispetto al nuovo, del profetismo, del battesimo, come astrattamente opposto a “verità”. Fino a che, con sant’Agostino, non viene riproposta come opposta all’allegoria, come figurazione del reale, aderente al reale stesso. Una lettura che s’impone sull’autorità di San Paolo, dei molteplici riferimenti che le sue “Lettere” offrono. Congiungendo “esemplarmente le forze pratico-politiche della fede con quelle poeticamente creatrici” – “la profezia figurale contiene l’interpretazione in un processo terreno per mezzo di un altro; il primo significa il secondo, e questo adempie il primo”. Figurale, quindi, non “creaturale”.
Questo realismo trova il coronamento in Dante, nella “Commedia” e nella “Vita Nova”, in Beatrice come in Virgilio: “La concezione figurale degli avvenimenti ebbe una larga diffusione e una profonda influenza fino al Medio Evo e oltre”.

In “Mimesis. Il realismo nella cultura occidentale” Auerbach delineerà due realismi, uno “creativo” a partire da Dante nei suoi termini, di figure e fatti della storia, e uno naturalistico, che riduce a Zola. Creativo in opposizione a “creaturale”, a una sorta di nichilismo cristiano nel primo millennio della nostra storia. Analizzando il realismo nella letteratura del Medio Evo, Auerbach parla di creaturalità in contrapposizione a Dante e Rabelais: creaturalità è la destinazione dell’uomo a larva, un mucchio di ossa con la pelle, nell’attesa della morte e della redenzione.
È un concetto molto egualitario della condizione umana, se si vuole, ma Auerbach nota che esso si accompagna con l’acquiescenza all’ordine e alle gerarchie sociali. A essa fanno eccezione Dante, per il quale le azioni umane sono sostantive, tardo e neo classicista. E Rabelais, del quale è stata argomentata la miscredenza, ma in contrapposizione alla concezione “creaturale” dell’umanità, al nichilismo.
Il titolo originale dell’opera di Auerbach è “Mimesis. La rappresentazione della realtà nella cultura occidentale”. O, proprio alla lettera, “Mimesis. La realtà rappresentata”. Auerbach, ottimo italianista, ha sicuramente voluto il titolo semplificato italiano. Ma nel suo ragionamento la nozione di “rappresentazione” – che il titolo italiano dà per scontata? – è essenziale. Nel primo abbozzo dell’opera, secondo alcuni bibliografi, durante la guerra in Turchia, il titolo era “Mimesis: eine Geschichte des abendländischen Realismus, als Ausdruck der Wandlungen der Selbstanschauung der Menschen”: storia del realismo occidentale, come espressione dei mutamenti della percezione della realtà da parte degli uomini.

Nella sua confusa polemica pro e contro dei primi anni 1960, Pasolini rivendica la visione figurativa. Il neo realismo elegge a impegno politico, in “Cultura dopo l’«impegno»” (ora in “Le belle bandiere”): “Dall’immediato dopoguerra all’inizio degli anni Sessanta, il motivo letterario in Italia è stato unico, e così profondamente individuato da fondare quasi una forma di civiltà: è stato chiamato impegno. Il riferimento ideale di esso era la Resistenza e il suo fine era «rivelare» una realtà fino a quel momento mistificata, la società italiana. Esso presupponeva una sorta di elastico dogmatismo…”. Non è vero – non può esserlo, se c’è il dogmatismo (o comunque non abbastanza, se ci consente di respirare anche in questa lunga agonia dell’Europa). Ma personalmente Pasolini è impegnato nella figurazione: “La mia visione della realtà è figurativa”, dice a più riprese, e “piuttosto pittorica che cinematografica”, cioè di storie concretizzate in immagine e non dipanate in azioni.

Totalitarismo – Togliatti fece dire Corrado Alvaro fascista a cadenza biennale, da Giacomo Debenedetti (1953), Salinari (1955), Angioletti (1957), Trombatore (1959), reo di avere scritto “L’uomo è forte”, il romanzo dell’orrore del totalitarismo.
Il Pci del resto voleva le compagne, alle quali il segretario Longo dava del voi, madri opime di famiglia. Credeva cioè al “mammismo” di Corrado Alvaro, creatore ironico di pathos mediterraneo, benché già condannato.

letterautore@antiit.eu

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