giovedì 2 febbraio 2012

L’inferno di Maometto per Dante

Si volle Dante improvvisamente islamico per il sesto centenario, nel 1921, a ridosso del revival ispanoislamista del primo Novecento, con questa sensazionale “Escatologia islamica nella Divina Commedia”, pubblicata originariamente nel 1919, un lavoro di recupero delle fonti opera del gesuita, filologo e arabista spagnolo Miguel Asίn Palacios. Una novità tale da offuscare ogni altro contributo alla ricorrenza, di cui finì per monopolizzare l’attenzione, in Italia e fuori. Anche se completamente “fuori tema”.
Asín Palacios lega il viaggio di Dante a quelli oltreterreni di Maometto, i mi’rāg, un genere di favolello popolare di cui riporta varie redazioni – hadīţ, detti - sebbene tutte apocrife. E alle dottrine neoplatoniche e mistiche del filosofo mussulmano Ibn Masarra, il fondatore della “filosofia ispanomussulmana”, di cui è lo studioso. Già nei suoi lavori sul Masarra Asín Palacios aveva sottolineato, dice qui, “la stretta relazione di somiglianza” dell’ascesa di Dante e Beatrice nel Paradiso con quella di un filosofo e di un mistico descritta da un discepolo del filosofo, il sufī Ibn Arabi, in un’opera intitolata “Futūhāt”.
Asín Palacios trascrive vari hadīţ dei mi’rāğ di Maometto, tutti svelti, alcuni di poche righe, con l’arcangelo Gabriele. In uno di questi Maometto incontra, dopo gli usurai, “alcune donne appese per i capelli”: sono “le donne che non nascosero il loro viso e la loro chioma agli sguardi deglie stranei”. Ci sono anche i “bevitori di vino” e le “cantanti”, e quelli che non fanno le “abluzioni rituali”. Il trattato fu corredato nel 1924 da un volume di “Storia e critica di una polemica”, di polemiche e contro polemiche, che sarà aggiornato nel 1943.
Un’opera e un’operazione col sapore di altri tempi: il religioso arabista, l’autoelogio, la patria comunque, e il duca d’Alba. È “per generosa iniziativa dell’eccellentissimo duca d’Alba” che il libro è tradotto in inglese, per diffonderne il messaggio nel grande mondo angloamericano – il XVIImo duca d’Alba era mezzo inglese, Jacobo Fitz-James Stuart y Falcò (il XVIIImo duca, la sua figlia Cayetana, si è appena risposata a 85 anni con un giovanotto, una maschera irrigidita di plastica, dopo essere stata a lungo famosa come suocera del torero Ordoñez). L’appendice di polemiche e contropolemiche registra 50 favorevoli, contrari 20, di cui 15 italiani, incerti 3 (tra cui un P. E. Pavolini - Paolo Emilio, il dotto poeta filologo padre del fascistissimo Alessandro). I favorevoli Asίn Palacios dice “una settantina”, alcuni li conta doppi o tripli. L’arabista Giuseppe Gabrieli è censito con cinque interventi, di cui tre favorevoli e due contrari. Come allo stadio: l’accoglienza critica è quella dei tifosi alla partita.
Il libro è ponderoso, e non dimostra niente. Questi mi’rāğ, ascesi – il miraggio è originariamente ascesi, salita dell’anima al cielo - nell’oltretomba sono tutti più o meno a somiglianza di quello di Dante, cioè sono uno schema ricorrente. Non c’è naturalmente, non ci può essere, raffronto poetico, di linguaggio o anche soltanto di personaggi, eventi, “materiali”. Ibn Arabi dice l’islamista Gianroberto Scarcia “estatico rappresentante massimo dell’«anacreontismo mistico»”. Anche se si deve a lui in particolare, più articolata tra i tanti, “la dottrina di un Dio «femminile», e l’idea della donna come rappresentazione della Bellezza divina” (introduzioni a “Poesia dell’islam”, Sellerio, 2004). Quanto al neoplatonismo se ne è ritrovato talmente tanto nella patristica, smaltita la sbornia scolastica, molto prima del concilio di Firenze e di Gemisto Pletone, da riempire intere filosofie ispanomussulmane. Il Mediterraneo, nell’avvertenza non perenta di Pirenne, era unitario – lo è stato fino all’insorgenza islamoturca, parallela allo spostamento del baricentro europeo al Nord con la Riforma. Senza contare che, quando se ne farà la storia, il regno di Granada alle cui fonti Asίn Palacios attinge fu un mondo a parte nel mondo islamico, se non già una sorta di Atlantide.
