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Bestemmia – La più radicale è di sant’Agostino, “Città di Dio”, XXI, 14: “C’è qualcuno che, di fronte alla scelta tra la morte e una seconda infanzia non inorridirebbe dalla paura di fronte a questa seconda ipotesi e non sceglierebbe di morire?” Di un santo dunque, Freud al confronto è un dilettante. O Melanie Klein, che dell’infanzia sa tutto il peggio, con la sua “città divina e violenta, dietro la città umana”. Anche i santi sbarellano – senza contare la retorica, di cui Agostino era maestro: “non inorridirebbe?”, due negativi, un condizionale e un’interrogativa negativa non sono un esempio di chiarezza.
Allo stesso sant’Agostino – che però amava la sua mamma – si attribuisce l’errore-orrore di essere stati concepiti nel peccato. Non nel peccato originale ma nel coito.
Corpo - “Non posso fuggire il mio corpo, né lui me, è incatenato a me” – Pascal Guignard, “La nuit sexuelle”, p. 199. Io chi? Lo spirito, l’anima? Di che corpo?
Dolore - Si vive ma soprattutto si esprime. Si vive per esprimerlo?
R. Barthes mostra in “Dove lei non è”, il diario-volutamente-occasionale (frammentario ma ordinato) in morte della madre, un’elaborazione del lutto “subìta per essere coltivata”: coltivare il lutto per estrarne letteratura.
Gelosia - È zelos in greco, una competitività attiva. Diventa sospettosa in tutte le lingue europee nel Trecento: quando nasce il possesso?
Generi – Maschio e femmina vuole il pensiero della differenza diversi e incompleti: sono diversi perché non si completano. Ma cos’è completarsi se non essere diversi – uguali e diversi? È dei generi come degli individui.
Meccanicamente si completano, altro che, combaciano, malgrado le loro articolazioni e strutture strane. Ma per essere, e porsi, diversi.
Immagine – È qualcosa che ci guarda. Che noi creiamo, per uscire dal vuoto – dare consistenza alla luce, dare apparenza, se non sostanza, alla realtà. Ma per dialogarci, l’immagine ci ritorna a specchio.
Si faccia vedere un’immagine cento volte e sarà la sola realtà e quindi la verità.
Sia pure un’immagine rubata, truccata, montata. Qualsiasi fotografo lo sa, come già Platone.
Lo stesso potere deve avere avuto la giaculatoria, l’esicasmo, quando si pregava.
Immortalità – Barthes la dice “posizione bizzarra, pirroniana”. Ma è la verità anche se ha un inizio.
Nella stessa, postuma, raccolta di frammenti, “Dove lei non è”, Barthes nota più in là: “«Mai più» è una parola d’immortale”.
Immortale è certamente la mamma morta, di cui elabora il lutto, anche quando Barthes non si leggesse più. “Nessun uomo è così povero da non lasciare nulla in eredità” è pensiero di Pascal ripreso da Walter Benjamin. O si può dire con Didi-Huberman, filosofo dell’immagine – o della lucciola, del balenio di luce, del momentaneo, frammentario: “L’esperienza è indistruttibile”.
Malinconia – Saturno, che vi presiede, ha presieduto fino al Cinquecento all’età dell’oro, antica e promessa, dell’abbondanza, nella perpetua primavera, e nella perfetta uguaglianza. Il suo è il nome dell’abbondanza, della semina – a partire dai “Saturnia regna” di Virgilio alla quarta “Bucolica”. È nel Cinquecento che nasce propriamente la malinconia, come soggetto a sé, di trattati e rappresentazioni.
Breve storia in Pascal Guignard, “La nuit sexuelle”. Ildegarda, “Causae et Curae”, dice che la malinconia si è coagulata al momento della disobbedienza di Adamo. È atra bilis in latino, la bile nera, e quindi è un liquido. È fumo in Dante. “Come un oscuramento” nel Rinascimento. Si trasformò in vapori nei romanzi inglesi del Settecento. Tornando sul continente in forma di spleen. Divenne nevrosi dopo la Grande Guerra.
Charles d’Orléans la scriveva mèrancholie, come una palpitazione materna.
Nudo – Lo è solo l’uomo, e la donna, nessun altro animale è mai nudo, anche se ne ha l’apparenza, i bruchi per esempio. La nudità non è una questione di pelo. Nudo è la disposizione di spogliarsi, come la ricerca di un qualcosa che non appare, pur apparendo. Di tornare alla nascita, che è il solo momento nudo. Subito ricomposto peraltro – a protezione dagli elementi? Allo stato intrauterino, forse felice, comunque spensierata. Levandosi i pensieri, che il capo impone ingombranti.
Ombra – Nasciamo all’ombra, nella notte, giacché veniamo alla vita nel ventre materno. Da qui la difficoltà di vedere, di penetrare il buio, per quanta luce ci mettiamo, di acume e immaginazione?
Tempo – Breve storia, esemplare, di Edoardo Boncinelli, “Ecco dove va a finire il tempo” (“La Lettura”, 19 febbraio 2012).
Una storia, per quanto breve, che segna essa stessa il tempo. Che in sé è un metronomo, anche se usa contarlo nei calendari: scandisce gli eventi. Compreso il futuro che è sempre presente, anche passato (tradizione). E anche il passato che è sempre vivo e lotta insieme a noi.
Totalitarismo - Il totalitarismo è la democrazia quando si governa con l’ipocrisia: una camicia di forza elastica che piace e incoraggia. Quello di Hitler si dichiara, e la verità non può essere strumento d’inganno. Ma non c’è solo quello dei regimi totalitari. Più robusto è anzi il totalitarismo democratico, attraverso i media, la cultura di massa, la persuasione. Che si nega ed è igienico, sanitarizzato perfino, con razioni abbondanti, e il tempo libero invece del lavoro forzato, ma è più forte, è elastico e radicato. Si usa l’opinione pubblica e il voto, la democrazia, per consolidare il potere. La maggior parte degli schiavi sempre si sono ritenuti liberi.
C’è una tradizione pure della schiavitù. Di più: della schiavitù volontaria (La Boétie). Molti schiavi si ritenevano privilegiati per essere vivi, e poter mangiare. Lo stesso capita ai lavoratori, quando hanno perso il lavoro, e alle donne. La maggior parte delle donne, là dove non hanno diritti, sta volentieri in casa, si copre il volto, si amputa le zone erogene. Lo stesso gli operai, che preferiscono il posto al sindacato, non a torto.
zeulig@antiit.eu
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