Carlo Ossola, in una densissima prefazione (settanta note per tredici paginette di testo ) esalta Asίn Palacios (e Maria Corti) smontandolo. Asίn Palacios è confermato dal “Libro della Scala”, che però fa capo alla Bibbia, sulla quale si è innestato un vasto immaginario medievale. Fra le “simmetrie di struttura… vivacemente segnalate da Asίn Palacios e accolte da Maria Corti”, della “Commedia” coi mi’rāğ, manca “il lascito funzionale più consistente”, il contrappasso, che caratterizza la “Commedia” e che Dante menziona proprio al canto di Maometto e Alì: “La dichiarazione dantesca del contrappasso (“Così s’osserva in me lo contrappasso) è apax che sigilla proprio il canto XXVII dell’Inferno, ove si s’accampano appunto le figure di Maometto e di 'Alī”. Ossola è autore anche di un Dante, poeta del Novecento”.
Asίn Palacios non conosceva il “Libro della Scala”, di cui peraltro non c’è l’originale arabo. Mette assieme tutte le fonti arabe di cui è a conoscenza che possano trovare una qualche rispondenza in Dante. Senza curarsi della trasmissione – cioè accogliendo in sostanza l’argomento che gli si oppone, che erano cose nell’aria del tempo. Molti, lo stesso Asίn Palacios si premura di aggiungere nel supplemento critico, i tramiti possibili delle fonti islamiche di Dante, oltre al solito Brunetto Latini ambasciatore a Toledo da Alfonso il Savio. Asίn Palacios le elenca per esteso e argomentatamente: i trovatori, Raimondo Lullo, francescano catalano, che fu spesso e a lungo in Italia, Ricoldo da Monte Croce, domenicano fiorentino, Leonardo Fibonacci e altri mercanti e viaggiatori, di Spagna e del Levante, nonché Guido Cavalcanti, che fece il pellegrinaggio di Santiago de Compostela. Per non dire di san Pedro Pascual, che aveva riassunto, a scopo di confutazione, tutte le tradizioni islamiche sull’oltretomba. Tutti buone fonti. Ricoldo viaggiò a lungo in Oriente, e al ritorno a Firenze nel 1300 scrisse in un suo trattato, al cap. XIV, del mi’rāğ di Maometto: con lui Dante aveva Maometto in casa.
Insomma, non c’era scandalo a suo parere, di Asίn Palacios. E infatti non c’è: perché Dante non dovrebbe sapere di Maometto e dell’islam, lui che sapeva tutto ed era curioso di tutto. Ma che c’entra l’escatologia musulmana? C’è troppa distanza e diversità, anche in quel mare allora unitario. Dopo tutto, il mondo non comincia con Maometto, il mondo islamico. Tutta la poesia dell’amore cortese è contenuta in quella araba dei secoli dall’VIII all’XImo. La quale non era contenuta nell’ellenismo, con variazioni certo – il simposio arabo è il simposio platonico? La filologia delle fonti è inesauribile. Iniziando i raffronti, del resto, Asίn Palacios stesso, inavvertitamente, mostra la differenza incolmabile tra Dante e Maometto: tutto uguale, insomma simile, se non che l’inferno di Maometto è “riservato esclusivamente agli infedeli”. San Pedro Pascual, di cui Asίn Palacios non dice altro, è personaggio notevolissimo: vescovo, compagno di studi di san Buonaventura e san Tommaso d’Aquino, fu decapitato a Granada nel 1300.
Asίn Palacios svolge un tema, su un terreno fino ad allora non indagato: le fonti islamiche di Dante. Se Ossola dice di averne grande opinione, i traduttori Roberto Rossi Testa e Younis Tawfik meno: il metodo trovano “allegramente anarchico”, le citazioni spesso farlocche, l’argomentazione affastellata, per accumulo. Nell’ambito delle “prove”, poi, ne trovano una importante, che a Asίn Palacios, e a Ossola, è sfuggita. Nell’incontro di Dante con Maometto, mentre tutti si meravigliano che Dante sia contemporaneamente morto e vivo, il Profeta è indifferente. E allora, è una “indifferenza che forse esprime in modo sottile, adatto soltanto alla percezione dei conoscenti, la consapevolezza che i due hanno vissuto la stessa esperienza iniziatica?” Vallo a sapere, non si finisce mai di imparare – è la tecnica del sospetto, o complotto, lo schema mentale contemporaneo, i particolari non difettano mai (e della filologia delle fonti?).
Miguel Asίn Palacios, Dante e l’islam. L’escatologia islamica nella Divina Commedia, Net, pp. XXVII – 678 € 15

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